CARAFA, Giovanni Tommaso
Figlio primogenito di Diomede (poi conte di Maddaloni), e di Maria Caracciolo, nacque nella prima metà del XV secolo. Il 1º ag. 1457 fu investito del feudo materno di Casalduni (Benevento), già posseduto dallo zio Giovan Lupo Caracciolo. Nel 1473 quando Eleonora d'Aragona, che era stata allieva di Diomede, si recò a Ferrara, dopo aver sposato per procura Ercole I, il C. fece parte del seguito che l'accompagnò e nella città estense, dove giunse il 3 luglio, fu ospitato nella casa dell'esule fiorentino Diotisalvi Nerone. Pochi anni più tardi, nel 1479, allorché Lorenzo de' Medici si recò a Napoli, il C. inviato dal padre, legato al Medici da un'antica amicizia, scortò l'ospite, accompagnandolo nell'alloggio a lui destinato, al palazzo di Pasquale Diaz Garlon conte di Alife.
Avvenuta l'8 ag. 1480 la conquista di Otranto da parte dei Turchi, il C. seguì il duca di Calabria nella campagna da questo intrapresa contro gli invasori, che portò al recupero della città nel maggio dell'anno successivo. In questa circostanza il C. si distinse per il suo valore, tanto che il re indirizzò a Diomede una lettera di ringraziamento e di elogi.
Il 17 maggio del 1487 il padre, che gli aveva dedicato la sua operetta dal titolo Trattato dello optimo cortesano, morendo lasciò il C., quale primogenito, erede universale dei suoi beni e dei suoi feudi, fatta eccezione per le terre di Sant'Angelo a Scala, che passarono al fratello Giovanni Antonio.
Il giorno 25 dello stesso mese Ferdinando confermò al C. l'investitura dei feudi pervenutigli dall'eredità ed il titolo di conte di Maddaloni e di Cerreto; inoltre il C. ottenne il governo di Amantea, detenuto dal padre dal 1483, la castellania di Castel dell'Ovo ed il possesso di Vico Equense, e di Massa Lubrense, che Diomede aveva avuto in pegno nel gennaio del 1486 e che furono poi riscattate nel 1491.
Nel maggio del 1488 il C. ebbe l'incarico da Ferdinando di recarsi a comporre una vertenza sorta fra Cittaducale, facente parte dello Stato della Chiesa, e Rieti, ed egli riuscì a pacificare le due città con soddisfazione reciproca. Successivamente egli attese soprattutto ad amministrare il proprio patrimonio, acquistando nuove terre, vendendone altre e muovendo varie cause per difenderne il possesso. Il 22 dic. 1488 egli fu uno dei testimoni alla stipulazione dei capitoli matrimoniali fra Isabella d'Aragona e Gian Galeazzo Sforza. Nella primavera del 1492 fece parte del seguito che accompagnò Ferdinando d'Aragona, nipote del re, nel suo viaggio a Roma, dove si recava a ricevere l'investitura del Regno da parte di Innocenzo VIII.
Morto Ferdinando e salito al trono Alfonso II, il C. ottenne nel giugno 1494 dal nuovo sovrano la conferma delle contee di Maddaloni e di Cerreto, e quella di tutti i suoi feudi e delle castellanie di Amantea e di Castel dell'Ovo. Intanto lo stato di guerra già dichiarato nel gennaio di quell'anno dal sovrano francese contro il re di Napoli si andava concretizzando nella spedizione di Carlo VIII contro il Regno. Il 9 nov. 1494, mentre quest'ultimo era in Toscana e la flotta francese era nelle acque di Ostia, il C. fu invitato da Alfonso II a recarsi a Napoli a soccorrere con il suo aiuto ed i suoi consigli la regina vedova di Ferdinando, che dalla capitale seguiva con apprensione i non favorevoli sviluppi della guerra.
Non si sa quale conforto egli abbia recato a Giovanna d'Aragona, ma è certo che il C. non prese le armi e che, giunto Carlo VIII nei pressi di Napoli, egli si recò alla testa, di una ambasceria a rendergli omaggio. Lo pregò per di più di attendere un giorno prima di fare il suo ingresso nella città, per dare modo ai cittadini di organizzare con cura gli opportuni festeggiamenti.
Pochi giorni dopo l'ingresso di Carlo VIII a Napoli (22 febbr. 1495) il C. otteneva dal sovrano francese la restituzione dei feudi, che erano stati occupati dalle truppe transalpine, e ne riceveva il 13 marzo la riconferma, con il titolo di conte di Maddaloni.
Rientrato a Napoli (7 luglio 1495) Ferrandino, dopo il ritorno in Francia di Carlo VIII, il quale aveva lasciato però nel Regno un forte presidio, il C. tornò al servizio dei re aragonesi e l'11 ottobre al comando di truppe a piedi ed a cavallo ebbe uno scontro presso Eboli con l'esercito francese. La battaglia si risolse, pare per l'errata disposizione dei suoi cavalieri davanti ai fanti, che furono travolti dal ripiegamento dei cavalli, in una netta sconfitta. Egli si rifugiò a Serino, guadagnandosi l'appellattivo di "belli dux ignavus".
Dopo la morte di Ferrandino (7 ott. 1496) il C., che aveva partecipato nell'estate all'assedio di Atella, ottenne da Federico d'Aragona, il 21 dic. 1496, una nuova conferma dei suoi beni e fu uno degli organizzatori dei festeggiamenti approntati in occasione dell'incoronazione del sovrano nel giugno del 1497 a Capua.
Travolti gli Aragonesi dalla coalizione franco-spagnola, i feudi del C. si trovarono a far parte dei territori del Regno destinati alla Francia ed egli allora prese ufficialmente posizione per i transalpini, che gli conferirono il 27 apr. 1503 come segno di gratitudine l'Ordine di S. Michele. Avuta la meglio gli Spagnoli nelle ostilità che subito sorsero fra i due recenti alleati, il C. fuggì in Francia ed il 13 genn. 1504 fu dichiarato ribelle dai governatori spagnoli e subì la confisca dei beni. Con la pace firmata fra Ferdinando il Cattolico e Luigi XII egli fu però perdonato e, tornato nel Regno, fu reintegrato nel suoi possessi, dei quali ottenne la riconferma il 29 nov. 1506. Si mantenne in seguito sempre fedele ai nuovi governanti, restituendo nel 1511 le insegne dell'Ordine di S. Michele al sovrano francese e assolvendo nel 1518 all'incarico di redigere gli statuti del Monte Carafa. Morì poco dopo il 20 sett. 1520, data del suo testamento.
Aveva sposato Giulia Sanseverino, da cui aveva avuto Diomede, Roberto, Giovanna ed Isabella.
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