TIEPOLO, Giovanni
– Nacque a Venezia il 12 aprile 1570 da Agostino di Nicolò e da Laura Bragadin di Giovanni, vedova di Andrea Gritti di Luca.
Il padre – esemplarmente religioso a detta delle fonti – percorse una modesta carriera politica, forse anche per la presenza in famiglia di tre suoi fratelli, tutti sposati e con prole, ma riuscì a fornire ai figli una buona educazione, di cui si giovò particolarmente Giovanni, che sin da piccolo mostrò inclinazione agli studi.
Una volta raggiunto il requisito dell’età, si accostò alla politica, ma gli esordi furono discontinui e di basso profilo: il 18 aprile 1599 rifiutò l’elezione a giudice del Piovego, dove pure avrebbe potuto far valere le sue conoscenze nel settore storico-artistico; Marco Barbaro (Arbori de’ patritii..., VII, p. 90) gli attribuisce l’elezione, avvenuta il 27 dicembre 1600, alla Quarantia civil nuova, ma, poiché la fonte ufficiale dei Consegi alla Marciana non precisa il patronimico, è probabile trattarsi di un omonimo figlio di Girolamo; accettò invece la nomina (9 aprile 1602), a cattaver, magistratura finanziaria di limitato rilievo. Poi, forse grazie all’appoggio del doge Leonardo Donà, Tiepolo riuscì a realizzare la sua più autentica vocazione, che consisteva nel servizio religioso, e il 27 dicembre 1603 fu nominato primicerio di S. Marco.
Si trattava di una carica antichissima, sorta nell’829 per volontà del doge; l’anno prima era avvenuto il trafugamento del corpo di s. Marco da Alessandria d’Egitto e la sua deposizione nella chiesa fatta erigere in suo nome; una chiesa con un proprio clero composto da dodici cappellani ducali detti canonici, sei sottocanonici, quarantadue sacerdoti e vari chierici. A reggerli il primicerio, che rispondeva direttamente al doge e non al vescovo – poi patriarca – di Castello. Una realtà, dunque, autonoma da Roma e che nei secoli avrebbe rappresentato il fulcro dell’indipendenza del governo veneto contro le interferenze della gerarchia ecclesiastica.
La religiosità del nuovo primicerio faceva tutt’uno con l’alta considerazione ch’egli aveva della sua carica, la qual cosa lo indusse a scontrarsi con i procuratori di S. Marco de Supra, che detenevano le competenze sulla basilica marciana e non di rado erano inclini a far proprie le posizioni romane piuttosto che quelle del primicerio. Tiepolo però aveva dalla sua una solida preparazione giuridica e letteraria, che gli consentì di dare vita a una vasta produzione, dimostrandosi scrittore profondo e versatile: basti qui ricordare il catalogo, rimasto a lungo manoscritto, di venerabili, beati e santi veneziani. A tali requisiti si sommavano nell’uomo l’integrità dei costumi e la morigeratezza verso il cibo e le bevande, che lo spingeva a ricorrenti digiuni. Soprattutto una convinta dedizione all’incarico, che lo portò a esercitare un’incessante opera di disciplinamento nei confronti del suo clero; un attivismo discendente da una formazione gesuitica e molinista che privilegiava la volontà umana rispetto alla grazia divina, donde il suo prodigarsi per incrementare i pellegrinaggi agli altari dei santi, il culto mariano, il senso della centralità eucaristica nella liturgia e nella vita quotidiana dei credenti, l’attenzione verso i costumi del clero, con un fitto susseguirsi di precetti sin minuziosi, quale il divieto dell’uso dei ciechi come cantori.
Qualche tempo dopo la nomina di Tiepolo a primicerio la Repubblica si trovò coinvolta nella dura contesa con Roma sfociata nell’interdetto (17 aprile 1606) e culminata, neppure due mesi dopo, nell’espulsione dei gesuiti dai territori della Serenissima. Tiepolo, pur riconoscendo l’importanza dell’Ordine nella vita ecclesiale veneziana, non esitò a fare proprie le ragioni del governo marciano, al cui vertice sedeva, proprio da qualche mese, Leonardo Donà, capo riconosciuto dei ‘giovani’ e suo estimatore. Fortissimo infatti, in Tiepolo, il radicamento lagunare e indiscusso l’attaccamento alla patria veneziana per cui nei mesi cruciali dell’interdetto l’energico primicerio si trovò a condividere le posizioni di Paolo Sarpi e Fulgenzio Micanzio. Si rafforzava in tal modo l’opposizione a Roma, al punto che – scrive Gaetano Cozzi (1997, p. 56) – «Sembra plausibile ritenere che tra le ragioni che avevano mosso Paolo V a chiudere la contesa dell’interdetto ci sia stata la preoccupazione che un doge dalla personalità [...] di un Leonardo Donà e un primicerio dal forte sentire patriottico-religioso di un Giovanni Tiepolo mirassero a rafforzare ulteriormente l’autonomia della Chiesa veneta, prendendo a modello la Chiesa greca». Qualche anno dopo, in uno dei suoi molti scritti che dominarono fra il 1606 e il 1630 la spiritualità veneziana, Tiepolo giunse infatti a lodare la bontà del governo, affermando che Venezia era non solo «paradiso terrestre», ma anche, come depositaria di tante reliquie di santi e beati, «paradiso celeste» (Trattato delle santissime Reliquie..., 1617, p. 68).
Il prestigio di cui godeva unitamente alla competenza in materia di diritto ecclesiastico, gli valsero, il 10 ottobre 1619, l’elezione a patriarca. Era una chiara vittoria della linea autonomista della Chiesa veneziana, benché prontamente compensata dalla nomina a primicerio del ‘papalino’ Marc’Antonio Corner, figlio del futuro doge Giovanni. In risposta il neopatriarca scelse come suo auditore Gaspare Lonigo, la cui competenza si sarebbe rivelata preziosa nella controversia insorta con il nunzio apostolico circa la giurisdizione sulle parrocchie veneziane; ancora, appena eletto Tiepolo riformò il capitolo della cattedrale intitolata a s. Pietro, istituendo la figura del canonico teologo.
Intenso l’attivismo dispiegato dal patriarca, in linea con quello dimostrato quand’era primicerio, ma ora perseguito con altri mezzi e ben più ampio respiro territoriale. Fra i suoi provvedimenti maggiormente significativi si possono ricordare la denuncia delle monacazioni femminili forzate (1619); il potenziamento del seminario, con l’organico aumentato di venti chierici e la conseguente ristrutturazione dell’edificio (1620); lo stesso anno compilò il catalogo dei santi veneziani e ne ordinò la raffigurazione pittorica alla Madonna dell’Orto; proibì alle chiese e ai monasteri di restare aperti la sera (1621); prescrisse che i maestri dei chierici dovessero sostenere un esame alla sua presenza (1622); ancora, nel 1622 inviò a Roma la relazione prescritta sullo stato della sua diocesi, purtroppo irreperibile; vietò alle fanciulle che frequentavano le scuole di dottrina cristiana di portare gioielli o collane (1623). Molte poi le chiese restaurate (S. Apollinare, S. Benetto, S. Bonaventura, S. Chiara, S. Felice, S. Maria Maddalena, S. Maria Redentrice, S. Maria delle Vergini), gli altari e i monasteri consacrati. Nel 1627 decretò infine la creazione della parrocchia di S. Maria Elisabetta al Lido, in precedenza oratorio dipendente dalla cattedrale di S. Pietro di Castello, della quale portò a termine la facciata marmorea.
Si avvicinava però il flagello della peste. Nell’agosto del 1629 scoppiarono a Venezia i primi casi e presto l’epidemia assunse una drammatica intensità; dal 2 al 4 luglio 1630 il patriarca ordinò l’esposizione del Santissimo, accompagnata da processioni penitenziali e il 22 ottobre il Senato decretò l’erezione di un tempio alla Vergine, l’attuale chiesa della Salute, per impetrare la cessazione del morbo. Il sito venne scelto nella Punta della Dogana, all’ingresso del Canal Grande, il che suscitò la protesta del patriarca, che avrebbe preferito altra località, dal momento che lì sorgeva il seminario patriarcale. Tuttavia, Tiepolo acconsentì alla sua demolizione e al trasferimento a Murano purché il Senato si sobbarcasse tutte le spese; l’accordo fu trovato e il patriarca stesso il 25 marzo (giorno di s. Marco, ma altre fonti parlano del 1° aprile) benedisse la prima pietra della nuova chiesa.
Fu uno degli ultimi suoi atti: morì di peste – benché il necrologio parli di «febre et flusso» – il 7 maggio 1631 e fu sepolto a S. Pietro di Castello, con iscrizione scolpita in uno dei pilastri del tempio.
Unanimi le testimonianze in sua lode: Emmanuele Antonio Cicogna (1824-1853) ne accompagna puntualmente la citazione con parole di stima; Ferdinando Apollonio (1888) lo definisce «il più celebrato dei primiceri per dottrina e santità» (p. 60); Giuseppe De Luca (1963) «uno degli scrittori spirituali più ammirabili del Seicento italiano ed europeo» (p. 69); Antonio Niero (in La Chiesa di Venezia..., 1992) «eroico e severo, e dottissimo» (p. 254). Interpretabile alla luce di qualche riserva l’elogio di Gino Benzoni (1994), allorché ricorda che «ascesi [...] e mistiche accensioni abbondano e, talora, crepitano negli scritti di Giovanni Tiepolo» (p. 54).
Opere. Fra le molte si possono ricordare: Considerationi sopra la Passione di N. S. Giesù Cristo..., Venezia 1610; Trattato dell’invocatione et veneratione de’ santi, Venezia 1613; Delle considerationi del santissimo Sacramento del Corpo di Cristo..., Venezia 1616; Trattato delle santissime Reliquie ultimamente ritrovate nel santuario della chiesa di San Marco, Venezia 1617; Trattato dell’imagine della gloriosa Vergine dipinta da s. Luca conservata [...] nella ducal chiesa di S. Marco..., Venezia 1618; Dell’ira di Dio e de’ flagelli e calamità che per essa vengono al mondo, Venezia 1632; Catalogo di [...] Venerabili, Beati, Santi veneziani [...] con alcune annotazioni di pre Simon Antonio Rota ..., Venezia 1766.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codd., s. I, 20, Storia veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii..., VII, p. 90; Segretario alle voci, Elez. Maggior Consiglio, reg. 8, cc. 26, 65; Elez. Pregadi, reg. 10, c. 141; Provveditori alla Sanità. Necrologi, reg. 862, ad diem; Venezia, Biblioteca Marciana, Mss. It., cl. VII.832 (= 8911), Consegli, cc. 152, 267; 833 (= 8912), cc. 48, 69, 124; Venezia, Biblioteca del civico Museo Correr, Cod. Cicogna, 3060/I, cc. 23r-26r (biografia di anonimo).
G.A. Maisetto, Pro D. Petri templo elogia ill. ac rever. D. Johanne Theupolo patriarcha Venetiarum p.v. dicata Venetiis 1626; F. Corner, Ecclesiae Venetae antiquis monumentis [...] illustratae.., X, Venetiis 1749, pp. 151-155, XIII, p. 186 (iscrizione funebre); E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, I, Venezia 1824, p. 225, II, 1827, pp. 59, 85, 93, 343 s., 444, III, 1830, p. 91, IV, 1834, p. 600, VI, 1853, pp. 8, 93, 220; Id., Saggio di bibliografia veneziana, Venezia 1847, pp. 47, 503; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica..., XC-XCI, Venezia 1858, XCIII, 1859, ad indices; G. Soranzo, Bibliografia veneziana..., Venezia 1885, p. 541 (componimenti encomiastici per l’elezione a patriarca); F. Apollonio, I primiceri di San Marco, in La basilica di S. Marco in Venezia. Testo, Venezia 1888, p. 60; A. Niero, I patriarchi di Venezia. Da Lorenzo Giustiniani ai nostri giorni, Venezia 1961, pp. 117-120; G. De Luca, Della pietà veneziana nel Seicento e d’un prete veneziano quietista, in Letteratura di pietà a Venezia dal Trecento al Seicento, a cura di V. Branca, Firenze 1963, p. 69; La Chiesa di Venezia nel Seicento, a cura di B. Bertoli, Venezia 1992 (in partic. S. Tramontin, La diocesi nelle relazioni dei patriarchi alla Santa Sede, pp. 61-63, 66 s., 69, 72-76, 78 s., 82 s., 89; A. Niero, I sinodi del secolo, pp. 101, 112 s., 115, 117, 121; B. Betto, La chiesa ducale, pp. 140, 142-144, 151 s., 158, 164 s.; A. Niero, Spiritualità popolare e dotta, pp. 262-269, 271-273, 275, 279, 282-289); G. Benzoni, La cultura: contenuti e forme, in Storia di Venezia dalle origini alla caduta della Serenissima, VI, Dal Rinascimento al Barocco, a cura di G. Cozzi - P. Prodi, Roma 1994, p. 541; G. Cozzi, Dalla riscoperta della pace all’inestinguibile sogno di dominio, ibid., VII, La Venezia barocca, a cura di G. Benzoni - G. Cozzi, Roma 1997, pp. 48, 56-58, 62, 64; G. Benzoni, La vita intellettuale, ibid., pp. 903 s.