SANTINI, Giovanni Sante Gaspero
– Nacque nella contrada Lama, frazione di Caprese Aretino (ora Caprese Michelangelo) in provincia di Arezzo, il 30 gennaio 1787, da Gerolamo e da Caterina Brizzi, terzogenito di undici figli.
La famiglia era di modeste condizioni, ma la presenza di uno zio prete, Giovanni Battista, fratello del padre, fu di notevole importanza per la formazione del piccolo Giovanni. All’età di sette anni lo zio lo prese con sé dapprima nella parrocchia di S. Paolo in Monna e poi in quella di Scoiano e lo istruì nei vari rami del sapere, dalla grammatica alla geometria all’aritmetica. Avendo dimostrato intelligenza vivace e interesse per le varie materie, il giovane Santini fu inviato dallo zio, all’età di quindici anni, al seminario di Prato, dove, dopo solo un anno di permanenza, si rese conto di essere portato verso le scienze matematiche. Nel 1802, sempre sotto l’impulso dello zio prete, venne mandato a studiare all’Università di Pisa, dove seguì corsi di medicina e di legge senza profitto e di matematica, dimostrando in questa disciplina doti eccezionali, tali da consigliare uno studio serio dell’astronomia, all’epoca molto affine alla matematica, sotto la guida di un astronomo di grande rilevanza.
Senza ottenere una laurea dall’Università pisana, Santini si recò all’osservatorio di Brera a Milano, il cui direttore era il celebre Barnaba Oriani. Dopo poco più di un anno, alla fine del 1806, all’età di diciannove anni, Santini ebbe i titoli per essere nominato alla posizione ufficiale di astronomo aggiunto all’osservatorio astronomico di Padova. Questo osservatorio, voluto dalla Serenissima Repubblica di Venezia, era entrato in funzione nel 1767 e il fondatore e primo direttore era stato l’abate Giuseppe Toaldo, uomo intelligente e pieno di iniziativa che al tempo godeva di notevole fama. Alla sua morte, nel 1797, gli succedette nella direzione il nipote abate Vincenzo Chiminello. Proprio in quell’anno era caduta la Repubblica veneta e vennero a mancare le fonti di sostenimento dell’osservatorio, per cui Chiminello provvide ai finanziamenti con i suoi beni personali. Santini divenne astronomo aggiunto di quest’ultimo, quando a causa della tarda età era impossibilitato a seguire scientificamente il discepolo, per cui il giovane ventenne si trovò da solo a gestire tutta l’attività dell’osservatorio.
Bisogna notare che a quei tempi il personale degli osservatori era costituito da due sole persone: il direttore e l’astronomo aggiunto. Pieno di entusiasmo, Santini si dedicò allo studio dei pianetini, determinando la loro orbita, e quindi le loro posizioni in cielo, ricorrendo all’uso delle osservazioni telescopiche. Si trattava di ricerche di avanguardia poiché la scoperta dei pianetini era recentissima. Il primo gennaio 1801 Giuseppe Piazzi aveva trovato all’osservatorio di Palermo il primo di questi, a cui fu dato il nome di Cerere, in onore della Sicilia. Successivamente furono scoperti Pallade e Giunone e, nel 1807, Vesta, a cui Santini dedicò subito la sua attenzione.
La scoperta di nuovi pianetini continuò nel tempo con ritmo crescente, rivelando che si trattava di corpi celesti numerosissimi (a tutt’oggi ne sono stati classificati centinaia di migliaia). I loro moti sono simili a quelli dei pianeti veri e propri e le loro orbite si collocano tra quella di Marte e quella di Giove. La vicinanza di quest’ultimo pianeta, molto massiccio, provoca sulle orbite dei pianetini perturbazioni di cui bisogna tener conto nell’esatto calcolo dei loro percorsi. Le loro dimensioni sono relativamente piccole. Si va da Cerere, il cui diametro non raggiunge i mille chilometri, fino ai più piccoli finora scoperti con diametri inferiori al chilometro. L’insieme dei pianetini era forse destinato a dare origine a un unico pianeta che, per qualche ragione, non è stato in grado di formarsi. Come si può intuire, lo studio dei pianetini costituiva la ricerca di punta dell’epoca e la rappresentazione delle loro orbite segnava l’inizio dello sviluppo della meccanica celeste, che avrà il suo trionfo nel 1846 con la scoperta telescopica del pianeta Nettuno, avvenuta esattamente nella posizione indicata dai calcoli.
Le osservazioni di Vesta da parte di Santini gli permisero di pubblicare una corposa memoria, in cui sviluppava la teoria che permetteva di costruire l’orbita, corredata da tavole numeriche che consentivano di calcolare a ogni istante la posizione del pianetino. Per i suoi calcoli fece uso delle formule che proprio in quegli anni erano state sviluppate dal celebre matematico Carl Friedrich Gauss, a sua volta direttore dell’osservatorio di Gottinga. Oltre a Vesta, Santini rivolse l’attenzione anche ai tre pianetini che erano stati scoperti in precedenza: Cerere, Pallade e Giunone. Le ricerche su questi corpi minori del sistema solare gli valsero notorietà e fama non solo in Italia, ma in tutta Europa, e l’osservatorio astronomico di Padova divenne un punto di riferimento per la scienza astronomica.
Per compiere le sue osservazioni Santini si avvalse dapprima del grande quadrante murale di Ramsenden e del quadrante mobile di Adams, entrambi voluti da Toaldo. Successivamente si adoperò per dotare l’osservatorio di strumenti sempre più precisi con cui misurare con la maggior accuratezza possibile la posizione in cielo dei corpi celesti. Santini dotò l’osservatorio di uno strumento dei passaggi, costruito da Georg Friedrich von Reichenbach e Joseph von Utzschneider nel 1810, che serviva a misurare, con l’ausilio di un orologio, l’ascensione retta delle stelle, fungendo da complemento al cerchio meridiano che indicava la declinazione. Nel 1815 la strumentazione dell’osservatorio si arricchì del circolo moltiplicatore di Reichenbach, che serviva a misurare la distanza delle stelle dallo zenit. Nel 1822 entrò a far parte della dotazione la macchina equatoriale di Utzschneider che fu collocata nella cupoletta più alta della torre di Ezzelino III da Romano. Anche questa serviva per determinare le coordinate celesti delle stelle, dei pianetini e delle comete. Sempre con lo scopo di ottenere misure di posizione di alta precisione, nel 1836 arrivò a Padova il circolo meridiano di Starke, lo strumento più notevole dell’osservatorio, che Santini collocò in un apposito padiglione, costruito sopra una terrazza adiacente alla torre.
Con tutti questi strumenti e altri minori, l’osservatorio di Padova poteva dirsi all’avanguardia per compiere le ricerche che Santini si proponeva. Mancavano i telescopi di grandi dimensioni che nell’Ottocento cominciavano a comparire negli osservatori astronomici sia d’Europa sia d’America, precursori dei veri e propri giganti del XX secolo, che portarono all’affermazione dell’astrofisica. Tuttavia per gli scopi legati all’astronomia di posizione, Padova poteva dire di aver raggiunto l’eccellenza e questo proprio grazie alla posizione di prestigio raggiunta da Santini.
Appena sei anni dopo essere stato nominato astronomo aggiunto, nel 1813, fu nominato titolare della cattedra di astronomia teorica e pratica e poco dopo, alla morte di Chiminello, direttore dell’osservatorio astronomico di Padova. Dal 1845 al 1872 fu direttore dello Studio matematico dell’Università e negli anni accademici 1824-25 e 1856-57 fu rettore dell’Università di Padova. Fu in corrispondenza con i maggiori astronomi europei del tempo. Uno di questi, il barone Xavier von Zach, affermato astronomo di origine ungherese, lo sostenne con consigli e incoraggiamenti fin dall’inizio del suo percorso scientifico e in una lettera del maggio 1822, dopo averlo elogiato per la rapidità nell’essere usualmente il primo a fornire gli elementi orbitali degli oggetti che venivano via via scoperti, così si esprimeva: «Bisogna far vedere agli stranieri (è uno straniero che parla) che le scienze in Italia sono ben coltivate come in qualunque altro Paese e ciò con tanto più di merito in quanto che esse non vi sono né incoraggiate né protette» (Archivio storico dell’Osservatorio astronomico di Padova, Fondo Santini, Corrispondenza III).
Santini fu un profondo didatta che insegnò l’astronomia a varie generazioni di studenti, dotato di un facile eloquio dovuto forse alla sua origine toscana. Oltre alle centinaia di pubblicazioni in cui presentava i risultati delle sue ricerche, compose due notevoli trattati. Il primo, Elementi di astronomia (I-II, Padova 1819-1820), fu definito da von Zach «un’opera classica» con contenuti estremamente vasti che trattano da una parte dei comportamenti in cielo dei pianetini e delle comete e dall’altra della forma e del calcolo delle loro orbite. Questo trattato è caratterizzato da un tale rigore che potrebbe essere consultato anche ai nostri giorni. Il secondo trattato, dato alle stampe a Padova nel 1828, è la Teorica degli stromenti ottici. In quest’opera Santini riversa le sue profonde conoscenze nel campo dell’ottica, rendendola di estrema utilità per tutti quelli che si dedicavano alla progettazione e alla costruzione di strumenti ottici, come telescopi o microscopi. Diversi furono gli astronomi aggiunti che assistettero Santini nel suo lavoro di osservazione, di calcolo e di insegnamento. Ne ricordiamo due, Carlo Conti (1802-1849) e Virgilio Trettenero (1822-1863), che molto contribuirono al duro lavoro al telescopio e dei calcoli a tavolino.
Oltre ai pianeti Santini rivolse il suo interesse alle comete. Ne osservò ben centodieci dal suo arrivo a Padova fino al 1860.
Si trattava di misurare con precisione la posizione in cielo, e questa era la parte al telescopio, per passare successivamente ai laboriosi calcoli per determinare la forma dell’orbita e le efemeridi, cioè le posizioni in cielo nei tempi successivi, in un’epoca in cui l’unico ausilio al calcolo erano le tavole dei logaritmi.
Tra tutte le comete quella cui Santini si dedicò in modo particolare fu la cometa di Biela, così chiamata dal nome del suo scopritore, l’austriaco Wilhelm von Biela, nel febbraio 1826.
Santini determinò il periodo di questa cometa, pari a sei anni e sette mesi. Nel passaggio del 1846 la cometa apparve come spezzata in due e questo fenomeno fu ancora più marcato nel passaggio del 1852, dopodiché la cometa non fece più ritorno: probabilmente si era disgregata nel passaggio vicino al Sole. Era la prima volta che succedeva un avvenimento del genere, ma successivamente per altre comete si osservò la stessa sorte.
Santini pubblicò in ponderose memorie i suoi studi sulla cometa di Biela che gli procurarono, come nel caso dei pianetini, notorietà e fama internazionale. Numerosi furono i campi di ricerca di Santini e sarebbe troppo lungo enumerarli tutti. È da ricordare il Catalogo di stelle equatoriali, che realizzò coadiuvato dal suo aggiunto Trettenero (I-II, 1840-1847, editi dall’Accademia di Padova; III-V, 1857-1870, editi dall’Istituto Veneto).
L’impatto di Giovanni Santini sulla vita scientifica e quella civile è testimoniato dalle numerose accademie scientifiche cui fu ascritto, fra le quali l’Accademia reale delle scienze francese e quella dei Lincei, e dagli altrettanto numerosi ordini cavallereschi conferitigli. Secondo le testimonianze di coloro che ebbero occasione di conoscerlo di persona, Santini fu un uomo notevole per diverse virtù quali la lealtà, l’affabilità del tratto, il rispetto verso i colleghi. Quando venne a Padova prese abitazione presso l’osservatorio astronomico, che lasciò solo negli ultimi anni della sua vita per traferirsi nella villa di proprietà a Noventa Padovana, dove divenne sindaco. Si sposò due volte, la prima con Teresa Pertrovich e, dopo la morte di questa, con Adriana Conforti. Entrambi i matrimoni non furono allietati da prole. Con il passare degli anni la salute di Santini venne meno, producendo un graduale indebolimento delle facoltà intellettive.
Il 26 giugno 1877, all’età di novant’anni, morì nella sua villa di Noventa Padovana.
Fonti e Bibl.: E.N. Legnazzi, Elogio pronunciato sulla bara dell’astronomo G. S. nella Chiesa parrocchiale di Noventa il giorno 28 giugno 1877, Padova 1877; G. Lorenzoni, G. S., la sua vita e le sue opere, Padova 1877; E. Millosevich, Intorno alla vita e ai lavori di G. S., Roma 1878; G. Silva, G. S., Padova 1950; G. S. astronomo. Celebrazioni nel secondo centenario della nascita, 30 maggio 1987, in Atti e Memorie dell’Accademia Patavina di scienze, lettere ed arti, XCIX (1986-1987), Padova 1988, pp. 187-198 (in partic. L. Rosino, Ricordo di G. S. nel secondo centenario della nascita, pp. 169-177; L. Pigatto, S. e gli strumenti della Specola, pp. 187-198).