CARBONELLI, Giovanni Stefano
Nacque forse a Roma verso il 1691; si suppone che sia stato allievo di Arcangelo Corelli e abbia quindi fatto parte della scuola romana. Chiamato a Londra dove rimase per tutta la vita, fu al servizio del duca di Rutland, che lo ospitò nella sua dimora nel 1720.
Non è improbabile che il C. fosse allora un violinista già affermato e che il suo nome fosse stato segnalato al duca da uno dei tanti musicisti italiani che soggiornavano in Inghilterra o da qualche inglese che aveva frequentato la scuola corelliana a Roma. Tale era infatti il fascino esercitato allora dal Corelli che vari artisti e nobili stranieri ricorrevano alle sue lezioni. "Questa mania di aver Corelli come maestro sollevò anche l'ironia di Roger North, il quale nelle sue memorie musicali nota che la maggior parte dei giovani dell'aristocrazia e dell'alta borghesia inglese che scendeva in Italia considerava un onore studiare con tanto maestro" (Rinaldi). È pertanto possibile che il successo del C. in Inghilterra sia stato facilitato dalla notorietà acquisita come suo allievo.
La data del 1720, indicata come arrivo del C. a Londra, viene messa in dubbio dalla sua partecipazione, insieme al violoncellista F. Amadei, ad un concerto dato in quella città il 13 febbr. 1719. Sembra comunque che nel 1720 sia entrato come violinista nell'Academy of Music da poco fondata a Londra.
Nel primo periodo della sua permanenza in Inghilterra il C. pubblicò, dedicandoli per riconoscenza al duca di Rutland, 12 assolo per violino ebasso, una serie di composizioni in due parti di sei pezzi ciascuna, contenente nel primo pezzo di ogni parte una "double stopped fugue; and the rest, it has been observed, have pleasing melodies and judicious counterpoint" (Bingley). Come tanti altri musicisti venuti in Inghilterra, il C. comprese molto presto che per ottenere maggiori compensi sarebbe stato necessario abbandonare i ricevimenti musicali svolti in ambienti aristocratici a beneficio di pochi intimi e tentare invece il contatto con un pubblico più vasto, passando magari attraverso ritrovi meno ambiziosi come le taverne e i "pubs", per poi giungere ai teatri. Nel 1721, all'apertura dell'Opera italiana, il C. fu scritturato come capo dell'orchestra all'Haymarket Theatre, dove divenne celebre per le sue brillanti esecuzioni. Nel 1722, secondo quanto riferito dal Daily Courant, organizzò ed eseguì per beneficenza un concerto per violino di T. Albinoni e l'VIII concerto per violino di A. Corelli. Si ha poi notizia di un altro concerto che il C. eseguì il 22 nov. 1723 presso il Music Club at the Crown and Anchor Tavern dello Strand, dove per il giorno di s. Cecilia era permessa la partecipazione ai musicisti professionisti e alle donne. Ancora per beneficenza, il C. diede per molti anni concerti nella chiesa di St. Paul a favore dei figli del clero, permettendo loro di assistere oltre che alle esecuzioni anche alle prove.
Una testimonianza diretta sull'attività del C. ci viene fornita da una lettera datata Londra 1741, inviata da R. Price a lord Haddington e pubblicata in Bergomum (XIII, 1919): "...Non vogliono sentire altri all'infuori di Haendel, Corelli, e Geminiani, che figurano sempre nei loro concerti. Fui ad un concerto di Lord Brooke dove Carbonelli suonava il primo violino... Gli unici suonatori più noti che ho sentito finora sono Caporali, Carbonelli e Festing".
Nel 1725 il C. passò al Drury Lane Theatre dove spesso suonava tra un atto e l'altro pezzi scelti da concerto. Nel 1744 Haendel affittò l'Haymarket Theatre, rimasto libero dopo la partenza di J. A. Hasse, con l'intenzione di presentarvi quella che era la sua nuova creazione e cioè gli oratori. Tra i musicisti che si trovarono allora a Londra, il C. figurava senz'altro nel novero dei migliori violinisti. Tuttavia si ignora l'epoca esatta della collaborazione con Haendel perché, dopo la direzione iniziale di F. M. Veracini, a capo dell'orchestra si alternarono al C. M. Dubourg, P. Castrucci, M. C. Festing e W. Defesch.
Il grande successo del C. in Inghilterra, oltre che al suo riconosciuto virtuosismo, era dovuto alla grande influenza della scuola violinistica italiana in quel paese, dove, con il suo metodo razionale, era riuscita a sostituirsi a una tradizione locale assolutamente empirica. Il gusto degli Inglesi, maggiormente portato ad afferrare una stesura piana e semplice, preferiva senza dubbio la fluida cantabilità dei toni naturali della voce umana alle complicazioni di una elaborata scienza contrappuntistica. Di conseguenza i musicisti italiani (oltre al C. si ricordano Geminiani, Castrucci e F. Gasparini), nonché una nutrita schiera di tedeschi italianeggianti, seppero approfittare del prestigio raggiunto, ottenendo una posizione di privilegio, resa possibile anche dalla mancanza di esecutori inglesi che potessero rivaleggiare con i colleghi d'oltre Manica.
In seguito, dopo tanti anni consacrati alla musica, il C. abbandonò la carriera artistica e, divenuto mercante di vini, importati dalla Francia e dalla Germania, ottenne il titolo di fornitore di corte. Morì a Londra nel 1772.
Bibl.: Notizie, in Bergomum, XIII [1919], p. 36; M. Pincherle, Les musiciens célèbres. Les violinistes, Paris 1922, p. 70; J. v. Wasiliewski, Die Violine und ihre Meister, Leipzig 1927, p. 98; C. Rovini, La liuteria e l'arte del violino, Pisa 1938, p. 189; M. Rinaldi, A. Corelli, Milano 1953, p. 283; O. E. Deutsch, Häendel, London 1955, p. 218; W. Serauky, G. F. Händel, Basel-London-New York 1958, III, p. 656; IV, pp. 475 s.; V, p. 128; E. D. Mackerness, A social history of EnglishMusic, London 1964, p. 89; E. Blom, Musica in Inghilterra, Torino 1966, p. 100; A. Moser, Geschichte des Violinspiels, I, Tutzing 1966, p. 85; II, ibid. 1967, pp. 117-124; F. Abbiati, Storia della musica, II, Milano 1967, p. 551; W. Bingley, Musical Biogr., II, New York 1971, pp. 85 s.; R. Fiske, English Theatre Music inthe Eighteenth Century, London 1973, p. 125; F. J. Fétis, Biogr. univ. des Musiciens, II, Paris 1875, p. 185; R. Eitner, Quellen-Lex. der Musiker, II, p. 325; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 294; Encicl. della Musica Ricordi, II, p. 289.