CORREGGIO, Giovanni Siro da
Nato a Correggio il 13 ag. 1590 dal conte Camillo e da Francesca Mellini, venne legittimato con atto del notaio Negrisoli il 7 febbr. 1591, prima del matrimonio dei genitori. Nel 1605, alla morte di Camillo, fu chiamato per testamento a succedergli nel feudo di Correggio sotto la tutela del conte di Fuentes, governatore di Milano; mentre al fratello Cosimo toccò parte dei beni allodiali.
Nel dispiegare le sue prerogative tutorie il Fuentes mirò a consolidare l'influenza spagnola nello Stato correggese nel quale gli aspri dissidi tra il C. e il fratello per la divisione dei beni e per l'esercizio di taluni poteri sfociarono in clamorosi episodi di vendetta e di sangue offrendo al presidio spagnolo ulteriori occasioni di protezione e di ordine. Fin dal 1605 il C. aveva chiesto all'imperatore l'investitura del feudo, ma con sentenza del 16 ott. 1612 la Camera imperiale gli contestò, ritenendolo illegittimo, la capacità di succedere al padre nel feudo e decretò la devoluzione dello Stato al Fisco imperiale.
La grave minaccia all'indipendenza dello Stato venne scongiurata grazie all'abile azione diplomatica di Ottavio Bolognesi, inviato dal C. come suo legato presso la corte di Vienna, e ai mutati rapporti col duca Ranuccio Farnese che aveva appoggiato in un primo tempo le aspirazioni al feudo dei conte Girolamo da Correggio, nipote del cardinale, ultimo discendente del ramo che ancora era rimasto dell'agnazione della casa.
Anche mercé l'intervento dell'ambasciatore di Spagna a Praga e all'esborso di 120.000 fiorini il 14 febbr. 1615 il C. ottenne l'investitura, revocata tuttavia un mese dopo perché non aveva ancora pagato la somma richiesta. Ipotecando lo Stato per sette anni il C. riuscì ad ottenere i prestiti di danaro necessari non solo per l'investitura e il privilegio di primogenitura (diploma dell'imperatore Mattia del 30 marzo 1615), ma anche per l'erezione di Correggio in principato e il titolo, per sé e per i suoi discendenti, di principi del Sacro Romano Impero.
Una nuova minaccia per il principato si profilò a causa di una grossa lite con l'Inquisizione, colpevole il C. di averla attirata su di sé. Per aver fatto aggredire e ferire gravemente nell'ottobre 1617 l'inquisitore domenicano Girolamo Zambeccari che, insospettito per traffici di valuta, aveva tolto a forza senza il suo permesso dalle prigioni di Correggio per tradurli a Reggio tre rei di bestemmie, venne citato davanti all'Inquisizione di Milano e quivi costretto a costituirsi nelle carceri del S. Uffizio nel gennaio 1618. Condannato a una pena sproporzionata rispetto all'entità della colpa, il C. venne scarcerato nel 1619 per ordine del pontefice Paolo V, timoroso soprattutto di vedere definitivamente Correggio in mano alla Spagna. Con diploma del 4 ag. 1.620 il C. fu nuovamente confermato nell'investitura dall'imperatore Ferdinando II. Respingendo vantaggiose proposte di matrimonio, il 3 febbr. 1621 sposò Anna Pelloni, figlia del fornitore dei presidio spagnolo, cui cambiò il nome in Pennoni per far credere che discendesse da una illustre casata. Dopo una breve parentesi di tranquillità (nel 1621 nel suo palazzo fece rappresentare il Pastor Fido del Guarini con tessera di rame distribuita agli invitati) il C. incorse in nuove sventure a motivo della sua meschina politica nella gestione della zecca la cui attività fin dal 1617 gli aveva procurato grossi sospetti di falsa monetazione.
Istituita a Correggio e funzionante fin dal 1569, essa rappresenta il nodo principale dello Stato in ragione dello squilibrio determinatosi nella modesta economia correggese. Canoni altissimi e controlli inefficaci favoriscono gli abusi e le falsificazioni da parte degli zecchieri, fra i quali va segnalato Giovanni Agostino Rivarola, già noto per i suoi precedenti giudiziari, al quale il C., a partire dal 1620, concede in locazione la zecca. Discordie e interessi familiari spingono inoltre la cognata del C. e i fratelli di lei a lanciargli una serie di accuse presso i tribunali cesarei.
Nel 1623 la Camera imperiale diede inizio ad un procedimento giudiziario contro il C. accusandolo di falsificazione e adulterazione di monete; egli non vi attribuì peso soverchio e non curò di fermarlo o risolverlo in tempo tramite una composizione in danaro. Il procedimento, pendente per diversi anni, venne ripreso nel 1629 all'epoca della guerra di successione di Mantova e del Monferrato. La consegna al duca di Mantova da parte del C., che forse pensava all'alleanza francese, di due soldati che avevano disertato la difesa di quella città per arruolarsi nel presidio spagnolo, richiamò l'attenzione dell'Impero e degli Spagnoli sul principato e offrì il pretesto al rinnovo delle accuse a proposito della zecca.
Una rete intricata di aspirazioni e di interessi si strinse intorno a Correggio solleticando gli appetiti dei duchi di Guastalla, di Modena, del conte Rambaldo di Collalto, dell'arciduca Leopoldo d'Asburgo e di altri, investendo il C. con una forza di eventi che egli non riuscì più a dominare. Il 5 febbr. 1630 il generale Aldringen, incaricato dal commissario imperiale Ferrante II, duca di Guastalla, gli presentò la citazione del tribunale cesareo intimandogli di presentarsi a Vienna entro il termine di ventiquattro giorni oppure di costituirsi in Guastalla o in Novellara o in Sabbioneta.
M a il 23 febbraio il C., dopo avere emanato un decreto di nomina della moglie a reggente, come tutrice del figlio Maurizio minorenne, andò a rifugiarsi nel convento dei cappuccini di S. Martino in Rio, fuori dei confini del territorio correggese. Da qui egli cercò di seguire le sorti dello Stato in cui erano giunti da Milano i consiglieri aulici Cavalchino e Foppoli per istruire il processo che si concluse con la massima rapidità. Fu proclamata la decadenza del contumace C. e gli furono confiscati i beni e le rendite, salvo lo sborso di 300.000 fiorini, poi ridotti a 230.000. La sentenza venne confermata nell'ottobre del 1633.
Il C. non è in grado di pagare una somma così esorbitante in anni di vessazioni, saccheggi e peste per Correggio, peraltro già impoverita da un cattivo sistema tributario e da una peggiore amministrazione. Nell'arco di anni fra il 1631 e il 1634 egli si trova ancora sul territorio dibattendosi inutilmente per tentare di annullare o appellare la sentenza, per trovare aiuti e danaro, abbandonato anche dai cittadini che il 29 marzo 1634 ne deliberano l'allontanamento. Nello stesso anno la Spagna si impadronisce di Correggio pagando i 230.000 fiorini, lasciando tuttavia al figlio del C., Maurizio, la facoltà, invero teorica, di riscatto. Nell'ottobre del 1635 il duca di Modena Francesco I riesce ad ottenere una investitura provvisoria del feudo correggese versando alla Spagna tale somma sempre con riserva per il figlio del C. di poterlo redimere.
Nel 1642 il C. si recò a Vienna per compiere un ultimo tentativo diretto ad ottenere almeno la concessione dei beni allodiali e degli alimenti, ma trovò ostilità e carcerazione.
Morì a Mantova il 23 ott. 1645.
Con il C., uomo debole in una sede debole, si conclude una signoria che aveva esercitato ininterrottamente il suo dominio su Correggio per circa sette secoli e viene nel contempo spazzato via uno degli ultimi piccoli Stati signorili emiliani. La casata si estingue nel 1711 con Camillo, senza che i discendenti del C. riescano più ad ottenere la restituzione del dominio correggesco.
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