SERCAMBI, Giovanni
– Secondo quanto Sercambi scrive nelle sue Croniche, nacque a Lucca il 18 febbraio 1347, da Iacopo di ser Cambio e da Lucia di Ciomeo di Betto di Camporo. Un documento presente nell’Archivio di Stato di Lucca, datato 15 settembre 1370, tuttavia, lo mostra di fronte a un notaio asserire di avere più di 25 anni, permettendo, dunque, di retrodatare la sua nascita almeno al 1345.
Nel 1372 comparve tra i consiglieri per il terziere di S. Paolino; nel 1377 fu nominato fra i tre incaricati del pagamento ai soldati e castellani presenti nelle fortezze della Repubblica lucchese, mentre nel 1382 fu ambasciatore ad Arezzo, per convincere il signore Alberico da Barbiano a non invadere Lucca. Agli inizi degli anni Novanta, si avvicinò politicamente ai Guinigi, i quali stavano occupando posizioni chiave all’interno delle morenti istituzioni repubblicane cittadine. La sera del 15 febbraio 1400, Lazzaro Guinigi fu assassinato dal fratello Antonio e dal cognato, Nicolao Sbarra, creando in Lucca una situazione politica incandescente. Firenze, approfittando di questo scenario incerto, mosse le sue truppe a ridosso dei confini orientali e meridionali dello Stato lucchese. Ne trasse vantaggio Paolo Guinigi, il quale, sostenuto da Sercambi, attuò la formazione di un proprio potere signorile cittadino.
Nel biennio 1409-10 Sercambi fu nominato condottiero, uno dei tre uomini incaricati del pagamento ai soldati mercenari, con il compito anche di controllare le fortezze e i loro comandanti. Nel 1405, era stato scelto per redigere il nuovo statuto della Corte dei mercanti, mentre nel 1420 prese posto in seno al Consiglio dell’ospedale di S. Luca, uno dei più antichi della città. Un altro ufficio in cui la sua presenza ed esperienza furono apprezzate fu quello dell’Abbondanza, che aveva l’incarico di determinare il prezzo del grano. Dal 1411 al 1422 entrò a far parte dell’Officio sopra le Entrate, il più alto ufficio in campo economico della signoria lucchese.
Incominciò a scrivere le Croniche intorno al 1369, quando Lucca si stava affrancando dal dominio di Pisa, iniziato nel 1342.
Secondo il suo intendimento, sono suddivise in tre periodi: il primo va dal 1164 al 1313 (anno dell’inizio del dominio sulla città di Castruccio Castracani), capp. I-CXVII; il secondo va dalla conquista di Lucca di Uguccione della Faggiola fino al 1368, capp. CXVIII-CLXXII; il terzo, dalla recuperata libertà e dalla fine dell’occupazione pisana fino al momento in cui avrebbe terminato di scrivere, capp. CLXXIII-DCC.
Sono state tramandate da due distinti codici, ambedue in pergamena e considerati autografi. Del primo, che fu in possesso di Paolo Guinigi, sono da ricordare le vignette acquerellate (ammontano a ben 540), oltre ad altre figure umane e scudi araldici. È verosimile che sia stato lo stesso autore a realizzarle. Pure della seconda parte delle Croniche possediamo l’originale, già appartenuto ai Guinigi, che ne vennero in possesso nel corso del XVI secolo, a seguito di una donazione alla famiglia a opera di Benedetto Bocci, che lo aveva fatto restaurare.
L’edizione delle Croniche fu piuttosto travagliata. È merito di Ludovico Antonio Muratori aver rinvenuto una parziale e scorretta copia della seconda parte. Una volta pubblicata, cominciò subito a richiedere al governo lucchese il testo originale per poterlo pubblicare integralmente all’interno dei Rerum Italicarum Scriptores. Il fatto che fosse stato bibliotecario presso la corte modenese per oltre cinquant’anni, però, mise subito in guardia le autorità locali, che gli negarono il permesso di pubblicare i due codici. Fu questa relazione tra Muratori e la corte modenese ad alimentare i sospetti dei lucchesi, che vedevano Modena agire dietro il suo operato. Nel corso degli ultimi due secoli la Repubblica lucchese e il ducato modenese avevano, infatti, più volte rischiato uno scontro militare, e fu anche per questo motivo che Lucca non volle in nessun modo agevolare il lavoro di Muratori. Solo un secolo dopo, fu concesso all’Archivio storico italiano di pubblicare integralmente la cronaca. L’incarico fu affidato a Girolamo Tommasi, direttore pro tempore dell’Archivio di Stato di Lucca, il quale però morì nel 1846, lasciando non terminato il lavoro. Esattamente venti anni dopo, l’Istituto storico italiano commissionò all’allora direttore Salvatore Bongi, l’incarico di trascrivere integralmente i due codici delle Croniche, che uscirono in tre volumi nel 1892.
Non ci è giunto invece il manoscritto originale delle Novelle. Possediamo solo una copia su carta (Milano, Biblioteca Trivulziana, 193), acefala e apografa, databile agli ultimi decenni del Quattrocento. Sercambi immaginò che un gruppo di lucchesi, per sfuggire la peste, intraprendesse un viaggio attraverso numerose località italiane, facendo poi ritorno a Lucca, una volta cessato il pericolo del contagio. Il gruppo, guidato da un «excellentissimo homo et gran riccho» a nome Aluisi (nome che potrebbe alludere al signore Paolo), aveva giurato che per tutta la durata del viaggio avrebbe vissuto castamente, seguito le pratiche religiose e che non si sarebbe cibato di carne.
Nel corso del 1399, quando Sercambi scriveva sia la seconda parte delle Croniche sia le novelle, a Lucca avvenne un fatto di carattere politico-religioso che lasciò una profonda eco nei contemporanei: il pellegrinaggio dei bianchi. Costoro erano pellegrini che intendevano fare penitenza, indossando semplici vesti, preceduti da un’immagine di Cristo crocifisso. Il loro scopo era quello di portare la pace entro le città avvelenate dal morbo della discordia politica. Non è da escludere che Sercambi abbia tratto ispirazione dal pellegrinaggio dei bianchi per inventare la brigata che compare nelle Novelle.
Praticamente sconosciute fino ai primi anni del XIX secolo, le Novelle videro una prima incompleta edizione a opera di Bartolomeo Gamba, che nel 1816 ne pubblicò venti, esemplate su una copia condotta sul Trivulziano 193, oggi perduta. Dopo quella data numerose altre edizioni incomplete videro la luce finché, nel 1972, Giovanni Sinicropi approntò la prima edizione critica, seguita due anni dopo da quella di Luciano Rossi e poi, infine, ancora da una nuova edizione di Sinicropi, uscita nel 1995.
Con il breve scritto politico Nota ai Guinigi, Sercambi intese spiegare ai membri della omonima consorteria il modo di consolidare l’influenza politica sulla città. Secondo Bongi, che ne curò l’edizione, il trattatello fu scritto nel corso del 1392, subito dopo il successo politico dei Guinigi sui Forteguerra, e prima del 15 febbraio 1400, quando uno degli uomini menzionati da Sercambi nella dedica, Lazzaro di Francesco, morì.
Una sorta di damnatio memoriae è caduta per secoli sul nome di Sercambi, per essere stato associato a quello di Paolo Guinigi. La critica che gli storici lucchesi, specie quelli del XIX secolo, gli hanno sempre rivolto è quella di avere appoggiato la signoria guinigiana, rendendosi complice del soffocamento delle libertà repubblicane lucchesi.
Se in effetti con l’ascesa di Guinigi cambiò l’assetto politico generale delle istituzioni lucchesi, che transitarono da un modello repubblicano a uno signorile, è pur vero che sostanzialmente ben poco cambiò. Paolo abolì i principali organi repubblicani, quali il Collegio degli anziani, il Consiglio generale e quello dei Trentasei, e li sostituì con un consiglio permanente, formato da pochi membri della sua famiglia e da alcuni cittadini lucchesi fedeli. Rimasero invece anche sotto le nuove insegne signorili le figure del podestà e del vicario.
Vero è che Sercambi si mostrò sempre un devoto sostenitore dei Guinigi, ma egli sentì anche il bisogno di annotare nelle sue Croniche alcuni eventi negativi che gli accaddero per il solo fatto di essere un partigiano di quella famiglia. A Venezia rischiò di essere ucciso da alcuni fuoriusciti lucchesi avversi alla fazione guinigiana che lo riconobbero (Le croniche..., a cura di S. Bongi, 1892, III, pp. 338 s.) e a Lucca fu dato fuoco alla sua bottega di speziale (p. 339). Ma fu probabilmente un altro evento a far mutare definitivamente il suo appoggio ai Guinigi (pp. 339-344). Sercambi riportò nelle Croniche di quando ebbe da recuperare una piuttosto ingente quantità di denari in seguito alla morte di suo zio Giglio a Parigi. In quell’occasione, i Guinigi non gli permisero di raggiungere la Francia, con grande disappunto di Sercambi.
La sua figura risulta emblematica in un’epoca in cui le lotte cittadine rappresentavano l’occasione di scrivere quegli stessi fatti, inserendoli in cronache che rappresentano uno tra i più importanti lasciti del Medioevo italiano. Sercambi non fu un soffocatore delle libertà e dei privilegi cittadini, preferendo una forma di potere oligarchica anziché tirannica, ma fu giocoforza accettare la signoria di Paolo Guinigi in quanto unica soluzione realistica possibile.
Quasi ottantenne, il 21 febbraio 1424, dettò il testamento al notaio ser Domenico Ciomucchi. Non avendo avuto figli, lasciò alla moglie Pina, che era anche sua zia materna, e ai suoi nipoti una somma ragguardevole, composta da terreni e case. Come da suo desiderio, fu sepolto nella chiesa di S. Matteo. Paolo Guinigi stanziò cento fiorini per il suo funerale, estremo saluto e gesto di stima nei confronti dell’amico e fidato consigliere.
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