SCALFAROTTO, Giovanni
SCALFAROTTO (Scalfurotto, Scalferotto), Giovanni. – Nacque il 17 aprile 1672 a Venezia, nella parrocchia di S. Pantalon, secondogenito di Tommaso, muratore originario di Valmarino (attuale provincia di Treviso), e di Maddalena. Il secondo nome Antonio, in uso fin dall’Ottocento, non trova attestazioni nei documenti, mentre nella fede di battesimo sono riportati i nomi Giovanni e Pasqualino.
Secondo Tommaso Temanza (Zibaldon, 1738, 1963, pp. 53 s.) Giovanni fu un giovane irrequieto, che, dopo aver abbandonato la scuola dei padri carmelitani, venne mandato dai genitori a vivere con la sorella Maria (nata nel 1669) e messo ad apprendistato presso un mercante di droghe. Giovanni, tuttavia, difficilmente poté essere cresciuto dalla sorella – madre dello stesso Temanza – più anziana di soli tre anni, e non di dodici come indicato nello Zibaldon, e non intraprese il mestiere di mercante, dal momento che nel 1693, a ventuno anni, era già impiegato quale 'murer' presso il cantiere dell’altare della Cappella di S. Domenico progettato da Antonio Gaspari per la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo a Venezia. Sempre stando a Temanza (Zibaldon, 1738, 1963, pp. 102-108), responsabile dell’educazione professionale di Scalfarotto nel campo dell’architettura sarebbe stato Andrea Musalo, matematico, ingegnere e teorico dell’architettura di origine candiota, incaricato dal Senato veneto del pubblico insegnamento di nautica nel 1697. Anche il divario anagrafico con Musalo era minimo (circa sei anni), e risulta più plausibile pensare a un rapporto di amicizia, testimoniato anche dai libri di architettura civile e dagli strumenti da disegno lasciati in eredità a Scalfarotto da Musalo. È quindi verosimile che la formazione professionale di Giovanni avvenisse nel contesto famigliare, sulle orme del padre, dal quale ereditò il mestiere anche il fratello di Giovanni, Bartolomeo, muratore e scultore.
Tra il 1696 e il 1710 il nome di Scalfarotto compare quale 'murer' tra le licenze edilizie dei giudici del piovego: tra i suoi committenti si segnala la famiglia Widmann, per la quale lavorò a più riprese tra il 1708 e il 1713. In questi anni appare anche legato all’Arte dei mureri, cui presentò copia della fede di battesimo nel 1706.
L’anno della svolta professionale – quando Giovanni era ormai sulla soglia dei quarant’anni – fu il 1711: nei mesi di febbraio e di marzo Scalfarotto compì un viaggio a Roma con Domenico Rossi, Giuseppe Torretti, Pietro Baratta, Domenico Piccoli e Biagio Isperge (cfr. Rossi, 2000), e, pochi mesi dopo il rientro, il 9 settembre fu nominato proto all’Arsenale, carica che ricoprì fino al 22 febbraio 1755. Questa attività lo vide coinvolto per lo più in lavori di routine, come la stesura di perizie e la supervisione di piccoli restauri e riparazioni a fabbriche dell’Arsenale. Fanno eccezione la ricostruzione delle sale delle Armi – realizzate tali e quali a come erano prima dell’incendio che le aveva distrutte – e la travagliata progettazione del Tezzon alle Seghe, un deposito per il legname. La costruzione si protrasse per diversi anni (1736-1744), e del ritardo e conseguente aumento dei costi – dipendenti dal suolo inadatto alla costruzione – Scalfarotto venne incolpato, tanto da essere momentaneamente sospeso dall’incarico di proto. L’edificio, tutt’ora esistente, ma in gran parte rimaneggiato nel corso dell’Ottocento, era lungo 145 metri e si articolava in tredici arcate prive di ordini con finestre orbicolari memori dell’architettura tardoromana.
Nel 1712, dopo aver visitato il luogo con Luca Carlevarijs, Giovanni presentò il disegno e il modello per un monastero femminile da erigersi presso S. Maria del Monte a Conegliano, la cui costruzione, a quanto noto, non prese però mai avvio.
In data non nota, ma presumibilmente nel primo o secondo decennio del Settecento, Giovanni sposò Caterina quartogenita di Domenico Rossi, dalla quale ebbe tre figli: Caterina, monaca a S. Martino, Giovanna, che si sposò con il parmense Giacomo Turchi, e Tommaso (1719-1790), futuro proto del magistrato alle Acque. Dopo la morte di Caterina (1719), in seconde nozze sposò Marina, figlia dell’architetto Andrea Tirali, da cui non ebbe figli che raggiunsero l’età adulta. Questa seconda unione gli valse tuttavia la nomina a proto ai monasteri su supplica del suocero (1736). Eletto il 16 settembre 1737, detenne l’incarico fino al febbraio 1762, occupandosi per lo più della stesura di perizie e relazioni sullo stato di chiese e monasteri della Serenissima.
Venne inoltre consultato sui restauri di consolidamento delle cupole di S. Giorgio Maggiore (1718) e di S. Marco (1737 circa) e nei diari del medico riminese Janus Plancus, ovvero Giovanni Bianchi (1740, 2008, p. 56), è testimoniata anche la sua partecipazione al salotto letterario del futuro console britannico Joseph Smith nell’agosto 1740.
Il periodo di maggior attività per Scalfarotto coincise con il terzo e il quarto decennio del XVIII secolo. Nel 1724 presentò i progetti per le chiese di S. Eufemia a Rovigno e di S. Maria del Rosario a Venezia, che tuttavia non vennero accettati. Nel primo caso i rovignagni gli preferirono Giovanni Dozzi, nel secondo i padri domenicani affidarono i lavori a Giorgio Massari sebbene all’epoca Giovanni prestasse abitualmente servizio per il convento.
Nello stesso periodo Scalfarotto fu impegnato nella realizzazione del tabernacolo della Scuola dei Carmini, posto sull’altare dell’omonima chiesa (1724-25), e nel cantiere di Ca’ Corner della Regina, dove fu proto aggiunto di Domenico Rossi (1725). Nel 1726 realizzò una controscarpa per il campanile di S. Giorgio Maggiore, e l’anno successivo stese alcune perizie per la scuola di S. Giovanni Evangelista, ma i lavori di restauro necessari vennero affidati a Massari.
Tra le opere incerte di questo periodo ricordiamo il campanile della chiesa di S. Pantalon a Venezia e lo scalone monumentale di villa Giovanelli a Noventa Padovana. Quest’ultimo, tradizionalmente riferito a Massari e datato 1739, venne molto probabilmente realizzato già negli anni Venti. Il progetto iniziale, affidato a Marco Torresini prima del 1726, venne abbandonato, e i Giovanelli, su consiglio del pievano di S. Simeon Piccolo, don Giovanni Battista Molin, chiesero nuovi disegni a Scalfarotto, cui probabilmente fu affidato il lavoro (Montecuccoli degli Erri, 1993, pp. 713-731).
Agli anni Venti risale anche il legame con la Scuola Grande di San Rocco, che durò almeno fino al 1739 e vide i maggiori interventi per la chiesa della confraternita, per la quale Scalfarotto diresse il restauro delle mura perimetrali (1726) e progettò gli altari laterali (1733), interventi, questi, lodati nei decenni successivi in quanto rispettosi dell’architettura di Bartolomeo Bon (Temanza, 1778, p. 99, nota a; Milizia, 1785).
Intorno al 1733 venne chiamato a svolgere dei lavori di restauro sull’isola di S. Servolo, ma, diversamente da quanto si legge ancora oggi, non fu responsabile della progettazione dell’ospedale, affidato ai muratori Brunello e all’architetto Massari dopo il licenziamento di Scalfarotto, avvenuto nel 1752.
Dal suo catalogo vanno escluse anche le attribuzioni del campanile di S. Bartolomeo a Rialto (opera di Giovanni Maria Scarpato e Giorgio Domenico Fossati), e i lavori per Ca’ Zenobio ai Carmini e per il palazzo Contarini degli Scrigni, attribuitigli da Gianjacopo Fontana (1865).
Nel 1735, inoltre, Scalfarotto si recò con il nipote Tommaso Temanza a Rimini per rilevare il ponte e l’arco di Augusto (Temanza, 1741). Sempre in questo periodo, si può collocare il rapporto con il giovanissimo Giovanni Battista Piranesi, di cui, stando a Giovanni Lodovico Bianconi (1779), Scalfarotto fu maestro.
Il curriculum professionale di Giovanni fin qui presentato è quello di un architetto la cui carriera decollò quasi a quarant’anni, forse grazie ai legami familiari, e che appare impegnato per lo più in lavori di piccola entità sparsi per Venezia. Fa eccezione la chiesa dei Ss. Simeone e Giuda Apostoli (1718-1738), detta di S. Simeon Piccolo, maggiore opera assegnata a Scalfarotto, e per la quale egli viene solitamente ricordato.
La chiesa, una rotonda con pronao su un alto basamento che cela un cimitero, è stata a lungo presentata come una versione veneziana del Pantheon, anticipatrice del movimento neoclassico. A un’analisi formale più approfondita, rivela in realtà una serie di dotte citazioni che vanno al di là del celebre monumento romano, o di sue rielaborazioni quali il tempietto di Andrea Palladio a Maser. Il presbiterio rettangolare biabsidato rimanda alle soluzioni addottate da Palladio e Baldassare Longhena rispettivamente per il Redentore e per la Salute, e sempre di matrice veneziana o meglio veneto-bizantina è la grande cupola. La scelta, poi, di addossare un pronao a una pianta circolare è memore dell’architettura barocca del Seicento (ad esempio le chiese gemelle di piazza del Popolo a Roma), mentre l’organizzazione spaziale del cimitero ricorda quella delle catacombe paleocristiane, forse mediata dalle rielaborazioni di Pietro da Cortona nelle chiese di S. Maria in via Lata e dei Ss. Luca e Martina. L'impianto della chiesa, infine, ricalca quello del mausoleo di Romolo nel circo di Massenzio lungo la via Appia.
Scalfarotto, il cui nome è impresso sull’architrave interna del pronao e fu già legato all’edificio da Temanza, (1778, pp. 431 s. nota b), fu sicuramente presente in cantiere nel 1721, quando ne viene definito proto dal capitolo della chiesa. La complessità di questo progetto architettonico, tuttavia, mal si addice al suo profilo professionale non particolarmente brillante, che può essere riassunto nel ruolo di proto addetto alla stesura di perizie e stime. Permangono dunque i dubbi – già avanzati da Elena Bassi (1993) – sul suo ruolo quale autonomo progettista dell’edificio, e si è indotti a pensare che le sue responsabilità progettuali per S. Simeon Piccolo vadano ridimensionate e che, in quanto proto, possa aver diretto i lavori e steso un progetto ricevendo suggerimenti dalla committenza.
A partire dagli anni Quaranta le notizie su Giovanni, ormai settantenne, si diradano. Nel 1741 diresse i lavori per l’altare di S. Nicolò nella chiesa di S. Andrea della Zirada, opera per la quale fornì anche i materiali. Tra il 1744 e il 1745 venne poi realizzata la cappella della S. Casa di Loreto nella chiesa di S. Pantalon, attribuita alternativamente a Giovanni o al figlio Tommaso.
Tra il 1748 e il 1750, dopo aver abitato nella parrocchia di S. Agnese in una casa di proprietà di Marco Musalo (forse il fratello di Andrea), Scalfarotto si trasferì a S. Maria Formosa, dove abitò con il figlio pagando un affitto annuo di cinquanta ducati, indice di una discreta agiatezza economica.
Nel 1754 dettò le sue ultime volontà: furono nominati eredi principali la moglie Marina, cui lasciò i beni in Venezia, e il figlio Tommaso, che ereditò terreni, case e beni mobili a Valmarino, dove gli fu richiesto di costruire una chiesetta in cui officiare giornalmente una messa per i defunti. All’amato Tommaso lasciò i propri disegni e modelli.
Morì a Venezia il 10 ottobre 1764 e venne sepolto nella chiesa di S. Maria Formosa.
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