RABONI, Giovanni
RABONI, Giovanni. – Nacque il 22 gennaio 1932 nella casa paterna di via San Gregorio, a Milano, secondogenito – dopo Fulvio (1927-2002) – di Giuseppe (1891-1952) e di Matilde Sommariva (1893-1954).
Il padre, di famiglia milanese da generazioni, era un alto funzionario al Comune di Milano; la madre proveniva da una famiglia con radicate inclinazioni artistiche. Ricordando la propria infanzia e il precocissimo avvicinamento alla letteratura, Raboni scrisse di un’atmosfera «medio-borghese, con molto senso della tradizione familiare, molto rispetto per la cultura, molti libri a casa. Così sono passato insensibilmente da letture ascoltate da altri (come L’isola del tesoro o I tre moschettieri di cui sapevo interi brani a memoria, prima di saper leggere, a furia di sentirli da mio padre e da mia madre) ai grandi romanzi di Dickens, Tolstoj, Dostoevskij» (in R. Minore, La promessa della notte. Conversazioni con i poeti italiani, Roma 2011, pp. 167 s.).
Dopo aver frequentato le scuole Cardinale F. Borromeo e poi l’istituto Gonzaga, terminò gli studi elementari da privatista a Sant’Ambrogio Olona. Qui, nella casa affittata per le vacanze, Giuseppe aveva trasferito la famiglia il 25 ottobre 1942, il giorno successivo al bombardamento che aveva colpito anche nei pressi di via San Gregorio.
Furono per Raboni anni di intense e appassionate letture. La scrittura in versi si diede come istintivo esercizio emulativo: inizialmente con prove di derivazione pascoliana, ma con un tempestivo aggiornamento sulle letture che andavano succedendosi. Con il ritorno a Milano, dopo la Liberazione, fu iscritto dapprima al liceo Parini, poi al Carducci. In casa del compagno di classe Arrigo Lampugnani conobbe, nel 1948, Vittorio Sereni, il futuro «grande amico, quasi secondo padre» (P. Del Giudice, Giovanni Raboni poeta nella città di Milano, in Galatea, VI (1997), 11, p. 58). Parallelamente a una carriera scolastica assai irregolare e incapace di suscitare vere passioni culturali, iniziò per Raboni un’educazione svolta secondo liberi e vivacissimi percorsi negli ambiti della letteratura (è di questi anni il contatto con la grande poesia europea, Thomas Stearns Eliot ed Ezra Pound in primis), della musica, del cinema, del teatro (frequentò il Piccolo Teatro fin dalla fondazione, nella primavera del 1947).
Nel 1949 fu premiato per Poesia per Bianca, testimonianza di una residua influenza ermetico-quasimodiana (subito a stampa in Concorsi studenteschi di poesia e novellistica e pittura e disegno, Milano 1949), insieme con I giorni della Terra Santa, che già restituisce la lezione eliotiana. È dei mesi successivi agli esami di maturità, nel 1950, la lettura, in francese, della Recherche. Nell’autunno si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza, secondo il modello di una vita professionale indipendente da una parallela attività letteraria.
Il padre morì il 4 marzo 1952, in seguito a una crisi cardiaca: un trauma terribile («tutto diventava incerto, a parte il dolore»: a Rodolfo Zucco), causa anche di difficoltà economiche mitigate dal sostegno dello zio paterno Giulio e della famiglia dei cugini Volpato.
Fondamentale per la vita artistica del giovane scrittore fu la conoscenza di Carlo Betocchi, incontrato nel 1953 in occasione dell’assegnazione alla raccolta inedita Gesta Romanorum del premio di poesia Incontri della gioventù. Nell’estate dello stesso 1953 si manifestò nella madre la malattia che la portò alla morte nell’autunno dell’anno successivo.
Laureatosi in storia del diritto romano nel febbraio del 1955, alla fine dell’estate accettò la proposta di Angelo Volpato di un impiego nell’ufficio legale dell’azienda petrolifera di famiglia, la San Quirico. Il 7 agosto 1958 sposò Bianca Bottero, già compagna di classe al Parini, dall’unione con la quale nacquero Lazzaro (24 agosto 1959), Pietro (11 ottobre 1960) e Giulia (26 gennaio 1963).
L’esordio pubblico come scrittore in versi è del 1957, quando sette poesie uscirono con presentazione di Betocchi in La Fiera letteraria del 21 aprile (XII (1957), n. 16) e la silloge Gesta Romanorum e altre poesie fu accolta nei Nuovi poeti raccolti e presentati da Ugo Fasolo (Firenze 1957). Seguirono altre cinque poesie in Letteratura (s. 3, V (1958), 33-34, maggio-agosto). Nel frattempo il poeta lavorava ai versi poi raccolti in L’insalubrità dell’aria (Milano 1963: poesie del 1954-61) e in Il catalogo è questo (con una nota di C. Betocchi, Milano 1961: poesie del 1959-61). L’attività di critico e saggista acquistò continuità a partire dal 1958 con gli Appunti per una lettura dei “Cantos” (in Letteratura, VII (1959), 39-40, maggio-agosto) e con saggi e interventi su aut aut, rivista per la quale Raboni svolse fino al 1967 il lavoro di segretario di redazione. La prima manifestazione dell’ininterrotto interesse critico per Marcel Proust (v. da ultimo La conversione perpetua e altri scritti su Marcel Proust, a cura di Giulia Raboni, Parma 2015) è testimoniata da La riduzione nella “Recherche” (in aut aut, 1959, n. 50).
Raboni cominciò in quegli anni la frequentazione dell’ambiente letterario che aveva come riferimento il Blue Bar di piazza Meda, partecipando a ciò che gli apparve a posteriori come un periodo eccezionale della cultura milanese: «credo che poche volte come in quegli anni la sensazione di trovarsi, vivendo a Milano, in una capitale della cultura oltre che degli affari, fosse giustificata o perlomeno giustificabile […]. È un po’ buffo pensare a quegli anni come alla nostra belle époque» (La «belle époque» della cultura milanese, in L’Illustrazione italiana, giugno-luglio 1983, p. 91).
Nell’autunno del 1960 lasciò la San Quirico per un posto di consulente legale presso le aziende tessili dell’amico Arrigo Lampugnani Nigri. Tuttavia il nuovo ruolo fu vissuto con un disagio crescente, al punto tale che, nel 1964, cominciò a dedicarsi totalmente all’attività di lettore e consulente editoriale. Iniziò nello stesso anno il primo lavoro di traduzione, quello di L’éducation sentimentale di Gustave Flaubert (Milano 1966). Nella primavera del 1962 era nata intanto Questo e altro, rivista della quale Raboni fu stretto collaboratore e attivissimo redattore. La sua chiusura (1964) coincise con l’inizio della collaborazione (mai più interrotta) con Paragone.
Le case della Vetra, il libro nel quale selezionò e riorganizzò la propria produzione poetica degli anni Cinquanta e Sessanta, uscì nello Specchio di Mondadori nell’aprile del 1966. Qui Raboni diede corpo organicamente a una ricerca che lui stesso esplicitò teorizzando la propria attività di critico militante: la ricerca di «qualcosa di possibile: cioè una poesia impura e, al limite, impoetica, infinitamente inclusiva, capace di compromettersi con la realtà e di registrare le tensioni del campo ideologico senza mimare la realtà e senza sottomettersi all’ideologia» (Poesia degli anni sessanta, Roma 1976, p. 11).
Il poeta aveva già ben circoscritto il proprio repertorio tematico: la città – Milano –, le figure e i luoghi della propria storia familiare, il dialogo con i morti, il senso di oppressione da parte del potere. Un ulteriore tema portante, quello amoroso, si aggiunse sempre nel 1966 con la sequenza L’intoppo (Roma 1967, poi in Economia della paura, Milano 1970). Sono già altrettanto originalmente individuate alcune modalità metaforico-rappresentative: la narrazione della passione di Cristo, la vicenda della Colonna infame, lo straniamento onirico; ed è ben collaudato il ricorso a una metrica libera di solido ancoraggio alla tradizione novecentesca.
Tra l’inverno del 1967 e l’autunno del 1969 Raboni patì quella «crisi di scrittura poetica», accompagnata dalla «voglia di applicarsi comunque alla scrittura» (Il lavoro del poeta: intervista a M. Gallerani, in L’Indice dei libri del mese, III (1986), 3, p. 24), da cui nacquero le prose di La fossa di Cherubino (Milano 1980). L’attività di traduttore diventò l’occupazione principale (si segnalano Bianca, o l’oblio di Louis Aragon, Milano 1969, e Un adolescente d’altri tempi di François Mauriac, Milano 1971).
Alla fine degli anni Sessanta iniziò la traduzione delle Fleurs du mal (su proposta di Vittorio Sereni, accettata «per amore di un autore che è l’inizio della poesia moderna»: C. Altarocca, Raboni, la mia vita con Baudelaire, in La Stampa, 14 febbraio 1999). Seguirono altre quattro redazioni (rispettivamente 1987, 1992, 1996, 1999: «La traduzione è per sua natura infinita, ogni volta t’accorgi che potevi far meglio. Un poeta negli anni non diventa necessariamente più bravo; invece uno scrittore di versi diventa sempre più cosciente dei mezzi linguistici: e la mia idea è che una poesia si può tradurre con un’altra poesia che assomigli alla prima e che nello stesso tempo sia un’altra cosa, una specie di ectoplasma», ibid.).
Sempre sul finire del decennio Raboni avviò una breve collaborazione con la RAI e quella, mai più interrotta, con l’editore Garzanti (come consulente, redattore, dirigente, e infine limitata alla scrittura di prefazioni, presentazioni, note). Fu, inoltre, critico cinematografico presso Avvenire dall’inizio del 1970 al settembre del 1971.
Si colloca tra il 1968 e il 1970 il periodo di più forte impegno politico: «Più che ideologica, la mia fu passione civile. Nel senso che io non sono stato ideologicamente convinto di nulla, e nemmeno ho militato in senso stretto nella sinistra, anche se mi sono sempre riconosciuto nelle sue idee. Però le vicende del 1968-69, con quello che è venuto dopo, cioè la strage di piazza Fontana, le ho vissute con molta partecipazione di cittadino e quindi con molta indignazione» (D. Piccini, «Vivere almeno al 50 per cento», in Poesia, XVI (2003), 168, p. 13). Quanto all’attività letteraria, collaborò dalla fondazione (e fino a tutto il 1971) alla rubrica Narrativa straniera di Il bimestre (1969-1973), e cominciò nel 1970 un rapporto con Quaderni piacentini che si protrasse fino al 1977.
Nell’autunno del 1969 conobbe la slavista Serena Vitale, con la quale iniziò alla fine dell’anno successivo una convivenza (diventata matrimonio nel 1979) che durò fino al 1982: un decennio durante il quale si susseguirono una ventina di viaggi in Cecoslovacchia e sette nell’Unione Sovietica.
Collaborò come critico di narrativa e di poesia italiana a Tuttolibri, l’inserto settimanale della Stampa, fin dalla sua fondazione (ottobre 1975); parallelamente, nell’attività editoriale, all’allentamento del rapporto con Garzanti corrispose un intensificarsi del lavoro per Mondadori: fece parte del comitato di lettura dell’Almanacco dello Specchio dal 1975 al 1989 e seguì la collana Lo Specchio come lettore e autore di risvolti.
Nello stesso 1975 iniziò la collaborazione con Guanda: rilanciò la collana Fenice, fondò la Prosa contemporanea, i Poeti della Fenice e i Quaderni della Fenice, di cui tenne la direzione (uscì qui, nel 1977, la sua prima traduzione da Apollinaire: Bestiario o Il corteggio di Orfeo). Diresse, inoltre, tra il 1981 e il 1983, L’Illustrazione italiana, contribuendo alla rivista con articoli e traduzioni.
Dal 1977 al 1982 (e poi tra il 1996 e il 1997) fece parte della giuria del premio Viareggio, dal 1980 al 1991 di quella del Mondello.
Nel frattempo la scrittura poetica di Raboni conobbe un secondo, importante momento di sintesi con la pubblicazione di Cadenza d’inganno (Milano 1975), che comprende le poesie di Economia della paura, mentre il saggista e critico di poesia stava allestendo Poesia degli anni sessanta. Nel 1978 pubblicò la sequenza Il più freddo anno di grazia (Genova), poi accolta in Nel grave sogno (Milano 1982). Alla fine dello stesso anno cominciò per Mondadori il lavoro di traduzione integrale di À la recherche du temps perdu (Milano 1983-1993). Sempre nel 1978 fu tra i fondatori delle edizioni Società di poesia, iniziativa che dapprima affiancò e poi continuò i Quaderni della Fenice.
All’inizio del 1981 incontrò Patrizia Valduga, con la quale iniziò l’anno successivo una convivenza e un sodalizio intellettuale destinati a durare fino alla morte dello scrittore.
Nell’autunno del 1984 la coppia si trasferì in via Castaldi: un ritorno nel quartiere di Porta Venezia vissuto con i sentimenti dettati da una personale topografia sentimentale manzoniana («Vivo […] – e probabilmente morirò – non più ai margini, ma dentro il territorio, il ghetto, la riserva degli appestati», G. Raboni, Raboni Manzoni, 1985, p.18). Di qui passò, nell’autunno del 1990, in un appartamento della vicina via Melzo.
Importanti le pubblicazioni del biennio 1981-82: l’antologia commentata Poesia italiana contemporanea (Firenze 1981), la raccolta di scritti sui prosatori Quaderno in prosa (Milano 1981), una scelta Da Alcools di Apollinaire (Milano 1982, anche con traduzioni di Sereni), seguita, ancora in collaborazione con Sereni, da La chiamavano Lu e altre poesie (Milano 1984) e soprattutto il citato Nel grave sogno, terza raccolta complessiva di versi.
Nel frattempo Raboni aveva intensificato l’attività giornalistica: agli interventi su Tuttolibri affiancò dapprima una breve collaborazione a Il Giorno (1978-79), poi quella a Il Messaggero (1981-87), quindi quella a L’Espresso (1982-83). Nel 1983 subentrò a Sereni come critico di poesia dell’Europeo, dedicandosi in seguito a una più ampia attività pubblicistica. Nel 1984 diede inizio alla sua attività di traduttore per il teatro con la Fedra di Racine (Milano 1984) e il Don Giovanni di Molière.
Seguirono: Cantico di Mezzogiorno di Paul Claudel (1987), Ecuba di Euripide (1994), Ruy Blas di Victor Hugo (Torino 1996), Le false confidenze di Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux (1997), Il cammino della Croce di Claudel (1998), una nuova Fedra (Genova 1999), La scuola delle mogli di Molière (2003), Antigone di Sofocle (2000), Il mercante di Venezia di William Shakespeare (2003). Con la traduzione di Assassinio nella cattedrale di Thomas Stearns Eliot (2003) realizzò un antico progetto risalente al primo viaggio in Inghilterra, nel 1953.
Nel citato Raboni Manzoni, Raboni accostò dieci sue poesie ad alcune pagine della Storia della colonna infame, chiarendo il significato del proprio rapporto con Manzoni: «i temi dell’ingiustizia, della persecuzione, del processo iniquo, dell’innocenza ingiustamente perseguitata e punita; l’immagine, esplicita o implicita, della città come teatro della peste, come contenitore di ogni possibile contagio fisico e morale; il gusto di nominare luoghi, circostanze e documenti con scrupolosità impassibile e segreta passione; l’attenuazione, la reticenza e l’ironia usate per rendere pronunciabili l’indignazione, lo sgomento e la pietà: tutte queste cose, che i più pazienti fra i miei venticinque lettori potranno forse trovare nei miei versi […] vengono, non ho dubbi, da Manzoni, sono le prove, le stigmate della mia passione manzoniana, della mia manzonità […]» (p. 19).
L’attività editoriale proseguì nel quindicennio successivo con la direzione di collane di poesia per gli editori Acquario - La Nuova Guanda, Scheiwiller e Marsilio.
Nel 1985 mise fine al rapporto organico con Mondadori, in dissenso con le scelte dell’editore. La collaborazione con l’amico Antonio Porta e con Gianni Sassi all’organizzazione di alcune edizioni della rassegna Milanopoesia (1985-92) fu anche il frutto di un disagio verso i mutati rapporti tra editoria e pubblico: «Il pubblico potenziale, frastornato e sconcertato in libreria, diventa pubblico reale a manifestazioni come Milanopoesia perché sa che esistono e sa di trovarci qualcosa di interessante. Milanopoesia è un avvenimento, l’uscita di un libro non lo è, purtroppo» (M. Bersani, Poesia in forma di meeting, in Corriere del Ticino, 6 giugno 1987).
Dopo un infarto da cui fu colpito nel giugno del 1987 accettò l’invito del Corriere della sera ad assumere il ruolo di critico teatrale, che svolse fino alla primavera del 1998, con l’ingresso nel Consiglio di amministrazione del Piccolo Teatro (di cui fece parte – divenutone infine vicepresidente – fino al 2002).
In A tanto caro sangue. Poesie 1953-1987 (Milano 1988) Raboni riorganizzò la propria intera produzione poetica – ora comprensiva delle Canzonette mortali (Milano 1986) – intendendo comporre «un nuovo libro» che fosse «anche, nello stesso tempo, il suo ultimo e il suo unico libro» (così nella Nota dell’autore). Nello stesso anno raccolse una ventina di interventi già apparsi a stampa su Rinascita, L’Europeo e Il Messaggero in I bei tempi dei brutti libri (s.l., ma Urbania, 1988).
Con Versi guerrieri e amorosi (Torino 1990) il repertorio raboniano si estese al tema del tempo: dapprima come interrogazione del passato nella quête dei remoti presagi di ciò che nell’esperienza amorosa presente si dà come compiutezza esistenziale, poi come riflessione sul fluire della vita umana e sulla visione stessa del tempo. I Versi diedero anche inizio alla sperimentazione sulle forme chiuse, continuata in Ogni terzo pensiero (Milano 1993) e Quare tristis (Milano 1998).
«È successo a dieci anni di distanza dal mio incontro con Patrizia Valduga, che è sicuramente all’origine di questo […] Lo shock che è stato per me, oltre alla sua persona, la sua poesia […] ma ci ho messo dieci anni a elaborarlo e ne sono venuti i sonetti. Adesso, pensandoci, sono importanti soprattutto perché credo di essere riuscito finalmente […] a parlare di me come non avevo mai fatto, attraverso qualche travestimento. Uno ne ha sempre bisogno, almeno io, prima era il travestimento dei personaggi, poi il travestimento del racconto in cui c’è un io un po’ romanzato, dietro al quale ancora in qualche modo si cela la persona dell’autore. Qui il travestimento è la forma, per il resto so di aver parlato veramente in prima persona» (La biblioteca delle voci. Interviste a 25 poeti italiani, a cura di G. Fantato - L. Cannillo, Novi Ligure 2006, p. 174).
Con Devozioni perverse (Milano 1994), una raccolta di parti di articoli e interventi apparsi nel Corriere della sera e nell’Europeo, Raboni intese allestire una «sorta di diario» degli anni 1988-91. Il decennio che seguì fu segnato da risolute prese di posizione nell’ambito politico e civile. Si schierò contro l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati (1990); difese sul Corriere della sera le ragioni del no al referendum per l’abrogazione del sistema proporzionale al Senato (18 aprile 1993); alle elezioni politiche del 1994 dichiarò il proprio voto per Rifondazione comunista (allontandosi tuttavia dalle posizioni del Partito tre anni più tardi). Accolse con sconcerto la vittoria di Forza Italia («Ora, dopo la vittoria di Berlusconi, temo seriamente per la democrazia […]. Ma quel che più ferisce è il volto dell’Italia che ne viene fuori. Un paese vuoto, senza alcuna memoria, che aderisce in modo del tutto naturale a modelli bassissimi», F. De Melis, Regime. Colpe e miserie di un paese vuoto, in Il manifesto, 19 aprile 1994): un sentimento di cui risentì fortemente la poesia degli anni che seguirono.
Il volume Tutte le poesie (1951-1993), Milano 1997, ha in apertura Gesta Romanorum, «i resti della sua prima raccolta di poesie, premiata a un concorso per inediti ma mai pubblicata e, a un certo punto, andata perduta» (cfr. ora Gesta Romanorum, a cura di L. Daino - J.C. Reche, Madrid-México 2011); ne costituì un’edizione allargata a Quare tristis il volume Tutte le poesie (1951-1998), Milano 2000. Una raccolta di versi tradotti da Stéphane Mallarmé e Jules Laforgue era uscita nel frattempo con il titolo Ventagli e altre imitazioni (Varese 1999).
Lasciato l’incarico di critico teatrale al Corriere della sera, la collaborazione al quotidiano continuò nelle vesti di critico letterario e di commentatore (ne vennero le raccolte Contraddetti, a cura di V. Scheiwiller, Milano 1998, e Il libro del giorno, 1998-2003, Milano 2009).
Il lavoro di traduzione di testi poetici proseguì, dal 1999, con Athalie e Bérénice di Racine (per un progettato volume dei Meridiani Mondadori) e con la messa in versi italiani di poesie di Vladimír Holan in collaborazione con l’amico poeta Marco Ceriani (A tutto silenzio, Milano 2005, e 53 poesie da “Předposlední” (Penultima), in Istmi, 2008, nn. 21-22, pp. 29-137). Scrisse per il teatro Rappresentazione della Croce (Milano 2000), ricevendone una forte suggestione formale per le due opere successive: un altro testo teatrale, Alcesti o La recita dell’esilio (Milano 2002) e Barlumi di storia (Milano 2002).
Il libro vede mutata la direzione della ricerca metrica («Non c’è nessun sonetto, non ci sono rime, solo quando capita o quando c’è bisogno, c’è un alternarsi di endecasillabi, settenari e novenari che sono il tessuto in cui ho tentato di ricostruirmi una naturalezza del parlato che ha qualcosa a che vedere col teatro»: La biblioteca delle voci, cit., p. 174), ma conferma una sostanziale, radicata, fedeltà tematica («io poi credo che i temi siano più o meno sempre gli stessi: da una parte, diciamo, temi civili […], cioè di reazione, risentimento nei confronti di quello che succede intorno a noi; e dall’altra parte i temi della mia fedeltà a certi valori, della mia fedeltà al passato, ai morti; la mia fede nella comunione dei vivi e dei morti, per dirla con una formula un po’ semplificante»: Testimoni del tempo. Atti degli incontri di Piacenza, II, a cura di E. Gazzola, Piacenza 2003, p. 26).
I Versi d’autunno (poi Canzone del danno e della beffa), letti durante un incontro pubblico del gennaio 2003, sono una nuova dura presa di posizione politica contro Silvio Berlusconi (come poi il ciclo di poesie satiriche raccolte da Patrizia Valduga, con altre inedite, nei postumi Ultimi versi, Milano 2006).
Risale al 2003 la decisione di raccogliere i propri scritti sulla poesia italiana del Novecento (La poesia che si fa, a cura di A. Cortellessa, Milano 2005). Nel contempo iniziò a lavorare al Meridiano delle proprie opere (L’opera poetica, a cura e con un saggio introduttivo di R. Zucco e uno scritto di A. Zanzotto, Milano 2006). Secondo un progetto condiviso da autore e curatore, il volume accolse anche Poesia degli anni sessanta, La fossa di Cherubino, Devozioni perverse, Ventagli e altre imitazioni, Antigone di Sofocle, Rappresentazione della Croce, Alcesti o La recita dell’esilio e una sezione finale di Altri versi).
Il 12 aprile 2004 fu colto da una violenta aritmia nell’appartamento di via Melzo. Ricoverato in stato di coma, si risvegliò il 5 maggio. Morì la mattina del 16 settembre, a causa di un nuovo attacco cardiaco, nel Centro di riabilitazione di Fontanellato (Parma). Riposa nel famedio del Cimitero monumentale di Milano.
Opere. Oltre a quelle citate nel testo, si segnalano: G. Cesarano - G. Raboni, Lettere 1961-1971, a cura di R. Zucco, in Istmi, 2011, n. 27, pp. 139-201; Nell’ora della cenere, a cura di P. Valduga, Milano 2012 (antologia dell’opera in versi); Tutte le poesie 1949-2004, a cura di R. Zucco, Torino 2014.
Fonti e Bibl.: Importante, per gli aspetti documentari, Il catalogo è questo. G. R. (catal.), a cura di Giulia Raboni, Milano 2009. Una bibliografia con ambizioni esaustive è in G. Raboni, L’opera poetica, cit., pp. 1803-1815. Allo stesso volume si rinvia per una dettagliata Cronologia e per la Bibliografia della critica fino all’aprile 2006 (ma si consideri che la bibliografia della critica è in continuo aggiornamento sul sito www. giovanniraboni.it.). Per gli anni successivi ci si limita a segnalare la monografia di F. Magro, Un luogo della verità umana. La poesia di G. R., Pasian di Prato 2008, e le raccolte miscellanee di saggi: Per G. R., Atti del convegno di studi, Firenze… 2005, a cura di A. Dei - P. Maccari, Roma 2006; Trittico raboniano, in Istmi, 2010, nn. 25-26, pp. 203-262 (dalla Giornata di studi La storia di R., Milano, 28 ottobre 2009); L’emozione della poesia. Testi e interventi sull’opera e la figura di G. R., a cura di V. Poggi, Azzate 2014; Per ricordare G. R., in l’immaginazione, XXXI (2015), 289, settembre-ottobre, pp. 12-31; Questo e altro. G. R. dieci anni dopo (2004-2014), Atti del Convegno su G. R., Verona… 2014, a cura di A. Girardi - A. Soldani - A. Zangrandi (in corso di stampa).