COTTA, Giovanni Stefano
Nacque a Milano intorno al 1435 da Pietro, consigliere ducale e feudatario della Valcuvia, e Maddalena Leonatini. La data di nascita non è sicura, ma si desume dal fatto che in una lettera di raccomandazione del Filelfo (Epistolae, Venetiis 1502, c. 222v)per lui, il C. era chiamato "adulescens" verso il 1470.
La famiglia del C. faceva risalire le sue origini alla gens romana dei Cotta, immigrata in Milano all'epoca di s. Ambrogio. Certo lo stemma nobiliare (un'aquila con le ali spiegate di nero, che sormontava uno scudetto di rosso, caricato da una "cotta" bianca: sul capo una corona radiata a cinque punte con la scritta "SPQR") sottolineava la romanità della famiglia che diede a Milano uomini politici ed ecclesiastici nel tardo Medioevo. Pietro ricoprì incarichi pubblici di notevole importanza e svolse delicate missioni diplomatiche per Filippo Maria Visconti e per Francesco I Sforza. Il 16maggio 1450 fu investito, dallo stesso Francesco I, del feudo della Valcuvia per discendenti maschi, e questo appartenne alla sua famiglia fino al 1727, quando si estinse.
Il C. era, a quanto sembra, figlio cadetto, ma il feudo paterno fu amministrato collegialmente, alla morte di Pietro (1º nov. 1466), da lui e dai fratelli Giovanni Antonio, Giovanni Ambrogio e Giovanni Giacomo (Santoro, p. 24).
Il C. prese moglie probabilmente, verso il 1475-80.Da una sua petizione del 14 dic. 1495, con la quale chiedeva una dispensa dal pagamento di alcune tasse, si ricava che in quell'epoca aveva sei figli viventi. Non sappiamo chi furono i maestri del C., che certo fu educato in famiglia e ricevette una formazione letteraria e giuridica. Una delle sue prime prove poetiche fu un'elegia latina di trenta versi, da lui composta e dedicata nel 1456 a Francesco I Sforza.
Il componimento, nel quale il C. esprime convenzionalmente il suo entusiasmo per l'era di pace e di prosperità che il nuovo duca viene a portare nel Milanese, sembra essere l'opera di un giovane alle sue prime armi, per il topo scolastico dell'insieme, benché intessuto di reminiscenze classiche. Si può quindi supporre che il C. abbia scritto lo "epigramma" ventenne o poco più, se come si è visto, se ne attribuisce la nascita al 1435.
I biografi del C., a partire dal Picinelli, sono concordi nell'affermare che il giovane fu inviato a Roma, dove si dedicò allo studio dei classici, in modo da formarsi un'ampia dottrina, e alla poesia. Nello stesso tempo egli avrebbe ricoperto importanti incarichi presso la Curia romana, in qualità di segretario e abbreviatore pontificio. Di tali uffici, niente risulta. La fonte potrebbe essere l'epitaffio stesso del C., dettato forse da lui, nel quale piuttosto genericamente si accenna a "due incarichi" ("gemino Romae functus honore fuit": Forcella, p. 235). È probabile quindi che i biografi abbiano amplificato queste scarne indicazioni. Più consistente appare l'indizio di una permanenza del C. in terra di Francia. Infatti nel 1466, per consolarlo della morte del padre, il poeta milanese Piattino Piatti gli dedicò un epigramma (c. 20v), in cui lo definiva suo "commilitonem in Gallia", forse al servizio di Carlo VII. In un altro epigramma (c. 8v), il Piatti accenna alle delusioni e soddisfazioni, che il C. e i suoi fratelli avrebbero alternativamente subito, a contatto con la corte ducale. Tuttavia un rapporto del C. con l'ambiente pontificio non si può escludere del tutto. Nel codice Parm. 27 della Biblioteca Palatina di Parma, ai ff. 72v-84V., è contenuto sotto il suo nome un "libellus epistolarum de exhortatione in Turcos", preceduto da una dedica al pontefice Pio II. La data di composizione sembra essere il 1459 (Dieta di Mantova) e il 1460. Altri destinatari sono, oltre al, papa, il re di Francia Carlo VII, il delfino Luigi e Francesco I Sforza. Lo scrittore, accennando a se stesso, dice di aver composto quei versi "tenero tempore".
Tutto coinciderebbe: il giovane C., sia che si trovasse a Roma, sia in Francia, sia nel Milanese, si rivolge a quei personaggi con i quali poteva essere in maggiore dimestichezza. L'unica difficoltà a questa ricostruzione è che le stesse lettere sono contenute in altri codici (ad esempio, il cod. 33 della Biblioteca comunale di Savignano in Romagna), con l'attribuzione all'umanista Pietro Collazio di Novara, sotto il cui nome sono state pubblicate nel 1877. La figura del Collazio per molti lati appare misteriosa e sfuggente, ma per quale ragione le epistole siano attribuite da una parte della tradizione manoscritta al C., da un'altra al Collazio non è affatto chiaro.
Altre poesie (egloghe e "carmina de pace") che in questi anni il C. scrisse in onore di Francesco Sforza sono contenute in due manoscritti della Bibliothèque nationale di Parigi (nn. 8382-8383), dopo essere state, almeno fino al 1469, nella biblioteca pavese di Gian Galeazzo Sforza (Mazzatinti, p. 57). Il C. fu anche in stretti rapporti con gli ambienti ecclesiastici lombardi, come dimostra una testimonianza del nunzio pontificio in Milano Giacomo Gherardi. Scrivendo il 1° maggio 1490 a Cristoforo di Bollate, residente sforzesco a Torino, il Gherardi definisce il C. "contubernalis meus" (p. 469) e ricorda l'epoca in cui "ambo serviebamus patri illi amplissimo Cardinali Sancti Chrysogoni", ossia Iacopo Ammannati, creato cardinale di Pavia nel 1461. È probabile che il C. sia stato famigliare dell'Ammannati dal 1460-61 al 1467, quando per contrasti con Galeazzo Sforza il cardinale abbandonò Pavia per Roma. A Milano il C. fu per qualche tempo segretario di Gian Galeazzo Sforza, nipote di Francesco I. Il 20 marzo 1470, insieme con i suoi fratelli, prestò giuramento di fedeltà a Galeazzo Maria Sforza, al momento di venire riconfermato feudatario e consignore della Valcuvia. Lo stesso giuramento ripeté il 27 dic. 1477 a Gian Galeazzo. All'incirca in questi anni fu elevato a dignità senatoria. Nominato in seguito segretario nell'Ufficio degli statuti (1484), entrò poi a far parte, in epoca imprecisata, ma prima del 1492, dei "secretarii in Cancellaria secreta", organo creato da Francesco I nel 1453, mediante il quale il duca trattava direttamente gli affari del dominio, e che comprendeva elementi di assoluta fiducia. Con lettera di nomina in data 23 nov. 1493 il C. fu quindi assunto tra i "domini de Consilio secreto" (Arch. di Stato di Milano, Reg. duc. 92, c. 145t), i più stretti consiglieri e collaboratori del duca. Intanto svolgeva anche mansioni di fiducia presso Bianca Maria Sforza, sorella del duca Gian Galeazzo, e per incarico di Ludovico il Moro l'accompagnò in Germania quando essa sposò, nel marzo 1494, l'imperatore Massimiliano I. Costui ebbe a ricompensarlo con onorificenze civili e militari (dignità equestre e di gran cancelliere, stando all'Argelati, col. 487; nell'epitaffio citato si dice soltanto "praefuerat tuis qui, regia Blanca, tabellis"). Tornato in patria, il C. continuò a eseguire i suoi incarichi per Ludovico il Moro e fu anche inviato, come ambasciatore del duca e del Consiglio segreto, in diverse missioni diplomatiche, fra le quali una ad Anversa.
L'alta qualità dei suoi uffici e la fama della sua erudizione procurarono al C., com'è naturale, molte amicizie e relazioni. Egli fu in rapporto con letterati ed uomini politici insigni del suo tempo. Fra questi si può ricordare Ermolao Barbaro, con il quale il C. ebbe uno scambio epistolare su problemi di morale nel 1489 (Branca, pp. 44-45). Lo celebrarono come poeta Piattino Piatti e Lancino Curti (III, p. 62), mentre Girolamo Monti definì i suoi componimenti "arguta, lepida, venustatis ac leporis piena", nell'orazione da lui tenuta per la cooptazione del figlio del C., Pomponio, nel Collegio dei giureconsulti di Milano (Argelati, col. 488). Lo ebbe amico Giacomo Gherardi, che nel 1490 gli rivolse alcune raccomandazioni, in qualità di segretario ducale (pp. 418, -551), e lo consultò per l'interpretazione di un passo di Plinio il Vecchio (p. 425).
Sempre nel 1490, il C. collaborò con l'umanista milanese Giulio Emilio Ferrario a preparare un'edizione delle opere di Ausonio, nella cui prefazione viene ricordato con lode. Il C. non pubblicò peraltro, finché fu in vita, opere a stampa, se si esclude l'epigramma premesso all'edizione delle poesie di Piattino Piatti (1508), e tre brevi componimenti ecfrastici, due in distici elegiaci, il terzo in faleci, con cui il C. partecipò insieme con altri poeti lombardi ai "Coryciana", la nota antologia poetica pubblicata a Roma da Blosio Palladio nel 1524 in onore del referendario pontificio Giovanni Goritz (cc. LIVv-LVr). Nel 1699 il giureconsulto Lazzaro Agostino Cotta pubblicò parzialmente, a Milano, nei suoi Commentarii ad D. Macanei Chorographiam Verbani Lacus (II, p. 65, n. CVIII), una Descriptio elegiaca della Valcuvia, nella quale il C. con garbo ed eleganza tratteggia una vivace descrizione del feudo di famiglia (il manoscritto originario, a meno che non si trovi in qualche collezione privata, è andato perduto).
Il C. morì a Milano in età assai avanzata il 24 marzo 1525. Fu sepolto nella chiesa di S. Maria della Scala, e l'Argelati ne leggeva l'iscrizione, prima della demolizione dell'edificio sacro nel 1775.
Il figlio Pomponio fu giureconsulto famoso e uditore della Sacra Rota a partire dal 1560; creato vescovo di Novara nel 1577, morì due anni dopo.
Fonti e Bibl.: P. Piatti, Elegiae cum epigrammatis, Mediolani 1508, cc. 8, 14, 20; L. Curti, Sylvarum libri, Mediolani 1521, p. 62; Dispacci e lettere di Giacomo Gherardi, a cura di E. Carusi, Roma 1909, pp. LVII, 410, 418-19, 425, 469, 551-52; F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, p. 239; E. Barbaro, Epistolae, orationes et carmina, a cura di V. Branca, II, Firenze 1943, pp. 44-45; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, coll. 486-490; I. A. Sassi, Hist. literario-typographica Mediolanensis, Mediolani 1745, p. CCCXXIII; D. Muoni, Famiglie notabili milanesi, II, Milano 1881, tav. I (Cotta); G. Mazzatinti, Inv. della Bibl. visconteo-sforzesca, in Giorn. stor. della lett. ital., I (1883), p. 57; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese... di Milano, IV, Milano 1890, p. 235 n. 335; A. Simioni, Un umanista milanese, Piatrino Piatti, in Arch. stor. lomb., s.4, XXXI (1904), pp. 273-276; E. Casanova, Diz. feudale delle province componenti l'antico Stato di Milano, Milano 1930, p. 103, s. v. Valcuvia; C. Santoro, Gli uffici del Dominio sforzesco (1450-1500), Milano 1948, pp. 24, 52; E. Pellegrin, La Bibliorhèque des Visconti et des Sforza, ducs de Milan, au XVe siècle, Paris 1955, p. 338; G. L. Barni, in Storiadi Milano, VIII, Milano 1957, pp. 435-36; R. J. Mitchell, A note on two items in a codex of the Biblioteca Palatina, in Arch. stor. per le prov. parmensi, s. 4, XII (1960), pp. 71-74; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 205, 260, 339; II, pp. 43, 114.