STROZZI, Giovanni
– Nacque il 15 settembre 1517 a Firenze, nel popolo di S. Maria degli Ughi, da Carlo di Giovanni (1481-1546) e da Margherita di Lutozzo Nasi, entrambi appartenenti a famiglie del patriziato fiorentino.
Nell’ambito dell’ampia e variegata compagine familiare degli Strozzi, quello di Giovanni appare come uno dei nuclei familiari meno ricchi e potenti, anche perché il padre, avendo svolto un ruolo non secondario nel governo dell’ultima Repubblica di Firenze (1527-30), dovette pagarne le conseguenze all’instaurazione del principato con un periodo di confino fuori della città, durato fino al 1536. Per questo motivo Giovanni soffrì in gioventù di ristrettezze economiche («Neque admodum prospero initio vitae», Fabroni, 1792, p. 338), ma nonostante le difficoltà riuscì a portare avanti un regolare corso di studi: imparò il greco, come attestano i suoi tentativi di traduzione delle Orazioni di Isocrate (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, Serie terza, 154, cc. 38-48), ma soprattutto seguì le lezioni di filosofia di Francesco di Vieri, detto Verino il Vecchio, presumibilmente dopo il ritorno a Firenze di questi nel 1526.
Nonostante i trascorsi repubblicani del padre, almeno a partire dagli anni Quaranta del Cinquecento ci fu un riavvicinamento con il duca Cosimo I de’ Medici. La buona disposizione del sovrano nei confronti di Strozzi si rivelò l’11 febbraio 1541 quando fu accolto nell’Accademia fiorentina, il sodalizio letterario che il duca aveva creato ampliando la preesistente Accademia degli Umidi con l’immissione di nuovi soci e di cui intendeva fare il principale strumento della sua politica culturale. In essa si coltivava lo studio del poema di Dante e della letteratura in volgare dei primi secoli, ma soprattutto si promuoveva l’uso della lingua toscana corrente anche in ambiti accademici, in polemica con la padovana Accademia degli Infiammati, che invece propugnava una lingua aulica, esemplata su quella dei classici latini. Strozzi fu eletto console dell’Accademia fiorentina per il secondo semestre di esistenza della stessa e ancor prima dell’elezione, il 10 agosto 1541 tenne una lezione sul decimo canto del Paradiso (stampata in Lettioni d’Academici fiorentini sopra Dante, libro primo, Fiorenza, A.F. Doni, 1547, pp. 39-52). Nella sua introduzione egli lodò i colleghi accademici per il fatto che, animati dall’amore per la loro lingua e quasi ispirati da Dio, «crearono una accademia, dove a non altro si attendessi che a imparare e, di gran lunga più che in altro tempo mai si facessi, arrichire il parlar fiorentino» (p. 39). Il 18 gennaio 1542 Strozzi recitò un’orazione in lode del defunto maestro Francesco Verino, alla presenza delle più alte cariche dello Stato e del mondo accademico, durante i solenni funerali nella chiesa di S. Spirito, voluti da Cosimo I per onorare il filosofo, a distanza di quasi un anno dalla sua morte (avvenuta il 17 febbraio 1541). All’Accademia rimase legato anche in seguito, ricoprendo di volta in volta l’incarico di censore o consigliere.
Nell’anno accademico 1542-43 frequentò i corsi universitari di filosofia a Bologna: ne fa fede uno scambio di lettere con la corte fiorentina del periodo novembre 1542-febbraio 1543, in cui Strozzi pregava il sovrano di far avere qualche impiego al padre, in modo che potesse meglio sostenere le spese per i suoi studi e poi, profilandosi la riapertura dello Studio di Pisa (avvenuta effettivamente nel novembre 1543), preparava il suo trasferimento presso quell’ateneo, dove effettivamente si laureò in filosofia il 27 ottobre 1547.
Dall’anno accademico 1547-48 fu assunto a far parte del corpo docente dello Studio pisano, con l’incarico di insegnante straordinario di filosofia e lo stipendio di scudi cento annui, che si mantenne inalterato per altri cinque anni; dall’anno accademico 1552-53 divenne invece docente ordinario con lo stipendio di 150 scudi, incarico durato per due anni; dal 22 marzo 1551 al 28 maggio 1554 fu anche membro del collegio dei dottori della stessa università.
Tornato a Firenze, fu indotto dai familiari a sposarsi, benché nel 1544 avesse preso gli ordini minori, presumibilmente per il fatto che era rimasto l’unico erede maschio. Nel 1557 contrasse pertanto matrimonio con Maria Maddalena (alias Lena) di Bartolomeo Carnesecchi. Da questa unione non nacquero figli e la Carnesecchi dopo la morte del marito entrò nel convento domenicano di S. Lucia di Firenze.
In gioventù, oltre agli interessi letterari, si cimentò anche come poeta: si ricorda però della sua produzione soltanto un epigramma ispiratogli dalla statua della Notte, scolpita da Michelangelo per le cappelle medicee.
Dal 1558 cominciò a essere impiegato in incarichi diplomatici: il primo di essi lo portò l’11 novembre di quell’anno a Ratisbona, alla corte di Ferdinando d’Asburgo, succeduto al fratello Carlo V sul trono imperiale, per condolersi della morte del congiunto e contemporaneamente congratularsi con il sovrano per la sua elevazione. Fu accompagnato nella missione da Lorenzo di Galeotto de’ Medici, il quale rimase poi come ambasciatore residente, mentre Strozzi, pronunciato un solenne discorso d’occasione (il testo in Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, Serie terza, 40 ins. 6), riprese la strada del ritorno. Un’occasione non dissimile si presentò l’anno successivo quando fu inviato a Roma, il 30 dicembre 1559, come membro di una solenne ambasciata di obbedienza, composta, oltre che da lui, da Pandolfo Della Stufa, Piero Capponi e altri, incaricata di porgere gli omaggi del duca di Firenze al nuovo pontefice Pio IV, eletto il 25 dicembre precedente. Anche in questo caso il compito precipuo affidato a Strozzi fu quello di tenere un’orazione.
Di natura più squisitamente politica fu invece il terzo e ultimo incarico diplomatico cui fu chiamato. Il 18 gennaio 1562 veniva aperta a Trento la terza e ultima sessione del concilio che, iniziato sedici anni prima per la riforma della Chiesa cattolica e la definizione della sua dottrina, non aveva ancora raggiunto i risultati sperati. Per rappresentarvi la corte toscana, al posto del vescovo Piero Camaiani, che aveva seguito le sessioni precedenti in veste non ufficiale, fu designato Strozzi. La sua nomina da parte del duca seguì un iter insolito, allo scopo di dare più risalto e ufficialità alla missione: essa fu deliberata in data 14 gennaio 1562 dal magistrato supremo, ma accompagnata dalle parole «di speciale commissione et Ordine» di Cosimo I (Istruzioni, 2007, p. XXXII); poi fu accompagnata dalla concessione di funzioni plenipotenziarie da parte del duca con un vero e proprio atto notarile in data 24 febbraio (D’Addario, 1972, pp. 346-349). Nell’Istruzione, datata da Pisa 22 febbraio, si poneva l’accento, oltre che sulla funzione informativa, sul fatto che Strozzi avrebbe dovuto adoperarsi affinché i vescovi e i prelati toscani si mostrassero concordi fra loro e sottomessi alle direttive della S. Sede; inoltre, venne fatta specifica menzione delle questioni protocollari di precedenza: egli fra i rappresentanti dei vari Stati italiani avrebbe dovuto cedere il passo a quelli di Venezia e di Savoia, ma precedere tutti gli altri (pp. 343-346).
Strozzi giunse a Trento il 15 marzo 1562, accolto alle porte della città da un folto gruppo di prelati, radunati dall’arcivescovo di Firenze, Antonio Altoviti, il quale intendeva fare ogni passo atto a favorire la sua riconciliazione con il duca di Firenze; egli era stato infatti eletto a questa carica nel 1548 da papa Paolo III, ma non aveva ancora potuto prendere possesso della diocesi a causa del bando comminato da Cosimo I contro suo padre Bindo per la militanza antimedicea di questi. Il giorno 18 marzo Strozzi si presentò davanti al sinodo e pronunciò in latino un discorso di saluto, che fu molto apprezzato e quasi immediatamente dato alle stampe (Oratio habita a magnifico d. Ioanne Strozio oratore illustrissimi Cosimi ducis Florentiae et Senarum in eius comparitione, die 18 Martii 1562. Una cum responsione Sanctae Synodi, Ripae, ad instantiam Baptistae Bozzolae, 1562).
La missione di Strozzi cominciava quindi sotto i migliori auspici ma, a rendere difficile il suo soggiorno a Trento e a intralciarne l’operato, intervenne quasi subito un conflitto di precedenza con gli inviati svizzeri che fu infine risolto dai padri conciliari in modo salomonico, decretando che essi e Strozzi alternassero la propria presenza alle sessioni; in questo modo egli fu costretto, per informare il sovrano delle discussioni avvenute in sua assenza, a ricorrere a notizie di seconda mano e a voci di corridoio; nonostante ciò, a detta di Hubert Jedin (1950, p. 354), i resoconti di Strozzi da Trento furono di buon livello.
Le sue lettere, puntuali e precise, ci sono giunte in duplice redazione: gli originali, di mano per lo più del suo segretario Domenico Mellini, nell’Archivio mediceo (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 4014); le minute autografe (Carte Strozziane, Serie terza, 115, cc. 171-273). Ampi stralci di questo carteggio sono stati pubblicati in D’Addario, 1964.
Fra le questioni collaterali di cui si occupò durante la sua permanenza a Trento, Strozzi avviò le trattative che dovevano propiziare il ritorno a Firenze di Altoviti, cosa che avvenne però in via definitiva soltanto nel 1565. Inoltre, fedele ai suoi interessi letterari, avanzò la proposta di far emendare da una commissione di studiosi il testo del Decameron di Giovanni Boccaccio, in modo da sottrarlo all’Indice dei libri proibiti, istituito nel 1559; la proposta destò molto interesse, ma si concretizzò solo nel 1573. Infine, nel maggio 1563, Strozzi chiese e ottenne licenza di tornare in patria (l’ultima lettera da Trento registrata nel suo minutario è del 3 maggio). L’avvicendamento, pur richiesto da lui, veniva incontro anche ai desideri di Cosimo I, che ormai si era convinto, anche su pressioni pontificie, a sostituirlo con un prelato, sia per avere maggiori possibilità di accesso a informazioni riservate, sia per porre fine alle sgradevoli questioni di precedenza, in quanto gli ecclesiastici avevano sempre la preminenza sui laici. Fu chiamato a sostituirlo Girolamo Gaddi, vescovo di Cortona, che raggiunse Trento il 21 luglio 1563; nei due mesi di vacanza dell’incarico la corrispondenza con la corte di Toscana fu tenuta dal segretario di Strozzi, Domenico Mellini.
Morì a Firenze il 22 agosto 1570 e fu sepolto nella cappella di famiglia nella chiesa di S. Trinita; in data 4 agosto, quando era già «corpore infirmus» aveva fatto testamento lasciando alcuni legati alla moglie e alla madre e nominando eredi universali dei cugini. Sulla sua tomba nel 1609 fu apposta una lapide commemorativa.
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio dell’Opera di S. Maria del Fiore, Registri battesimali, 8, c. 104; Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, Serie terza, 35 cc. 120-126; 75, cc. 162-164; 82, cc. 302 s.; 115, cc. 2, 7 s.,12, 14, 17, 27 s., 31, 34 s., 37, 95 s., 136, 171-273; 116, cc. 18-20; 154, cc. 38-48; 194, c. 159; Mediceo del Principato, 4014.
S. Salvini, Fasti consolari dell’Accademia fiorentina, Firenze 1717, pp. 4-11; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 294; A. Fabroni, Historia academiae pisanae, II, Pisa 1792, pp. 338-340; P. Litta, Famiglie celebri italiane, V, Milano 1839, tav. VIII (Strozzi di Firenze); M. Buonarroti, Rime, a cura di C. Guasti, Firenze 1863, p. 3; H. Jedin, La politica conciliare di Cosimo I, in Rivista storica italiana, LXII (1950), pp. 354 ss.; A. D’Addario, Il carteggio degli ambasciatori e degli informatori medicei da Trento nella terza fase del concilio, in Archivio storico italiano, CXXII (1964), pp. 88-91, 97-120, 124-219, 221-233, 235-245, 247-250, 252-254, 256-260, 262-292, 294-297, 299, 306; Id., Aspetti della Controriforma a Firenze, Roma 1972, pp. 123, 340-370; R. Del Gratta, Acta graduum academiae pisanae, I, Pisa 1980, p. 323; M. Plaisance, L’ Accademia e il suo principe, Manziana 2004, pp. 102,108 s., 168; Istruzioni agli ambasciatori e inviati medicei in Spagna e nell’Italia spagnola, I, 1536-1586, a cura di A. Contini - P. Volpini, Roma 2007, p. XXXII; J. Davies, Culture and power. Tuscany and its Universities 1537-1609, Leiden-Boston 2009, pp. 203-226.