TARGIONI-TOZZETTI, Giovanni
TARGIONI-TOZZETTI, Giovanni. – Nacque a Livorno il 17 marzo 1863, figlio di Ottaviano, letterato, e di Annina Bresciani, fratello maggiore di Elena e di Dino, poeta vernacolare noto con lo pseudonimo di Cangillo.
Cresciuto in una famiglia che vantava generazioni di intellettuali, scienziati e magistrati di spicco, studiò al Lliceo Niccolini della sua città, dove il padre, amico di Giosue Carducci (e membro degli ‘Amici pedanti’), era docente di letteratura italiana. Si laureò in lettere a Pisa e dal 1887, dopo un anno di insegnamento a Ceccano, nel Lazio, ebbe la cattedra di storia moderna e letteratura italiana all’Accademia navale di Livorno (tra i suoi allievi: Luigi di Savoia, duca degli Abruzzi, Costanzo Ciano e l’ultimogenito di Giuseppe Garibaldi, Manlio) e insegnò lettere italiane anche all’istituto tecnico della città natale, fino al ritiro nel 1931. Unì all’insegnamento la passione politica: consigliere comunale, assessore alla pubblica istruzione e presidente del Consiglio provinciale, fu sindaco di Livorno dal 1911 al 1914. All’avvento del fascismo aderì convinto al regime, che non mancò di celebrare in enfatici versi, ottenendo la nomina di segretario federale dei fasci di combattimento livornesi.
Esordì alla poesia nel 1881, vincendo un concorso indetto al liceo labronico dal preside Giuseppe Chiarini (altro ‘amico pedante’), con una versione metrica dell’ode oraziana A Galatea. La traduzione gli valse l’incoraggiamento di Carducci, al quale dedicò «con affetto devoto» la prima raccolta poetica, Fantasie liriche (Livorno 1887), cui lo stesso dedicatario, peraltro, rifiutò di scrivere la prefazione, malgrado la richiesta del padre Ottaviano, esprimendo varie riserve sui componimenti del giovane autore. Alle Fantasie, che Sonzogno ristampò a Milano nel 1891, fecero seguito molte e variegate composizioni poetiche, di modesta originalità, stilisticamente oscillanti tra classicismo carducciano e decadentismo dannunziano o pascoliano, edite in volumi, opuscoli, riviste e giornali, quasi tutte raccolte, infine, nei due tomi delle Liriche (1881-1931) stampati dalla Società editrice toscana di San Casciano in Val di Pesa nel 1931 e offerti al poeta dal comitato livornese per le onoranze al concittadino nel cinquantenario della sua attività letteraria.
Assai contenuta fu la fortuna critica dei componimenti, sia per la loro lampante mediocrità sia per la collocazione editoriale essenzialmente localistica, ideale peraltro per quei lavori di tema spiccatamente campanilistico che appartengono al nutrito gruppo di composizioni d’argomento storico, genere cui l’aveva indirizzato, notando in lui una discreta vena descrittiva e didascalica, lo stesso Carducci.
Oratore infaticabile, fu attivo come giornalista, collaborando al Fanfulla di Roma e alla Gazzetta piemontese di Torino e dirigendo la Gazzetta livornese, il Telegrafo e la Cronaca minima di Livorno. Su quest’ultima rivista pubblicò alcune poesie di Giovanni Pascoli, che tuttavia non lo stimava («Amici dotti, non ne conosco; bestialmente presuntuosi, oh questi sì. Per esempio, Targioni babbo e figlio Nanni», scrisse il poeta a Severino Ferrari nel 1887, lamentando che gli fossero richiesti, proprio per la Cronaca minima, pezzi in prosa invece che versi; cfr. M. Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, a cura di A. Vicinelli, Milano 1961, p. 279). Studioso erudito e poligrafo, scrisse di letteratura (ebbero una certa risonanza Sul “Ranaldo ardito” di Lodovico Ariosto, Livorno 1887 e 1901, e l’edizione per i tipi di Sansoni delle Poesie originali e tradotte di Giovanni Berchet, Firenze 1907) e, sfruttando l’anno di docenza a Ceccano, raccolse e curò l’edizione di testi popolari ciociari, In Ciociaria: ricordi di usanze popolari (Livorno 1891) e Saggio di novelline, canti ed usanze popolari della Ciociaria (Palermo 1891), mentre in collaborazione con Augusto Vittorio Vecchi curò Il mare: antologia di prose e poesie di moderni e antichi scrittori originali e tradotte (Livorno 1893, successivamente rivista e riedita).
Il 14 settembre 1889 sposò Rosa Comparini-Rossi; per l’evento fu stampata una Strenna in cui comparvero, tra gli altri, versi di Pascoli. Dal matrimonio nacquero Ottaviano, pittore, ed Elena.
Appassionato di teatro, con una speciale predilezione per quello di prosa – raccolse alcune sue traduzioni in Scene in versi (Livorno 1913) –, la fama gli arrise principalmente con Cavalleria rusticana, melodramma in un atto steso con grande rapidità, assieme al concittadino Guido Menasci, per l’amico Pietro Mascagni (Roma, teatro Costanzi, 17 maggio 1890). Fu Targioni-Tozzetti, veduto il dramma di Giovanni Verga allestito all’Arena Labronica dalla compagnia di Cesare Rossi, a proporre il focoso e rivoluzionario soggetto all’operista, che gli aveva chiesto di scrivere celermente un libretto per partecipare al Concorso Sonzogno, poi vinto nel 1889. Solo in un secondo momento il poeta, che faticava a lavorare ai ritmi pretesi da Mascagni, chiamò in suo aiuto l’amico Menasci, con il quale instaurò una proficua collaborazione. I due librettisti ridussero con estrema disinvoltura il testo verghiano in uno schema a numeri dalla drammaturgia essenziale quanto frammentata, effettistica, azzerando la tematica sociale e comprimendo le incisive suggestioni regionali dell’originale in pallidi tratti coloristici, con versi eterogenei e stridenti che, nonostante un evidente sforzo di abbassamento del dettato, risentono del tipico linguaggio aulico del melodramma.
Il grande successo dell’opera, che inaugurò la breve e controversa stagione verista del teatro musicale italiano e che fu anche al centro di una clamorosa causa di plagio intentata (e vinta) dal letterato siciliano, favorì la carriera di librettista, confermata da un nuovo libretto per Mascagni, I Rantzau, opera in quattro atti (Firenze, teatro della Pergola, 10 novembre 1892) tratta con Menasci dall’omonima commedia di Émile Erckmann e Pierre-Alexandre Chatrian, versione scenica del loro romanzo Les deux frères. Seguirono, sempre in coppia con Menasci, l’antiquata Regina Diaz per Umberto Giordano (Napoli, teatro Mercadante, 5 marzo 1894), sfortunata riscrittura di Un duel sous le Cardinal de Richelieu di Joseph-Philippe Simon (Lockroy) ed Edmond Badon, già fonte della Maria di Rohan di Salvatore Cammarano e Gaetano Donizetti (1843), e la versione ritmica italiana del libretto del Werther di Jules Massenet, edita nel 1894. Da solo, invece, firmò Silvano, dramma marinaresco per Mascagni (Milano, teatro alla Scala, 25 marzo 1895), da Histoire de Romain d’Étretat di Alphonse Karr. Nuovamente con Menasci lavorò a Zanetto (Pesaro, liceo musicale Rossini, 2 marzo 1896), riduzione di Le passant di François Coppée, un atto unico concepito per formare con Cavalleria rusticana un dittico interamente mascagnano.
Lunga e complessa fu l’ambiziosa composizione delle «scene liriche» di Vistilia, derivate dall’omonimo racconto di Rocco de Zerbi che, poco prima della sua scomparsa nel 1893, aveva concesso «che la favola da lui intessuta su l’accenno tacitiano, assumesse veste lirica per la musica di Pietro Mascagni». È il solo libretto di Targioni-Tozzetti e Menasci che, pur riproponendo situazioni tipiche mascagnane, superi la generale mediocrità della loro produzione. Il testo, letterariamente elaborato e con discreti tentativi di metrica barbara (sulla scia di Carducci, ma anche di Arrigo Boito, apripista nel 1868 con il sabba classico del Mefistofele), fu pubblicato dall’editore livornese Belforte nel 1900, sette anni dopo la morte di de Zerbi, ma l’operista non completò la composizione, nonostante un successivo contratto con l’editore francese Paul Choudens per terminare l’opera. Sorte non migliore ebbero il dramma Carlotta Corday, la commedia La contessa Loriana, la fantasia lirica Il sogno d’una notte d’estate, il dramma Il capitan Fracassa e la leggenda lirica in tre quadri La cattedrale, ossia i cinque lavori che il duo librettistico dichiarò «in preparazione» nell’edizione della Vistilia.
Firmata nel 1905 la versione ritmica italiana di Amica, che Mascagni aveva composto su un libretto francese di Choudens, Targioni-Tozzetti tornò librettista con La sposa di Nino, dramma lirico in un atto per Adriano Biagi (Livorno, teatro Rossini, 6 marzo 1913), che non incontrò il favore del pubblico. Quindi intervenne, su richiesta di Mascagni, sul libretto del Piccolo Marat di Giovacchino Forzano (Roma, teatro Costanzi, 2 maggio 1921): ma l’operazione non fu pacifica, e Forzano ottenne che i versi del collega, concentrati quasi totalmente nell’atto secondo, fossero segnalati con virgolette e note a piè di pagina. Per la musica di Orlando Rossi scrisse l’atto unico Amor vero (Firenze, teatro Alfieri, 20 maggio 1925) e L’orfana, registrata dall’Ufficio censura teatrale nel 1939 (Censura teatrale e fascismo (1931-1944): la storia, l’archivio, l’inventario, a cura di P. Ferrara, Roma 2004, p. 776).
Dopo aver composti i versi dell’Invocazione alla Madonna di Mascagni (1932) e rimaneggiato il libretto della Pinotta (Sanremo, teatro del Casinò municipale, 23 marzo 1932), adattamento della cantata mascagnana In filanda del 1891, lavorò, gravemente ammalato, al suo ultimo dramma per musica, Nerone, dal dramma omonimo di Pietro Cossa (Milano, teatro alla Scala, 16 gennaio 1935). Targioni-Tozzetti, cui Mascagni si era rivolto dopo una prima insoddisfacente collaborazione con Arturo Rossato, utilizzò molti brani della Vistilia (il coautore Menasci, scomparso nel 1925, non fu menzionato) per consentire al compositore d’impiegare la musica scritta anni prima per l’opera incompiuta.
Morì a Livorno il 30 maggio 1934.
Fonti e Bibl.: A. Bonaventura, Il librettista, in Liburni Civitas, X (1937), 3, pp. 143-150; G. Bonifacio, Professore della R. Accademia Navale, ibid., pp. 151-157; B. Flury Nencini, G. T.-T., ibid., pp. 111-123; S. Lopez, Un discorso che è poi una lettera, ibid., pp. 125-129; P. Zàlum, A lezione da Nanni, ibid., pp. 130-142; Cinquantenario della «Cavalleria rusticana» di Pietro Mascagni. Le lettere ai librettisti durante la creazione del capolavoro (inedite), Milano 1940; A. Cassi Ramelli, Libretti e librettisti, Milano 1973, pp. 265-269; Cavalleria rusticana. 1890-1990: cento anni di un capolavoro, a cura di P. Ostali - N. Ostali, Milano 1990, ad ind.; L. Baldacci, La musica in italiano. Libretti d’opera dell’Ottocento, Milano 1997, pp. 174-181; S. Ferrone - F. Simoncini, Il teatro, in Storia della letteratura italiana, VIII, Tra l’Otto e il Novecento, diretta da E. Malato, Roma 1999, pp. 942-945; G. Ruberti, Il verismo musicale, Lucca 2011, ad indicem.