TINELLI, Giovanni Tiberio
– Nacque a Venezia nel 1587 da Francesco di Giovanni Maria quondam Martino e da Sebastiana di Tiberio Rossi (Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, b. 433, 12 dicembre 1617).
Carlo Ridolfi (1648, p. 288) riferisce che il giovane fu dapprima alunno di Giovanni Contarini e, dopo la sua morte, presumibilmente nel 1604, passò nella bottega di Leandro Bassano; la notizia risulta avvalorata dalla donazione, sempre riferita da Ridolfi, di un quadretto rappresentante il Paradiso da parte di Tinelli al doge Antonio Priuli (il cui pittore preferito era appunto Bassano). Il principe lo ringraziò con una medaglia d’oro e questo riconoscimento fa supporre che si trattasse di un’opera pubblica. Il dipinto, oggi perduto, indicherebbe il 1618, quando Tinelli aveva circa trent’anni, come termine ad quem per il suo affrancamento dalla bottega bassanesca, il che corrisponde alle prime annotazioni del suo libretto dei conti, pur non essendoci pervenuta alcuna iscrizione di Tinelli all’arte dei pittori.
Nel novembre del 1614 Tinelli era stato testimone alle nozze di un amico barcaiolo risiedente nella sua stessa parrocchia di S. Sofia e nel 1617 aveva chiesto senza ottenerla (non avendo presentato le prescritte testimonianze e i certificati di nascita) la cittadinanza veneziana. Tuttavia, poiché nel 1633 risulta iscritto tra i cittadini nel sestiere di Cannaregio, secondo una prassi non inconsueta doveva aver ripresentato la domanda, stavolta accolta. Forse verso la fine del secondo decennio del secolo incontrò Giovanna Garzoni, residente in una parrocchia vicina. Ridolfi parla di un amore difficile con la giovane, che lo distrasse dalla pittura a lungo, sfociato infine nel 1622 in un matrimonio contrastato dal padre e dal fratello della ragazza. Giovanna era figlia del veneziano Giovanni Giacomo Garzoni e della marchigiana Isabella Gaia e divenne una miniatrice e pittrice di fama europea (fu presente più volte alle riunioni dell’Accademia di S. Luca a Roma), ma è difficile ipotizzare un suo apprendistato presso Tinelli. L’unione ebbe però breve durata, perché nel 1623 il padre della ragazza denunciò il pittore al Sant’Uffizio per ottenere il divorzio, salvaguardando la dote della figlia, stregata da Tinelli secondo l’accusa, ma già votata alla castità. A Tinelli fu contestato di aver praticato sortilegi con la complicità di un prete; scrivendo dieci anni dopo la morte dell’artista Ridolfi non fa parola del relativo processo, i cui atti, peraltro, confermano l’esistenza di un tormentato rapporto e tace l’identità della pittrice, ancor viva e operante nel 1648. Con riservatezza il biografo si limita a rammentare i patimenti dell’amico Tinelli e a ricordare come in seguito egli tornasse a vivere con la madre, accanto alla quale risulta ancora abitante nel 1632, anno in cui costei fece testamento.
Tra il 1618 e il 1633 Tinelli redasse il libretto dei conti, dove annotò con precisione i pagamenti ricevuti per i suoi quadri, in varie valute nonché in derrate alimentari; il documento costituisce una testimonianza fondamentale per ricostruire gran parte dell’opera dell’artista, che godette di vasta fama tra i contemporanei, poi però seguita da un lungo oblio. Le pagine iniziali del libretto sono occupate da ricette per realizzare vernici di buona qualità, nonché rimedi contro la caduta dei capelli. Segue la descrizione di circa trecento opere, la maggior parte delle quali sono costituite da ritratti su tela, ma non mancano «ritrattini» su rame. La portella residua dell’organo della chiesa della Celestia con S. Alvise, ora alle Gallerie dell’Accademia, mostra come Tinelli nel suo periodo iniziale si distacchi dal tardomanierismo palmesco o di Domenico Tintoretto, ancora attivi in quegli anni, a favore di una formulazione espressiva più semplificata e arcaizzante. Tra le prime opere autonome vi è anche il quadro agli Uffizi tradizionalmente ritenuto l’Autoritratto, e collocabile agli inizi degli anni Venti, mentre per la tela di S. Maria del Soccorso a Rovigo, La glorificazione del podestà Tommaso Querini, dove lo stile si avvicina per scioltezza di forme alla sua fase più matura, le annotazioni del libretto vanno dal 1625 al 1630, quando la vedova del committente Tommaso Querini saldò l’opera.
Se inizialmente i ritratti di Tinelli seguono lo stile descrittivo del maestro Bassano, dagli anni Venti egli ebbe modo di conoscere le varie istanze pittoriche che andavano affermandosi a Venezia; tra queste l’opera di Alessandro Varotari da poco in città, conosciuto probabilmente tramite Bernardino Prudenti, collaboratore del pittore padovano, con cui Tinelli condivise la realizzazione (o forse egli fu sostituito in essa) di uno dei teleri, oggi scomparsi, per il chiostro del convento dei Frari a Venezia (Lanfranchi Strina, 2000, pp. 11 s.), così come lo stile di Anton van Dyck, giunto in Italia nel 1622. Nel corso degli anni la committenza di Tinelli si fece più prestigiosa, tanto da portarlo a lavorare a palazzo ducale per il magistrato del Piovego e per i membri dell’alta burocrazia veneziana, come Ottaviano de’ Medici, segretario del Senato, ricco collezionista presente tre volte nel libretto. Inoltre ritrasse anche il doge Nicolò Contarini. Altri suoi committenti furono gli avogadori di Comun Alessandro Valier, Bernardo Marcello e Pietro Gradenigo, il cui Ritratto con la Vergine si trova tuttora in loco, seppur con un’aggiunta tardoseicentesca. Nell’impostazione spaziale della tela Tinelli pare avvicinarsi a Padovanino, cosi come al gusto di Van Dyck nell’eleganza della composizione, pur rispettando lo schema convenzionale dei ritratti di palazzo.
Con la fondazione dell’Accademia degli Incogniti (1630) la committenza di Tinelli si ampliò ulteriormente, dal momento che gli accademici scorsero nel ritratto un mezzo per tramandare ulteriormente la propria fama: pertanto si rivolsero a lui Strozzi, Davide Spinelli, Niccolò Grasso. Va anche osservato che alcuni dei committenti del pittore in quegli anni, come Giulio Strozzi o il vescovo di Vicenza Luca Stella, erano anche suoi vicini di casa a San Canciano, dove si era trasferito. Il Ritratto di Giulio Strozzi, conservato agli Uffizi, viene tradizionalmente messo in rapporto con lo stesso soggetto dell’Ashmolean Museum, realizzato da Bernardo Strozzi, per l’impostazione e la resa delle figure e visto come un momento fondamentale della carriera di Tinelli per la conoscenza dell’opera del collega genovese. E tuttavia Strozzi non nominò mai nei propri testi questo quadro, indicato da Ridolfi (1648) come un «poeta con laurea in capo» (p. 291); sappiamo però da un suo primo testamento (1628) che lasciò un ritratto a olio su tela, di cui non specifica l’autore, a Gerolamo di Alvise Priuli, assieme alle sue composizioni destinate alla pubblicazione. L’opera può forse esser messa in rapporto con l’incisione datata 1627 e tratta da Simon Vouet (Bottacin, 2004, p. 108), ma nel 1638, in un secondo testamento, Strozzi lasciava a Isabella Garzoni, detta la Grechetta, sua convivente, e in seguito alla figlia naturale Barbara Strozzi, il ritratto su tavola «dell’esimio pittore Bernardo Strozzi» (Archivio di Stato di Venezia, Notarile testamenti, b. 195/99, c. n.n.), con la richiesta di venderlo solo per necessità e di preferenza all’amico Giovanni Widmann, a sua volta committente di Tinelli e collezionista d’arte. Il quadro di Bernardo Strozzi, che oggi non si trova più sul suo supporto originale su tavola, bensì su tela, è datato 1635, mentre i pagamenti di Strozzi a Tinelli annotati nel libretto sono per intermediazioni, tranne un versamento del novembre del 1632 da parte di Isabella Garzoni per 74 lire (12 ducati, il costo medio di un quadro di Tinelli), che potrebbe essere messo in rapporto con l’opera. I due quadri di Tinelli e Strozzi sarebbero quindi stati eseguiti tra il 1633 e il 1635; di conseguenza Tinelli avrebbe incontrato Bernardo Strozzi poco dopo il suo arrivo a Venezia.
Ridolfi ricorda che nel 1633 Tinelli lavorò per Louis Cauchon, figlio di Pierre, uditore alla Camera dei conti di Francia, e legato anche a Vouet; fu proprio grazie a Cauchon che Tinelli riuscì a ottenere il titolo di cavaliere dell’Ordine di S. Michele dal re Luigi XIII, pur avendo rifiutato l’invito di recarsi alla sua corte, non volendo abbandonare la propria madre. Tinelli visse infatti fino alla morte nella stessa abitazione con lei e un servo, intrattenendo frequenti rapporti con il fratello Giovan Battista, dal 1632 abate di S. Maria della Carità a Venezia, il cui libretto dei conti, redatto a partire dal 1633, idealmente continua quello dell’artista, fornendo anche qualche notizia di piccole transazioni tra i due.
Negli anni Trenta del Seicento si collocano i prestigiosi ritratti della piena maturità: Francesco Querini Stampalia, Carlo Ridolfi, Luigi Molin, Marcantonio Viaro (firmato e datato 1637), Ludovico Widmann, Enrica Papafava Borromeo, che vedono Tinelli assumere un ruolo preminente nella ritrattistica veneta dell’epoca. Nel Ritratto di Luigi Molin, eseguito in occasione di un’ambasceria a Mantova nel 1638, il nobile veneziano è rappresentato nello studio con il volume della commissione ducale redatto per la sua elezione ad ambasciatore, mentre i due busti e la colonna scanalata dello sfondo evocano la sua galleria di arte antica. A tale proposito il suo riferimento più vicino può essere costituito dal ritratto del collezionista e mercante fiammingo Lucas van Uffelen (New York, Metropolitan Museum of art), attivo nella piazza veneziana, eseguito da Anton van Dyck, al cui stile il quadro segna il punto massimo di avvicinamento, così collegandosi alla cultura internazionale.
Nell’aprile del 1638 Tinelli stimò assieme a Bernardo Strozzi il quadro di Bernardino Prudenti per il magistrato alla Sanità, ma poco più di un anno dopo, il 22 maggio 1639, morì per una febbre maligna (Bottacin, 2004, p. 26), benché nell’iscrizione della lapide nella chiesa di S. Canciano venga indicato come mancato ai vivi nel 1638. Scompariva con lui un artista che aveva attivamente contribuito al rinnovamento della ritrattistica veneziana tra il terzo e il quarto decennio del Seicento, rappresentando una sorta di trait d’union tra la tradizione neocinquecentesca di Girolamo Bassano e quella ormai pienamente seicentesca che caratterizza l’opera di Girolamo Forabosco.
Fonti e Bibl.: Per la richiesta di cittadinanza, Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, b. 433, 12 dic. 1617; Sanità, b. 568, Sestiere Cannaregio, sub 1633, cc. n.n.; i testamenti di Giulio Strozzi, ibid., Notarile testamenti, b. 1177/1181; Notarile testamenti, b. 195/99; Arch. Gradenigo rio Marin, b. 28, f. 7: Libretto dei conti 1633-1643, cc. 4v-5r; la presenza di Tinelli alle nozze dell’amico: Venezia, Archivio patriarcale, S. Pantalon, Matrimoni, 18 novembre 1614.
C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte, overo delle vite degl’illustri pittori veneti..., Venetia 1648, pp. 278-302; M. Boschini, La carta del navegar pitoresco, Venetia 1660, pp. 459-465; H. Macandrew, Vouet’s portrait of Giulio Strozzi and its pendant by Tinelli of Nicolò Crasso, in The Burlington Magazine, CIX (1967), pp. 266-271; R. Pallucchini, La pittura veneziana nel Seicento, Milano 1981, pp. 90, 106-108, 168 s., 181 s., 184, 305 s.; A. da Mosto, I Dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Firenze 1983, pp. 368, 382; B. Aikema, Piero della Vecchia and the heritage of the Renaissance in Venice, Firenze 1990, pp. 82 s.; U. Ruggeri, Padovanino, Cremona 1993, pp. 20, 92; L. Borean, Bernardo Strozzi’s portrait of a collector as Perseus in Dijon, in The Burlington Magazine, CXLII (2000), pp. 429-433; F. Bottacin, T. T., un artista veneziano del Seicento nel suo studio, in Studi veneziani, XL (2000), pp. 239-255; B. Lanfranchi Strina, Libretto dei conti del pittore T. T. (1618-1633), Venezia 2000; F. Bottacin, T. T. ‘pittore e cavaliere’ (1587-1639), Mariano del Friuli 2004; L. Borean - S. Mason Rinaldi, Il collezionismo d’arte a Venezia. Il Seicento, Venezia 2007, pp. 288 s., 310, 320 s.