RUCELLAI, Giovanni
– Figlio di Bernardo e di Nannina di Piero de’ Medici, sorella di Lorenzo il Magnifico, nacque a Firenze il 20 ottobre 1475. Fu educato da Francesco Cattani da Diacceto – erede di Marsilio Ficino – che dedicò i tre libri del De pulchro a Rucellai e a Palla, suo fratello maggiore (nato nel 1473). Frequentarono quella scuola di eloquenza del Diacceto tanti altri giovani patrizi, fra cui Luigi Alamanni e Pier Vettori.
Nel 1505, dopo esser «più volte andato a Roma occultamente» (F. Guicciardini, Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi, 1998, p. 426), si recò a Venezia per evitare persecuzioni repubblicane e poi seguì suo padre Bernardo in Provenza, visitando i luoghi «dove el Petrarcha compose la maggior parte della opera sua», come scrisse al cognato Lorenzo Strozzi (sposato con Lucrezia Rucellai) il 13 maggio 1506 (Opere, a cura di G. Mazzoni, 1887, pp. 243 s.). Fu uno degli aristocratici coinvolti nell’espulsione del gonfaloniere Pier Soderini e nel reinsediamento del regime mediceo nel settembre del 1512. Pochi mesi più tardi, con l’elezione del cugino Giovanni de’ Medici al soglio pontificio come Leone X, si trasferì a Roma e iniziò la sua carriera ecclesiastica, pur continuando quella letteraria. In curia strinse rapporti amichevoli con Gian Giorgio Trissino, con il quale corrispose nel 1515 quando l’umanista era nunzio in Germania, in compagnia del giovane nipote di Rucellai, Cosimo.
La sua prima tragedia, Rosmunda, fu rappresentata negli Orti Oricellari durante il soggiorno fiorentino di Leone X all’inizio del 1516.
Il 1° luglio 1517 il papa creò trentuno cardinali, fra cui diversi familiari e fiorentini, ma Rucellai restò escluso. Secondo un’anonima storia della casata, a dissuadere Leone X fu Giulio de’ Medici, secondo cui Rucellai «era di gran parentado, huomo di valore et haveva la sua famigla de’ Rucellai unita, potente di ricchezze e di straordinario numero grande di persone», il che rappresentava una troppo temibile «potenza civile» (appendice a Giovanni di Paolo Rucellai, Zibaldone, a cura di G. Battista, 2013, pp. 581 s.). La delusione fu così cocente che Giovanni fuggì a Ostia con l’intenzione di imbarcarsi, ma fu frenato in tempo da Trissino e da Giano Lascaris, inviati dal papa.
Nella primavera del 1520 fu nunzio apostolico in Francia. La sua missione risultò ben più difficile del previsto perché nel corso del 1521 Leone X ruppe i rapporti diplomatici con il re Francesco I alleandosi con gli spagnoli e contribuendo alla cacciata dei francesi da Milano. La promessa del cardinalato attendeva Rucellai a Roma, ma non gli fu possibile ottenerlo a causa dell’inattesa morte del papa il primo dicembre.
Rientrato a Firenze, nella villa di famiglia a Quaracchi, iniziò a comporre il suo poema Le api. Dopo che papa Adriano VI occupò la sede vacante, fu alla testa della delegazione della Repubblica fiorentina e pronunciò l’orazione gratulatoria in elegante latino nel maggio 1523. Alla morte del pontefice olandese, dal conclave nel novembre del 1523 uscì eletto Clemente VII. Questa volta fu il fratello Palla a recitare l’orazione, secondo alcuni scritta da Rucellai, nominato castellano di Sant’Angelo, una carica che tradizionalmente rappresentava l’anticamera al cardinalato. Ma il sogno a lungo frustrato di Rucellai non si realizzò mai, come ricorda anche Piero Valeriano nel De litteratorum infelicitate: a fine marzo 1525 si ammalò di una febbre fulminea che lo portò in pochi giorni alla morte (avvenuta in data imprecisata precedente al 4 aprile 1525, secondo quanto si deduce da una lettera di Iacopo Salviati al figlio Giovanni).
All’inizio di aprile era andato a visitarlo il datario Gian Matteo Giberti, contro il quale sfogò tutta la sua amarezza: «Che vien tu a vedere? S’io son morto? Hai tu ancora disegnato a chi tu vuoi che ’l Papa dia questo castello? Io morrò, et muoio volentieri, per non mi vedere così male tractare et farmi morire di fame dal Papa, che dà a te, che non sa chi tu ti sia, xiiij o xvj mila ducati d’entrata. Ma digli che io confido in Dio, che non ci andrà molto, che gli harà invidia della mia morte; et ne sarai causa tu, che lo hai condotto in modo che è mal voluto da Dio et dal diavolo, et hai rovinato la Chiesa di Dio. Ma tu farai ancor peggio. Levatimi dinanzi, et non mi dire una parola sola, ch’io non ti voglio ascoltare» (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane I, 155, c. 427).
Questo discorso profetico, riferito da Bernardo Bracci al cardinale Giovanni Salviati (il quale condivideva gli interessi astrologici di Rucellai), rivela più delle poche lettere superstiti la personalità appassionata di Rucellai, che non a caso fu scelto come protagonista di due opere, il Dialogo sulla mutazione di Firenze di Bartolomeo Cerretani (1520-1521) e il Castellano di Trissino (1529).
Il dialogo di Cerretani è una vivacissima analisi degli eventi prima e dopo la ‘mutazione’, ovvero del ritorno dei Medici a Firenze nel 1512, di cui Rucellai fu testimone se non attore di primo piano. I suoi giudizi, spesso in linea con quelli espressi dall’autore nei suoi Ricordi, sono prudenti ma taglienti. Gli altri interlocutori sono Girolamo Benivieni e Lorenzo Strozzi, scelti per le loro simpatie savonaroliane; si ritrovano nell’estate del 1520 a Modena, a casa del governatore Francesco Guicciardini.
Il Castellano, intitolato in memoria dell’ultimo incarico di Rucellai, «homo per dottrina, per bontà, e per ingegno, non inferiore a nessun altro de la nostra età» (G.G. Trissino, Scritti linguistici, a cura di A. Castelvecchi, 1986, pp. 21 s.), è ambientato nella Roma del 1524, ovvero nel periodo delle dispute sorte sulla scia dell’Epistola de le lettere nuovamente aggiunte ne la lingua italiana redatta dal Vicentino. A difendere la causa del fiorentino contemporaneo è chiamato Filippo Strozzi, mentre sul fronte ‘italianista’ si colloca Rucellai.
Rucellai è anche uno degli interlocutori dell’inedito e incompiuto Dialogo di Baccio Valori, Giovanni Rucellai, Paolo Vettori e Luigi Guicciardini delle azioni della vita loro (Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Magliabechiano VIII 1422, cc. 1-7r) di Luigi Guicciardini, una riflessione sul ruolo politico dei giovani ottimati nella Repubblica fiorentina.
Le opere letterarie di Rucellai ebbero migliore sorte del loro autore: Le api (Venezia 1539), poemetto didascalico che godé di grande fama nel Cinquecento e soprattutto nel Settecento, ispirò La coltivazione di Luigi Alamanni, insieme alla quale fu spesso ristampato. La tragedia Rosmunda, considerata protomachiavelliana da Riccardo Bruscagli (2011), a differenza della Sofonisba del Trissino «dipinse costumi che l’antichità non avea conosciuti» (Passerini, 1861, p. 141) e rappresentò la storia che precede quella omonima di tema longobardo scritta da Vittorio Alfieri. L’Oreste, lasciato incompiuto da Rucellai, ha uno stile troppo adorno, anche se alcuni apprezzano il patetismo delle scene con Pilade.
Un commento contemporaneo sullo stile di Rucellai si trova nel frammento di Giovanni Girolamo de’ Rossi (dal ms. Laur. Tempi 4, c. 106r, cit. anche in G.G. de’ Rossi, Vita di Federico da Montefeltro, a cura di V. Bramanti, Firenze 1995, pp. XLV-XLVI): «il quale invento si può lodare ma non come cosa che rassomigli, né rappresenti il verso eroico».
Si deve a Palla, fratello maggiore di Rucellai, la prima edizione de Le api con dedica a Trissino. Palla è un personaggio spesso trascurato, ma attivissimo sulla scena politica e culturale del primo Cinquecento: oltre alla missione gratulatoria del 1524 presso Clemente VII, si ricordi l’ambasceria al duca di Urbino nell’aprile del 1527 e il tentativo di resistenza all’espulsione dei Medici nel maggio, che causò il sacco del palazzo di famiglia. Dopo l’assedio, nel 1530, fu ambasciatore presso l’imperatore Carlo V. Il 4 aprile 1532 fu uno dei dodici Riformatori eletti dalla Balìa e il 27 aprile venne decretata la provvisione che stabiliva la costituzione del Principato. Nel settembre del 1533 fece parte della delegazione che accompagnò Caterina de’ Medici sposa al futuro re di Francia Enrico di Valois. Il 9 gennaio 1537, dopo l’assassinio del duca Alessandro, si oppose all’elezione di Cosimo de’ Medici, esprimendo energicamente il suo dissenso nei confronti del cugino Francesco Vettori, come raccontarono Benedetto Varchi, Bernardo Segni e Filippo de’ Nerli. Il nuovo duca non gliene volle, e Palla ottenne poi le cariche di vicario di Certaldo e della Val d’Elsa (1539-40) e di Pescia e della Val di Nievole (1540-41). Concluse la sua carriera come camerario dell’Ufficio del Monte Comune e morì quando era provveditore alle Fortezze dello Stato, il 4 aprile 1543.
Palla era un fine mecenate d’arte, e commissionò a Giuliano Bugiardini (aiutato secondo Vasari da Michelangelo) il Martirio di s. Caterina nella cappella di famiglia a S. Maria Novella; è effigiato nel postumo tondo vasariano di Palazzo della Signoria con il giuramento di fedeltà del Senato fiorentino a Cosimo.
Le attività culturali dei due fratelli furono celebrate anche da Paolo Giovio nel suo dialogo De viris et feminis aetate nostra florentibus (1527-1528), in cui vengono ricordati come «litteratos et elegantes» (P. Giovio, Dialogo sugli uomini..., a cura di F. Minonzio, I, 2011, p. 373) e animatori degli incontri negli Orti Oricellari. Giovio, ricordato fra gli «amici miej» in una lettera di Giovanni a Paolo Vettori del 1524, si rivolse a Pier Francesco Riccio dopo la morte di Palla per aggiungere al suo Museo un ritratto di Leon Battista Alberti attribuito ad Andrea del Sarto, oggi perduto. Un ritratto postumo di Giovanni, con i tomi del poema e della tragedia in primo piano, e con Castel Sant’Angelo sullo sfondo, è conservato a palazzo Rucellai.
Opere. Le stampe de Le api furono tre nel Cinquecento e tredici nel Settecento. Vedi inoltre: Opere di G. R., a cura di G. Mazzoni, Bologna 1887; Lettere dalla nunziatura di Francia (1520-1521), a cura di G. Falaschi, Roma 1983.
Fonti e Bibl.: Giornale de’ letterati d’Italia, 1721, vol. 33, 1, pp. 230-378 (articolo anonimo su Le api che pubblica molti documenti, fra cui l’orazione ad Adriano VI del 1523); F.W. Kent, Due lettere inedite di Giovanni di Bernardo Rucellai, in Giornale storico della letteratura italiana, 1972, vol. 149, pp. 565-569; F. Vettori, Scritti storici e politici, a cura di E. Nicolini, Bari 1972, pp. 9, 208, 333; G.G. Trissino, Scritti linguistici, a cura di A. Castelvecchi, Roma 1986, pp. 21 s.; B. Cerretani, Dialogo della mutatione di Firenze, a cura di R. Mordenti, Roma 1993; Id., Ricordi, a cura di G. Berti, Firenze 1993, pp. 367, 425, 427, 436; F. Guicciardini, Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi, Milano 1998, p. 426; P. Valeriano, L’infelicità dei letterati, a cura di B. Basile, Napoli 2010, pp. 140 ss.; P. Giovio, Dialogo sugli uomini e le donne illustri del nostro tempo, a cura di F. Minonzio, Torino 2011, pp. 373, 597, 685 s., 743; Id., Notable men and women of our time, a cura di K. Gouwens, Cambridge (Mass.)-London 2013, pp. 422 ss.; Giovanni di Paolo Rucellai, Zibaldone, a cura di G. Battista, Firenze 2013, pp. 580 ss.
S. Ammirato, Opuscoli, II, Firenze 1637, pp. 242, 257 s.; E. Gamurrini, Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane e umbre, I, Firenze 1668, p. 279; C. Guasti, Alcuni fatti della prima giovinezza di Cosimo I de’ Medici, in Giornale storico degli archivi toscani, II (1858), pp. 14 s. (sul «libero petto di Palla Rucellai»); L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia Rucellai, Firenze 1861, pp. 139-143; G. Mazzoni, Noterelle su G. R., in Il propugnatore, n.s., 1890, vol. 3, pp. 374-388; L. Staffetti, Il Cardinale Innocenzo Cybo, Firenze 1894, p. 121; R. Devonshire Jones, Francesco Vettori. Florentine citizen and Medici servant, London 1972, pp. 61, 79, 107; M. Marietti, Les Rucellai en France: marchands, humanistes et diplomates, in La circulation des hommes et des oeuvres entre la France et l’Italie..., Paris 1992, pp. 39-60; V. Gallo, Una tragedia cristiana: l’Oreste di R., in Esperienze letterarie, 2001, n. 4, pp. 31-56; T. Piquet, Nature et jardin. Le api de G. R., in Italies, 2004, n. 8, pp. 151-168; R. Bruscagli, Protomachiavellismo della Rosmunda, in Studi di storia dello spettacolo. Omaggio a Siro Ferrone, a cura di S. Mazzoni, Firenze 2011, pp. 87-94; B. Alfonzetti, Il consigliere dall’Utopia alla scena. R., Giraldi, Dolce, in Ead., Dramma e storia. Da Trissino a Pellico, Roma 2013, pp. 3-23; N. Marcelli, R., G., in Enciclopedia machiavelliana, II, Roma 2014, p. 462.