CARAFA, Giovanni Tommaso
Nipote dell'omonimo Giovanni Tommaso di Diomede, conte di Maddaloni con il quale venne molto spesso confuso anche a causa della giovane età in cui morì e della longevità dell'avo, al quale sopravvisse per pochi anni, nacque primogenito da Diomede e da Gezzolina Sanseverino nell'ultimo quarto del sec. XV. Contrariamente al nonno, assunse nel sett. 1520, quando il viceré di Napoli concesse assenso alla donazione di tutti i beni paterni, fattagli dal genitore nel 1518 al momento di contrarre il terzo matrimonio, il titolo di conte di Cerreto.
In data imprecisata, ma presumibilmente intorno a quell'epoca o poco dopo, il C., già considerato valente giostratore, uccise in un improvvisato torneo Giovanni Antonio Caldora. Pare che la proposta di correre una lancia fosse venuta proprio dall'ucciso, che però fu costretto ad armarsi in modo imperfetto per il ritardo, con cui gli furono recate le proprie armi. Il C. mostrò una grande disperazione per aver provocato la morte del Caldora, ma qualcuno dubitò della sua sincerità. A queste insinuazioni dette dapprima voce Lelio Caracciolo, che successivamente, alla reazione del C., lo sfidò a duello. Anche il Caracciolo subì la stessa sorte del Caldora, ma questa volta il C., la cui reputazione e notorietà furono enormemente accresciute dall'episodio, non ebbe rincrescimenti, ma anzi, dando prova di una notevole sfasatura rispetto a tempi in cui il concetto di cavalleria medievale era ormai tramontato, insuperbì.
Ottenuto dal vicerè l'indulto per i due duelli mortali, il C. dopo aver speso un patrimonio per l'allestimento del viaggio, fatto con grande larghezza, partì per la Fiandra, accompagnato da un esercito di servitori, secondo l'espressione usata dall'Aldimari. Alla corte di Carlo V il C. si trattenne tre o quattro mesi, passando il tempo e consumando denari in giostre e tornei, riuscendo a sperperare somme più che considerevoli. Alla fine del suo soggiorno il C. ottenne una presentazione per Prospero Colonna, allora in Lombardia, dove si stava realizzando, con Francesco II, la nuova restaurazione sforzesca in Milano (1522). Assunto in servizio nell'esercito della lega, con sessanta lance, che manteneva a sue spese, benvoluto, pare, dal Colonna, egli non cambiò evidentemente abitudini ed interessi, poiché provocò, esprimendo durante un banchetto delle critiche nei riguardi di lui, il risentimento di Fabrizio Maramaldo, che lo sfidò a duello. Morì il giorno dopo lo scontro, che avvenne nei pressi di Mantova il 3 ag. 1523 e, secondo un genealogista agiografico quale si può considerare l'Aldimari, il dolore dei genitori fu enorme "non tanto per la di lui morte, quanto per dovere pagare gl'eccessivi debiti da quello fattisi, i quali, prima che il padre pagasse, morì di collera" (p. 181).
Il C., che testò poco prima di morire, aveva avuto due mogli, Dianora Caracciolo e Caterina di Capua e quattro figli, Diomede, Vincenzo, Geronima e Cornelia.
Le imprese del C. fecero molta presa nell'immaginazione dei contemporanei, e il suo duello con il Caldora fu argomento di un epigramma di Pietro Gravina (Poematum libri..., Neapoli 1532, p. 5).
Fonti e Bibl.: G. Passero, Giornali, a cura di M. M. Vecchioni, Napoli 1785, p. 305; B. Aldimari, Historia geneal. della famiglia Carafa, II, Napoli 1691, pp. 174-181; G. De Blasiis, Fabrizio Maramaldo..., in Arch. stor. per le prov. napol., II (1877), pp. 323-25; P. Litta, Le fam. celebri italiane,s.v. Carafa, tav. XXXVII.