Sacrobosco, Giovanni
Astronomo e matematico originario di Holywood (odierna Halifax); il suo nome fu latinizzato in " Johannes de Sacro Bosco " o " Johannes de Sacro Busto ". Sulla sua vita e la sua attività si hanno soltanto poche e incerte notizie: sembra però che, dopo aver compiuto i suoi primi studi a Oxford, ottenesse il grado di dottore a Parigi dove sarebbe morto nel 1256. Del tutto ipotetica è la sua identificazione con quel Giovanni di Londra che Ruggero Bacone cita, insieme con Pietro di Mirecourt, come il solo matematico di vaglia esistente nelle scuole " latine ".
In realtà S. scrisse dei trattati elementari di matematica, astronomia e cosmologia, che ebbero però larga fortuna e diffusione, come l'Algorismus, il testo di matematica più usato nelle scuole e, soprattutto, la Sphaera o Sphaericum opusculum, fondato sugli scritti di Tolomeo, Alfragano e Albategni. Quest'opera, assai utile per iniziare i giovani scolari ai principi della cosmologia e astronomia classica, ebbe un'eccezionale circolazione manoscritta, fu il primo trattato di astronomia dato alle stampe (Ferrara 1472) e continuò a essere stampato sino al 1669. È noto che numerosi trattati astronomici tardo medievali tra i più interessanti e diffusi ebbero la forma, presto tradizionale, di commenti alla Sphaera.
Senza entrare nel merito delle tesi esposte nella Sphaera (che in genere ripetono, in forma elementare, le dottrine dell'Almagesto e del compendio che ne aveva fatto Alfragano), sarà opportuno tuttavia ricordare che S. spiega, sia pure in modo ancora piuttosto sommario e confuso, la teoria degli epicicli e degli eccentrici mentre in un altro scritto, anch'esso molto diffuso, il Computus ecclesiasticus o De Mundi ratione (1244 circa) parla del " grande anno " o spazio di tempo (15000 anni) al fine del quale tutti i pianeti e le stelle del firmamento torneranno a occupare il loro posto originario.
Per quanto concerne in particolare l'ambito degli studi danteschi, sono molto interessanti e importanti i rapporti già spesso rilevati tra la Sphaera e la Quaestio. Senza entrare qui nel complesso problema dell'attribuzione di questo scritto, sarà utile ricordare il capitoletto " Quae forma sit mundi ", nel quale S. affronta il problema dell'emersione della terra dall'acqua. Se il problema era inesistente per gli astronomi classici, esso si poneva ai filosofi, astronomi e cosmografi cristiani a causa del potenziale contrasto tra la teoria aristotelica (che pone l'acqua e gli altri elementi concentrici alla terra) e l'affermazione biblica che Dio stesso raccolse tutta l'acqua in un solo luogo per far emergere la terra.
Orbene, S. scrive testualmente: " Est enim terra tanquam mundi centrum in medio omnium sita; circa quam aqua; circa quam aer; circa aerem ignis ille purus et non turbidus orbem lunae attingens, ut ait Aristoteles in libro Metheororum; sic eam disposuit deus gloriosus et sublimis. Et haec quattuor elementa dicuntur, quae vicissim a semetipsis alterantur, corrumpuntur et regenerantur... Quorum quodlibet terram orbiculariter undique circumdat, nisi quantum siccitas terrae humori aquae obsistit ad vitam animantium tuendam. Omnia etiam, praeter terram, mobilia existunt; quae [la terra] ut centrum mundi ponderositate sui, magnum extremorum motum undique aequaliter fugiens, sphaerae medium possidet ". Una tale spiegazione, piuttosto oscura e ambigua, offrì già ai primi interpreti della Sphaera l'occasione per chiarire e svolgere a loro modo un tema così complesso e controverso. Così Michele Scotto (v.), nel suo commento dedicato a Federico II, sembrò sostenere che la terra dovesse esser tutta contenuta entro la sfera dell'acqua, al centro dell'universo. Al contrario maestro Campano di Novara avanzò una soluzione che alcuni studiosi considerano sostanzialmente identica a quella sviluppata nella Quaestio: l'acqua non avvolge da ogni parte la terra, come sarebbe necessario per la sua natura, perché il fine della creazione è l'uomo, la cui vita non può svolgersi che sulla terra asciutta. Perciò Dio riunì insieme tutta l'acqua, e la terra, abbandonando la sua naturale forma sferica, emerse da una parte, con una sua sporgenza, al centro dell'universo e degli altri elementi. Il Campano non usa ancora il termine " gibbus terrae " che compare invece in Alberto Magno (Meteor. II 11 6) e che sarà anche usato nel Liber Exaemeron di Egidio Romano (II 22-27); ma la sua teoria propone in sostanza la stessa idea, svolta con grande abilità dall'autore della Quaestio.
Bibl.-Per l'edizione della Sphaera, con i commenti più importanti, cfr. Sphaera cum commentis in hoc volumine contentis, Venezia 1518. Su S. v. principalmente: C.H. Haskins, Studies in history of mediaeval science, Cambridge (Mass.) 1927²; L. Thorndike, A history of magic and experimental science, II, Nuova York 1929, 307 ss. Per i rapporti tra la Sphaera e la Quaestio, cfr. G. Boffito, Intorno alla Quaestio de aqua et terra attribuita a D. - Memoria I: La contesa dell'acqua e della terra prima e dopo D.; Memoria Il: Il trattato dantesco, estri da " Memorie R. Accad. Scienze di Torino " s. 2, LI-LII (1902-1903); V. Biagi, La Quaestio de aqua et terra di D., Modena 1907; F. Mazzoni, La " Quaestio de aqua et terra ", in " Studi d. " XXXIV (1957) 188-190; B. Nardi, La caduta di Lucifero e l'autenticità della Quaestio de aqua et terra, Torino 1959.