SASSATELLI, Giovanni
– Nacque a Imola nel 1480 da Francesco.
Le cronache locali fanno risalire le origini dei Sassatelli a Selvaggio, un guerriero germanico del IX secolo dal quale i discendenti avrebbero ereditato la vocazione per il mestiere delle armi. Già nel XIII secolo vengono ricordati fra i principali aderenti alla parte guelfa in Romagna, e come tali segnalati per i loro numerosi seguaci a Imola. Qui la famiglia aumentò nel tempo il suo prestigio; nel 1480 la città era stata assegnata in dote dal papa, insieme con Forlì, a Caterina Sforza, giovane sposa di Girolamo Riario, nipote di Sisto IV. Francesco Sassatelli, il padre di Giovanni, nel 1467, con Francesco Martinelli, aveva presidiato Imola per un anno durante gli scontri che avevano opposto le truppe fiorentine e veneziane dilagate nel suo territorio. Dopo una breve pacificazione, nel 1470 Imola era stata ceduta da Taddeo Manfredi a Francesco Sforza, il quale tre anni dopo l’aveva venduta a papa Sisto IV. Nel 1481, quando Caterina Sforza e Girolamo Riario si recarono da Roma in Romagna per prendere possesso della città, vennero accolti da due distinti cortei, facenti capo alle due maggiori famiglie cittadine, i ghibellini Vaini e i guelfi Sassatelli, che in questo modo ostentarono davanti ai nuovi padroni la loro appartenenza a due schieramenti di potere concorrenti, anche se momentaneamente pacificati.
Dal novembre 1499, quando Caterina Sforza fu costretta a cedere Imola e Forlì a Cesare Borgia, fino all’agosto 1503 – quando il ducato romagnolo del Valentino si dissolse con la morte del padre, papa Alessandro VI – le lotte di parte furono ancora tenute sotto controllo dalla minacciosa potenza del nuovo signore. Ripresero però non appena il pontefice Giulio II, acerrimo nemico del suo predecessore e di tutta la famiglia Borgia, iniziò una campagna militare per recuperare il dominio diretto sulle città romagnole. In ognuna di esse si riformarono i raggruppamenti antagonisti di guelfi e ghibellini, così rilevanti per la loro bellicosa potenza da costringere lo stesso pontefice a tenerne conto nel condurre le sue campagne militari. Giulio II ricorse più volte ai servizi dei Sassatelli, in grado di armare nobiltà e popolo in favore della Chiesa per combattere i veneziani, i quali avevano approfittato della caduta del Valentino, imprigionato dal papa nel novembre 1503, per penetrare in Romagna.
Nel 1504 la fine del dominio del duca Valentino aveva segnato ovunque la ripresa delle lotte di parte; a Imola i ghibellini Vaini e i guelfi Sassatelli si contesero il controllo della città in uno scontro sanguinoso nel corso del quale Sassatelli, diventato a ventiquattro anni capo della famiglia e della fazione, si sarebbe guadagnato il soprannome di Cagnazzo per la spietata ferocia con la quale tenne testa agli avversari. Un’altra versione meno attendibile sull’origine dell’epiteto viene riportata dal cronista imolese Giulio Cesare Cerchiari, che fa risalire l’origine della fama di brutale guerriero alla furia con la quale Sassatelli, appena adolescente, avrebbe determinato la vittoria dei sette cavalieri italiani su altrettanti antagonisti francesi. Esiste anche una tradizione più macabra che attribuiva al condottiero un episodio di cannibalismo, il morso rituale del cuore di un nemico.
A prescindere dalle leggende, le lotte di parte effettivamente insanguinarono la città per quasi tutta la prima metà del XVI secolo. Nel 1504 i guelfi vincitori resero omaggio al pontefice e questi li ricambiò tollerando le ambizioni di Sassatelli, al quale i concittadini attribuirono il titolo di princeps civitatis, riconoscendone la signoria di fatto su Imola. Lo stesso governatore, che rappresentava localmente l’autorità della Santa Sede, non ritenne lesivo delle sue prerogative dichiarare in consiglio che il condottiero doveva essere considerato protettore della città. Ai Sassatelli fu così possibile riservare a sé e ai propri seguaci le cariche più importanti di governo, escludendone i ghibellini, che vennero epurati dal Consiglio dei sessanta ed esiliati dopo la confisca dei loro beni da parte degli avversari. Il gonfalonierato di Giustizia e i seggi del consiglio ristretto dei Conservatori furono assegnati ai guelfi, così come i capitanati e i vicariati dei castelli del contado.
Giulio II non contrastò l’egemonia politica dei guelfi fino alla definitiva sconfitta dei Bentivoglio, respinti da Bologna, dove avevano tentato di rientrare all’inizio dei 1507, grazie anche all’intervento di 1500 fanti imolesi al comando di Sassatelli. Negli anni successivi il pontefice indusse gradualmente i vertici di tutte le città della Romagna ad attenuare lo squilibrio fra le parti con alcuni provvedimenti che consentirono il ritorno degli esiliati. Tuttavia, alla sua morte (1513) e soprattutto dopo quella di Leone X (1521) – e come conseguenza della ripresa delle guerre fra il re di Francia Francesco I e l’imperatore Carlo V in Italia – si avviò una nuova fase di lotte fra fazioni. Francesco Guicciardini ce ne dà una cronaca puntuale e incisiva. «In Imola Guido Vaini, procurato da Scipione Tartagni, uomo pessimo e bestiale, e da altri Tartagni, Broccardi e altri suoi seguaci, ammazzò i Sassatelli, ruinò le case a loro e a altri suoi seguaci e per la terra e contado furono fatte infinite ruberie e mali» (Opere inedite, VIII, Firenze 1866, p. 398).
Sassatelli, alleato con i guelfi di tutta la Romagna, intervenne a Forlì e nell’Imolese, saccheggiando i castelli di Tossignano (Bologna) e di Bagnara di Romagna (Ravenna). Nel 1525, dopo la sconfitta francese a Pavia, dove Francesco I fu imprigionato da Carlo V, Vaini e altri fuorusciti imolesi tentarono di rientrare e di vendicarsi degli avversari. «Un parlare loro era che fra pochi dì Guido e tutti sarebbono in casa, minacciando gli altri» (p. 204). L’unico modo per evitare una strage, scrive ancora Guicciardini, all’epoca presidente di Romagna, sarebbe stato convincere alla pacificazione Sassatelli, «perché oltre a essere lui capo di questa fazione, le offese fatte in Imola sono più contro al sangue suo che contro a tutto il resto della parte; e non pacificando lui con questi altri, non è fatto in Imola niente e tutto quello che si facessi sanza lui non basterà a pacificare la provincia» (p. 400).
Sassatelli aveva avuto il bando dalla Romagna e la confisca dei beni, misure con le quali il presidente Guicciardini cercava ovunque di stroncare gli episodi più feroci delle lotte tra le fazioni, infliggendole alternativamente ai capiparte per indurli a trattare le paci. Per accettare la composizione con gli avversari pose però delle condizioni troppo gravose. La sua posizione di forza come condottiero in grado di mobilitare temibili contingenti militari gli consentiva infatti di trattare con lo stesso pontefice. Per stipulare la pace con gli avversari pretendeva da 2000 a 2500 ducati e un piccolo feudo nel Cesenate, il castello di Roncofreddo, con il quale «coprirebbe la vergogna» di venire a patti con il nemico, «e co’ danari si aiuterebbe nelle necessità sue, che di fatto sono grandi» (F. Guicciardini, Opere inedite, cit., p. 343). Guicciardini concluse la sua presidenza senza ottenere la pacificazione della Romagna; di lì a poco, nel 1527, dopo il sacco di Roma da parte dei lanzichenecchi di Carlo V, i Sassatelli sarebbero riusciti per breve tempo a prevalere sui ghibellini di Guido Vaini.
Solo con la fine delle guerre d’Italia, sancita nel 1530 dall’incoronazione solenne a Bologna dell’imperatore da parte del papa, una maggiore stabilità, garantita dal predominio degli Asburgo nella penisola, rese possibile ai pontefici un controllo più fermo sulle tensioni locali. Nel 1534 Sassatelli e Vaini giurarono solennemente la pace anche se gli antichi rancori non erano ancora sopiti.
Questi patti furono rotti nel 1539, dopo la morte di Sassatelli, che lo colse a Imola in quell’anno. Nelle sue ultime volontà aveva manifestato il desiderio che il suo cadavere fosse avvolto nel saio francescano, prendendo le distanze dal suo passato di guerriero.
Fonti e Bibl.: Malgrado nella Biblioteca comunale di Imola esista un archivio di famiglia, riordinato già nella seconda metà del Settecento da Alessandro Sassatelli nel suo nucleo più rilevante (la serie Genealogia), manca uno studio basato sulle fonti sia sul casato sia su Sassatelli. La sua figura nel XIX secolo è stata anzi oggetto di ricostruzioni spesso fantasiose da parte degli storici locali; il più attendibile, anche perché spesso fa riferimento a documenti dell’Archivio Sassatelli, è tuttora G. Alberghetti, Compendio della storia civile, ecclesiastica e letteraria della città di Imola, Imola 1810. Una prima segnalazione dell’importanza del giacimento documentario per la storia della famiglia si deve a G.G. Bagli, L’Archivio Sassatelli in Imola, in Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia patria per le provincie di Romagna, s. 3, VI (1888), 4-6, pp. 423-486.