SIGINOLFO, Giovanni
– Nacque in data imprecisata, verso la fine della prima metà del XIII secolo, da Pietro Siginolfo e da una certa Marotta.
Esponente della nobiltà napoletana del seggio di Capuana (consta che un Riccardo Siginolfo, forse fratello di Giovanni, abbia sposato Agnese Dentice, famiglia del medesimo seggio), apparteneva a una famiglia di possibili origini longobarde, che già in epoca federiciana si era affermata in città e teneva beni feudali a Napoli, nel casale di Posillipo e nelle immediate pertinenze, ma che non sembra impegnata negli uffici.
Si ha invero notizia di un notaio Sechenolfus di Benevento, che fu inquisitore per Federico II sui proventi della chiesa della città, le cui relazioni di parentela con i Siginolfo di Napoli restano ancora oggi incerte.
Con l’arrivo di Carlo I d’Angiò i Siginolfo, grazie a Giovanni, entrarono con prepotenza nell’amministrazione finanziaria del Regno, probabilmente grazie alle cospicue disponibilità economiche accumulate negli anni precedenti.
Le prime notizie che si hanno di lui risalgono al 1269, quando Siginolfo fu secreto di Principato. L’anno successivo, il 2 giugno 1270, tenne con Stefano Sivirino il fundaco e la dogana di Castellamare e poco dopo, nel 1271, fu incaricato dal re come commissario, insieme a Sergio Pinto di Napoli, per la pulizia e messa in sicurezza dell’acquedotto di Napoli; in particolare, gli fu chiesto di depurare le acque della zona orientale della città che sgorgavano dalla fonte Formelli.
Il mandato ricevuto non venne condotto a termine come auspicato, tanto che anni dopo i due ufficiali vennero accusati di aver speso solo 16 delle 100 once stanziate per i lavori e di averne intascato il rimanente. Ciò nonostante i primi anni del governo di Carlo I videro Siginolfo ininterrottamente impegnato in incarichi pubblici: nel 1272-73, gli fu affidato il compito, insieme a Madio Rubeo, di portare a corte il denaro raccolto nella provincia del giustiziere di Terra di Lavoro, Rainaldo de Poncelles; nel 1275 per i servigi resi alla corte venne esentato dagli oneri feudali (teneva beni feudali in Acerra); poco dopo, il 18 aprile 1277, il re lo fece chiamare a corte perché la sua presenza era ritenuta necessaria e di lì a qualche mese, il 2 novembre, ricevette un’importante promozione e venne nominato maestro portolano in Abruzzo e Puglia, insieme con Angelo Sarnelle.
Come portolano, ufficio che tenne almeno fino al febbraio del 1278, intrecciò la sua attività con quella degli altri ufficiali delle periferie operanti nella zona.
Si occupò di approvvigionare la nave Santa Maria dei Templari nel porto di Brindisi, restaurata dal viceammiraglio del Regno dal fiume Tronto a Crotone, Simon de Beauvoir, in partenza per portare vettovaglie a Ruggero Sanseverino, insediatosi ad Acri come vicario generale; dovette recuperare 80 once e inviarle al giustiziere Gui d’Alemane per il prosieguo dei lavori di restauro del muro di Manfredonia; fu chiamato a controllare le navi, a perquisirle o a restituire i beni trovati, come quelli conservati a bordo della barca del veneto Giovanni Mocetto; assegnò e confermò beni feudali in concessione o in baliato; si occupò di raccogliere la somma di 1278 once e 12 tarì chiesta per il matrimonio di Isabella di Villehardovin; inviò denaro riscosso a vario titolo ai tesorieri. Venne indagato, pare, per l’esportazione e la vendita di frumento nella piazza di Venezia; ma anche in questo caso, come nella vicenda dell’acquedotto napoletano, continuò indisturbato la sua ascesa negli apparati amministrativi e tra le oligarchie di corte.
Nel 1278-80 Siginolfo tenne la gabella di esazione del sale in Principato e Terra di Lavoro, per la quale versò al giustiziere di Terra di Lavoro, Robert de Altriche, 2838 once d’oro, a conferma della posizione di preminenza economica raggiunta da lui e dalla sua famiglia. Alla fine di una carriera tutta condotta nell’ambito dell’amministrazione finanziaria, Siginolfo fu nominato, il 1° settembre 1284, giustiziere di Terra di Lavoro e Contea di Molise. Sostituì Balduino de Supino, con l’ordine di rastrellare denari nella provincia per gli ardua e immensa negotia che Carlo I si apprestava ad affrontare nell’ambito della guerra del Vespro (I registri della cancelleria..., a cura di R. Filangeri et al., XXVII, 1979, p. 490).
Il giustizierato costituiva la più alta magistratura dell’amministrazione periferica e durante il regno di Carlo I (1266-85) fu destinato sempre a membri dell’alta aristocrazia: milites, di provenienza ultramontana o regnicola, la cui carriera di norma si consumò tra gli uffici militari, come le castellanie e le capitanie, le missioni all’estero in qualità di ambasciatori, vicari, podestà e siniscalchi. Siginolfo costituì così una delle poche eccezioni a questo sistema di reclutamento, la sua carriera sembra così anticipare una tendenza che si sviluppò in seguito, già durante il regno di Carlo II d’Angiò (1285-1309), e che coinvolse le élites napoletane e straniere le quali, grazie alla ricchezza, soprattutto di origine mercantile e finanziaria, attraverso i prestiti concessi ai sovrani, entravano a corte e poi nell’apparato dell’importante magistratura periferica. Passato indenne attraverso alcune inchieste per malversazioni, egli fece parte di quel gruppo ristretto di fedeli, regnicoli e ultramontani, cui il sovrano accordò onori e fiducia, non sempre del tutto meritati, e che a loro volta consolidarono la propria ascesa sociale attraverso il rapporto con la corte e con le altre famiglie dell’oligarchia angioina.
Il matrimonio con Maria de Putheolo, infermiera di San Gregorio Armeno, lo aveva messo in contatto già negli anni Settanta con l’importante istituzione cittadina e Siginolfo fu molto attento a stabilire legami di solidarietà con il patriziato napoletano. Testimoniò in atti testamentari e matrimoniali per i Guindazzo e i Minutolo e perseguì una strategia matrimoniale per i suoi parenti che lo portò a stringere legami con alcuni dei più importanti lignaggi nel Regno.
Da Maria, Siginolfo ebbe sicuramente un figlio, Marino, che sposò Alessandra del Tufo: con feudi ad Aversa e in Abruzzo, fu camerario, familiare regio, fece parte della comitiva di Carlo Martello e morì prima del 1299. Probabilmente furono fratelli di Marino Sergio, Bartolomeo (dei quali v. le voci in questo Dizionario), Isabella e Landolfo.
Isabella Siginolfo sposò Tommaso l’Étendard, figlio del maresciallo e connestabile Guillelme, e le nozze furono celebrate, nell’ospizio del re, alla presenza del sovrano; in seconde nozze, Isabella si unì a Foulques de Ponteves con la concessione di 200 once annue e di Martiniano, Fasolo e Barbarotto, in Terra d’Otranto. Anche i tre maschi crebbero a corte, in familiarità con Filippo d’Angiò, nominato principe di Taranto nel 1294.
A saldare gli interessi della famiglia Siginolfo con quelli della corte vi fu poi la carriera ecclesiastica di Landolfo Siginolfo, fratello di Bartolomeo e Sergio. Questi fu frate predicatore e nel 1271 gli venne ordinata dal sovrano un’inchiesta insieme a Matteo di Tocco, contro gli eretici del Regno.
Giovanni era sicuramente morto nel 1299, data in cui la vedova ricevette il baliato per la nipote Giovannella, figlia di Alessandra del Tufo e di Marino Siginolfo.
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