RIZZI, Giovanni
RIZZI, Giovanni. – Nacque a Treviso il 22 ottobre 1828 da Giambattista, consigliere di delegazione, e da Giulia Savoy di Majersfeld, entrambi discendenti di un’antica famiglia di Gries e da poco trasferitisi in Veneto.
Frequentò le scuole elementari nella città natale, dove ebbe come maestro l’educatore Giovanni Codemo. A vent’anni si laureò in legge a Innsbruck. Durante il tragitto in carrozza per rientrare in Veneto compose una delle sue prime poesie, Ritorno, in cui era vivo il motivo patriottico e antiaustriaco, che pubblicò solo alcuni anni dopo, nell’Indipendente del 2 giugno 1878.
Si trasferì a Venezia, ma svolse la pratica legale a Padova. Nella città lagunare lavorò come corrispondente per l’Eco dei tribunali e poi per la Rivista veneta e l’Età presente. Per alcuni articoli apparsi su Il Nipote del Vesta-Verde, rivista diretta da Cesare Correnti, fu fermato dalla polizia austriaca e allontanato nel 1848.
Da Trento, dove si recò dopo, fu obbligato a fuggire per essere stato fra i promotori dei comitati che favorivano l’emigrazione degli irredentisti trentini e giuliani.
A Torino, sua tappa successiva, perorò presso Camillo Benso conte di Cavour, da cui fu ricevuto privatamente, la causa del Trentino e la liberazione dal giogo straniero. Come il contemporaneo Giovanni Prati, credette che tale liberazione potesse avvenire grazie all’intervento sabaudo, che celebrò nella poesia Lo scudo di Savoia (apparsa nel 1883).
Nel 1859 fu a Milano, dove frequentò Carlo Tenca, cui aveva inviato articoli per Il Crepuscolo già ai tempi del soggiorno veneziano, e divenne assiduo di casa Manzoni. Anche nel capoluogo lombardo professò le proprie idee politiche, sperando nell’annessione del Trentino al Veneto e partecipando con altri esuli alla compilazione di memoriali da inviare all’imperatore per la causa irredentista.
Per via di un mandato di arresto spiccato dalla polizia austriaca, che riguardava il territorio veneto, non poté rientrare nella città natale per la morte del padre nel 1861. Nello stesso anno, per interessamento di Tenca, divenne professore di lingua e letteratura italiana presso la Scuola superiore femminile, alla cui fondazione aveva contribuito.
Nel 1869 scrisse la prefazione al romanzo patriottico di Atto Vannucci, I carbonari del 1821 nel Lombardo-Veneto (estratto del volume I martiri della libertà italiana).
L’anno dopo sposò la milanese Carlotta Cella, sua ex allieva, da cui ebbe Antonietta e Carlo.
Compose diverse poesie d’occasione. Oltre alle otto dai toni sentimentali, contenute nella plaquette dal titolo Ricordo, con dedica a Laura Ohly, che uscì a Milano per i tipi di Bernardoni nel 1873, molte furono affidate a pubblicazioni celebrative (come Non ti scordar di me, per le nozze Giussani-Esterle, Milano 1878) o addirittura a fogli volanti e sono a tutt’oggi inedite.
Avverso al realismo che vedeva diffondersi in poesia, non aveva dato subito alle stampe tre sonetti Al maiale, che pubblicò poi in L’illustrazione italiana del 17 febbraio 1878, confortato dai versi carducciani sul cuore del suino nella seconda parte dell’Intermezzo (v. Rassegna settimanale del 3 febbraio 1873).
Accompagnati da una dedica a Emilio Treves, in cui si chiariva che erano nati in un momento di malumore per rivendicare la superiorità dell’uomo sulle bestie, e in cui si alludeva al precedente carducciano, i tre testi ricomparvero assieme ai cinque A messer Pietro Aretino e a quello Agli uccelletti del mio giardino nel volumetto Un grido, di sole 36 pagine, che uscì nel 1878 per i tipi milanesi di Brigola e che raggiunse ben cinque edizioni in un anno. Rizzi, il cui programma di esprimere il ‘grido degli affetti’ era certo memore della moda tardoromantica, esponeva nell’iniziale dedica Al lettore la sua difesa di un’arte volta all’ideale artistico, contro lo scadimento tematico che vedeva presso i lirici coevi. Allo stesso modo, nelle pagine precedenti i sonetti ironicamente indirizzati all’Aretino, prendeva posizione contro la poesia dei veristi, di cui criticava la mancanza di quell’ardore e di quello sdegno morale che erano invece nei poeti della generazione precedente.
Tali idee gli procurarono l’avversione di Olindo Guerrini (noto con lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti), che canzonò l’abusato topos aviario di Agli uccelletti del mio giardino nel suo sonetto Candide tortorelle innamorate (in Pagine sparse, 5 febbraio 1878). La replica di Rizzi giunse con il sonetto Povero cigno! (in L’Illustrazione italiana, 14 aprile 1878), mentre Guerrini condusse poi i propri attacchi sulle pagine di Nova Polemica (si veda il volume del 1878) in cui erano confluite le poche pagine della precedente Polemica (e dove ricomparve il sonetto Candide tortorelle innamorate). Nel Prologo il forlivese riprendeva l’immagine rizziana della ‘nudità del Vero’ su cui era necessario gettare il mantello dell’Arte, espressa attraverso l’episodio di Noè coperto dai figli nelle parti virili, per lamentare come l’ideale fosse sceso a fare gli uffici del mantello del patriarca. Criticò inoltre il sonetto Leggendo Dante (in L’Illustrazione italiana, 7 aprile 1878), in cui Rizzi attribuiva all’autore della Commedia qualche «taccherella» di realismo e qualche parola «non gentile» (non sufficienti però a «imbrattarne» l’opera), e controreplicò a Povero cigno!, dicendo di non disprezzare tanto l’ideale, quanto quell’arte che assurgeva a maniera e a «ricetta». Sorte analoga toccò ad altri due componimenti rizziani: il sonetto Lavoriamo! (in Perseveranza, 22 maggio 1878; poi nella quarta edizione di Un grido), in cui il lavoro del poeta era ironicamente ridotto a «fare l’amore», e l’Ode alla regina (in L’Illustrazione italiana, 8 dicembre 1878), che Guerrini intese come mera concorrente dell’omonima carducciana e paragonò in un luogo in particolare a uno scioglilingua. Rizzi, di cui Guerrini aveva deriso, definendoli «macaronici», alcuni versi da un componimento inedito di cui era venuto in possesso, tentò un’ultima difesa con l’articolo Un sonetto macaronico, sotto forma di lettera a Emilio Treves (ibid., 15 dicembre 1878), lamentando come i versi commentati da Guerrini fossero stati arbitrariamente estrapolati.
Alle provocazioni guerriniane si aggiunse quella (meno velenosa) di Giosue Carducci, che menzionò polemicamente l’ideale rizziano in un luogo (successivamente eliminato) della lirica A proposito del processo Fadda (in Fanfulla della domenica, 19 ottobre 1879).
Sempre dedito all’attività didattica, nel 1874 aveva raccolto i componimenti delle sue studentesse in un volumetto (Libro dei componimenti) presentato alla Mostra universale di Vienna e recensito da Angelo De Gubernatis nella Rivista europea. L’episodio aveva sancito l’amicizia con il noto orientalista torinese. Sempre nel 1874 era stato nominato professore di letteratura presso il collegio militare di San Luca. Fra i suoi allievi vi fu anche il principe di Napoli, futuro Vittorio Emanuele III, cui dedicò successivamente cinque anacreontiche (L’accento, L’apostrofo, Stile, Buon gusto, Arte) rimaste inedite.
Scrisse diversi epitalami, come Per le nozze d’oro Gabelli-Varola (1879) e Per le nozze Zava-Bastanzi (1880). Nella poesia Superbia, che uscì nel 1882 presso Brigola, frammento di un programmato (e mai realizzato) polimetro su I sette peccati, indicò nel distacco dalla turba vile e dalle basse contese umane l’unico antidoto alle polemiche letterarie che ne avevano amareggiato gli anni recenti. Sempre nel 1882 vide la luce Della poesia così detta borghese, testo di una lettura tenuta al Circolo filologico di Firenze e summa delle sue concezioni artistiche.
In questi anni pubblicò articoli nella rivista Perseveranza, fra cui una recensione a Opere inedite o rare di Alessandro Manzoni (22 maggio 1883) e lo scritto Giulio Carcano e Carlo Tenca (7 gennaio 1886). Vi pubblicò inoltre necrologi per la morte di Cesare Bertoglio (25 maggio 1883), Giovanni Prato (16 giugno 1883), Giovanni Prati (11 maggio 1884), Nicolò Claus (30 giugno 1884) e Cristoforo Sola (6 luglio 1884). Ma il lavoro più significativo fu probabilmente la cura delle memorie del libraio patriota Vincenzo Maisner, Da Venezia a Theresienstadt, che uscirono nel 1884 a Milano presso la tipografia Boniardi-Pogliani. Del volume Rizzi scrisse la prefazione, in cui ricordava anche quel Luigi Dottesio che era stato amico di Maisner, e come questo processato e condannato a morte dal governo austriaco (sebbene Maisner vide la propria pena commutata a dieci anni di carcere duro, la metà dei quali scontò nella fortezza di Theresienstadt).
Nello stesso periodo, mentre si faceva portavoce di un patriottismo sempre più pacifista, prese le distanze dal trasformismo che si era imposto sotto il governo Depretis (v. Poma, 1939, p. 63).
Nel 1886 vide la luce Dei personaggi dell’Amleto, esito di una conferenza tenuta a Roma il 28 dicembre 1885.
Raccolse in volume le Lettere di Giulio Carcano alla famiglia e agli amici, che uscirono per i tipi di Hoepli (Milano 1887). Nell’introduzione tracciò un ritratto a tutto tondo di Carcano (l’uomo, il patriota e il letterato traduttore di William Shakespeare), e trovò modo di proseguire la sua disputa contro il verismo, affermando che i presunti «documenti umani» che si venivano diffondendo in letteratura erano il più delle volte privi di autenticità (che si troverebbe invece in un epistolario). Nello stesso anno si ritirò dall’insegnamento per motivi di salute.
Al 1889 risalgono due componimenti in dialetto veneziano, El mio vecio veladon (Il mio vecchio soprabito) e La Calçina (dal nome di un noto caffè veneziano) in una plaquette edita a Milano per i tipi della tipografia Varisco. La tematica umile, coniugata a una considerazione ancora popolare e ottocentesca del dialetto in poesia, la tendenza alla facile metaforizzazione (il soprabito liso, ma orgogliosamente privo di macchie) e la rievocazione nostalgica (il celebre caffè diviene occasione per una descrizione bozzettistica della città lagunare) non emancipano questi componimenti dalla scrittura d’occasione (ciò di cui Rizzi stesso si mostrò consapevole nella breve introduzione).
Colpito da un attacco di cuore, morì a Milano la notte del 9 settembre 1889.
Fonti e Bibl.: G. Robustelli, R. e Cavallotti, Milano 1880; M. Ricci, G. R. e la scuola manzoniana…, Firenze 1890; F.L. Rogier, G. R. nel Collegio militare, in Perseveranza, 9 settembre 1890; A. Ronchese, Commemorazione di G. R., Treviso 1890; G.A. Venturi, Commemorazione di G. R., in Perseveranza, 11 gennaio 1890; P. Arrighi, La poésie vériste en Italie, Parigi 1937; T. Poma, G. R., Lugano 1939; G. Natali, Una dimenticata polemica del Carducci, in Mélanges de philologie, d’histoire et littérature offerts à Henri Hauvette, Ginevra 1972, pp. 751 ss.; L. Stecchetti (O. Guerrini), Nova Polemica, a cura di C. Mariotti, Cesena 2011.