SAVELLI (Giordani de Insula), Giovanni
SAVELLI (Giordani de Insula), Giovanni. – Frate domenicano, magister theologiae, vescovo di Padova e di Bologna. Non se ne conoscono data e luogo di nascita.
La documentazione coeva lo identifica come Giovanni Iordanis de Insula de Urbe, o Iohannes Romanus, mentre il cognome Savelli si impone postumo nell’erudizione ecclesiastica (Onofrio Panvinio non ne fa cenno nel suo De gente Sabella). Ne consegue che a oggi l’identificazione piú corretta è quella che vede in Giovanni un membro della casata romana dei Giordani de Insula. A conferma di questa ipotesi vi è la consanguineità con Stefano Iordani de Insula de Urbe, camerario del cardinale Latino Malabranca dal 1280, titolare di un beneficio canonicale a Padova dal 1294, e nunzio e procuratore di Giovanni presso il patriarca di Aquileia nel 1296. L’appellativo Iohannes Romanus fu spesso causa di omonimia con il contemporaneo e confratello Giovanni Colonna.
Vestì l’abito dei domenicani forse nel convento romano di S. Sabina.
Non hanno invece riscontri le ipotesi di un suo legame con il convento di S. Agostino di Padova prima dell’elezione all’episcopato padovano. Dal testamento (1302) emerge piuttosto un legame con il convento fiorentino di S. Maria Novella al quale Giovanni restituì un panno di seta del proprio letto già appartenuto a quel convento. Inoltre, frati fiorentini sono parte del suo entourage a Roma, a Padova, a Bologna. Ciò è coerente con una carriera che fu nell’alveo della provincia romana, come documentano gli atti dei capitoli provinciali dell’Ordine.
La prima notizia che lo riguarda è del 1287, quando Giovanni fu nominato lettore nel convento romano di S. Maria sopra Minerva. Due anni dopo, nel 1289, il capitolo provinciale di Viterbo lo nominò predicatore generale. Nel 1294, insieme al confratello Ugo Lucano, fu designato diffinitor della sua provincia per il capitolo generale dell’anno successivo, e prima del 1295 è datata, secondo Thomas Kaeppeli, la laurea in teologia a Parigi. Secondo Johannes Meyer fu dottore nel sacro palazzo apostolico (doctor sacri palacii); nello stesso anno la provincia romana delegò lui e Ugo Lucano al capitolo generale dell’anno successivo per l’elezione del maestro generale, ma Giovanni non partecipò essendo stato eletto nel frattempo all’episcopato padovano.
A Padova, il 14 novembre 1295, l’elezione su designazione di Bonifacio VIII cassava di fatto la scelta del clero locale, caduta invece sul canonico Oliviero da Monselice. Vicende del genere, che registravano i diversi obiettivi della politica curiale e delle scelte capitolari locali, erano frequenti nelle elezioni vescovili tardoduecentesche e si risolvevano in genere con l’ingresso in sede locale del candidato gradito alla Curia romana.
A Padova, Giovanni non era stato comunque la prima scelta di Bonifacio VIII, che nell’ottobre vi aveva destinato il ministro generale dei francescani Raimond Geoffroy; ma costui non accettò né questa nomina né la successiva alla sede arcivescovile milanese.
La consacrazione, l’8 aprile 1296, diede ufficialmente inizio al primo episcopato mendicante nella città veneta: un episcopato breve e senza soluzione di continuità rispetto ai precedenti. Ne è indice la composizione della familia vescovile, di provenienza in parte locale e in parte romana ma secondo criteri di disseminazione dal centro di cui Giovanni fu parte e non causa, e la cui collaborazione con quel vescovo non si estese comunque oltre il breve tempo padovano.
Esterne alla familia erano invece le figure più vicine a Giovanni e destinate a seguirlo oltre gli anni padovani, come lo scriba Manfredo di Tommaso da Osimo e i domenicani Provenzano da Spoleto e Giovanni da Firenze suo socius e confessore.
Anche l’amministrazione ecclesiastica nel temporale e nello spirituale non presentò discontinuità con i governi vescovili precedenti, essendo affidata ai vicari e incentrata sulla ratifica delle clientele vassallatiche, sulla collazione dei benefici e su interventi di pacificazione nei monasteri benedettini della città e della diocesi. In particolare nel 1298, su mandato del papa, Giovanni presenziò alla conclusione degli accordi tra l’abbazia camaldolese della Vangadizza e il Comune di Padova al quale la pace con gli Estensi del 1294 aveva confermato il dominio sui territori confinanti con l’Adige e il Veronese. Una riforma dell’esistente fu anche quella che riguardò la confraternita dei Battuti del Duomo, come attestano gli statuti del 15 febbraio 1298. Priva di fondamento è invece l’attribuzione a lui di un sinodo diocesano e di un corpus di statuti sulla vita del clero (da riferirsi al suo predecessore Bernardo di Agde).
Il 10 gennaio 1299 Bonifacio VIII trasferì Giovanni alla cattedra bolognese, vacante a seguito della morte di Schiatta Ubaldini. Pur non trattandosi per l’episcopato felsineo del primo vescovo domenicano, l’avocazione alla S. Sede della designazione dell’ordinario diocesano era questa volta in discontinuità con la storia più recente della città, caratterizzata da una piena integrazione tra ‘Chiesa cittadina’ e ‘Chiesa curiale’ (Paolini, 2007).
Ciò nonostante, il primo compito di Giovanni fu la conclusione delle trattative di pace avviate dal predecessore tra la città e i Lambertazzi. Dopo una breve proroga del governo padovano in spiritualibus et temporalibus, chiesta al papa dal podestà di Padova Carlo dei Canti da Pistoia (ne dà conto l’erudito settecentesco Giovanni Brunacci), Giovanni iniziò il suo governo (come quinto del suo nome sulla cattedra bolognese). Anche questo episcopato fu breve; egli fu chiamato spesso ad assolvere a mandati di curia che riguardarono sia la politica romana, sia la sua diocesi. Per conto di Bonifacio VIII fu collettore della decima papale (nel 1299 nella Marca trevigiana e nei patriarcati di Aquileia e Grado; nel 1301 nelle diocesi di Ravenna e Romagna per il recupero della Sicilia), e provvide ad azioni di riforma di enti monastici locali: il monastero benedettino di S. Elena di Sacerno, che fu unito alla chiesa e convento servita di S. Giuseppe di Galliera, e il monastero femminile di S. Maria Maddalena di Valdipietra fuori porta Saragozza. Il 20 dicembre 1300 intervenne (con il confratello Ramberto da Bologna) nell’epilogo del processo contro Armanno Pungilupo. In ultimo (1302) si segnalano la mediazione nella contesa tra i parroci e i conventi francescani e domenicani della città in tema di cura d’anime, e un conflitto con il Comune di Bologna in merito a un mulino in Castel del Vescovo su cui l’ente comunale pretendeva il pagamento del dazio. Quello stesso anno Giovanni intervenne al capitolo generale dell’ordine in Bologna. Morì di lì a poco, il 9 luglio 1302, avendo dettato testamento il 5 luglio, e fu sepolto nella chiesa di S. Domenico.
In quanto vescovo-frate, Giovanni – pur dovendo amministrare secondo la liturgia della sua chiesa – ottenne dal papa licenza di recitare in privato l’ufficio divino secondo le consuetudini del proprio Ordine. In quanto domenicano e magister, fu un vescovo predicatore (riferimenti a suoi sermoni in Kaeppeli, 1975, e in Schneyer, 1971). Il Tractatus de Indulgentia S. Mariae de Portiuncula del frate minore Francesco di Bartolo da Assisi ne ricorda una predica nella cattedrale bolognese di S. Pietro, nella quale Giovanni menzionava appunto tale indulgenza.
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