MINADOI, Giovanni Tommaso
MINADOI, Giovanni Tommaso. – Nacque a Ferrara, probabilmente nel 1549, dal medico Giovanni Battista e da tale Enrica.
Nel 1551 il padre si trasferì a Rovigo, dove il M. compì gli studi inferiori; quindi si iscrisse all’Università di Padova e ottenne la laurea in medicina il 29 marzo 1576. Negli anni che seguirono il M. esercitò probabilmente la professione a Rovigo, forse alternandola con soggiorni a Venezia, dove risiedevano tre suoi fratelli. Nel 1578 Teodoro Balbi, appena eletto console in Siria, offrì al M. la possibilità di accompagnarlo ad Aleppo come suo medico personale. La città rappresentava allora uno snodo commerciale di primaria importanza con la Persia e questo consentì al M. di procurarsi una qualificata clientela anche tra i musulmani. Da tali frequentazioni nacque il progetto di scrivere la storia della guerra scoppiata nel 1578 tra il sultano Murad III e lo scià Mohammad Hodabanda il Cieco. In seguito tornò a Venezia, dove la sua presenza è documentata dall’aprile 1583. Qui fu contattato dai Gonzaga per curare il duca Guglielmo, sofferente di artrite e rachitismo, mali ereditari in famiglia. Il 6 maggio 1583 il M. si trovava a Mantova, ma senza riscuotervi particolare successo: nonostante le sue incombenze prevedessero un’assidua presenza presso il duca, fu alloggiato a Sacchetta, nel contado. Sin dal febbraio 1584 chiese di essere sollevato dall’incarico e tre mesi dopo era a Venezia.
Nell’autunno seguente accettò di recarsi nuovamente in Siria, al servizio del console Giovanni Michiel, già provveditore alla Sanità. Ma il 31 marzo 1585 il M. scriveva da Aleppo di aver lasciato l’Italia contro ogni «opinione et dissegno», manifestando contrarietà per quei «luochi odiosi et infesti per la lontananza, per la barbarie d’abitanti, per li pericoli» (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Carteggio estero, Inviati e diversi, b. 795, ad diem). Tra le ragioni che lo spinsero ad accettare tale incarico, oltre alla mancanza di valide alternative per quell’affermazione professionale e sociale che tardava a venire, non si possono escludere interessi economici e familiari, dal momento che un fratello del M., Pietro Maria, esercitava la mercatura col Levante.
Questa seconda permanenza nel Vicino Oriente si protrasse per quasi due anni, che però il M. non trascorse interamente ad Aleppo; Michiel infatti si valse di lui per due missioni a Costantinopoli.
La prima si svolse tra l’agosto e il dicembre 1585 con il compito di ottenere dal sultano un decreto che ponesse fine alle vessazioni dei funzionari turchi nei confronti dei mercanti veneziani; dopo che la Porta ebbe impartito le necessarie provvidenze, il M. fece ritorno ad Aleppo. Poiché gli ordini del sultano furono disattesi, il M. ripartì nell’aprile 1586 per una seconda missione con lo stesso oggetto della precedente: furono emanate ulteriori misure contro i funzionari corrotti, ma senza ottenere migliore esito.
Nel settembre 1586 il M. lasciò il Bosforo e in dicembre si trovava a Venezia, che raggiunse toccando il Peloponneso, come comproverebbero alcuni suoi riferimenti letterari a erbe e medicamenti da lui conosciuti in quella regione.
A Rovigo il 26 apr. 1587 sposò Lucia Cezza di Bartolomeo, imparentandosi con una delle più ricche e influenti famiglie della città, ma il matrimonio rimase sterile. In quello stesso anno il M. si recò a Roma, dove nel corso dell’estate poté consegnare la sua Historia nelle «sacratissime mani del Papa» (così la dedica a Sisto V).
La Historia della guerra fra Turchi et Persiani (Roma, I. Tornerio - B. Donangeli, 1587) fu seguita da una nuova edizione a Venezia nel 1588 (Venetia, A. Muschio - B. Barezzi). La ricostruzione degli avvenimenti è tra le poche testimonianze di parte europea sul mondo persiano; donde il successo del volume, che in breve tempo ebbe numerose edizioni e traduzioni.
Tornato a Rovigo, entrò a far parte dell’Accademia dei Concordi, secondando in tal modo la sua inclinazione per le lettere (è ravvisabile la sua mano anche nella relazione sul consolato di Siria, letta da Michiel in Senato al suo rimpatrio).
Nel luglio 1589, dietro segnalazione di suo fratello Annibale, che si trovava in Friuli, il M. fu assunto dalla Comunità di Udine in qualità di medico, con il ragguardevole stipendio di annui ducati 400. La situazione sanitaria della città era endemicamente difficile, per la vicinanza del confine e i frequenti contrasti con i Turchi della Bosnia. Il M. si trattenne a Udine per quasi sei anni, sino al 20 giugno 1595, quando si dimise inaspettatamente dall’incarico. Non sono chiare le ragioni di questa decisione, visto che la Comunità gli aveva accordato il richiesto aumento di stipendio, per di più accompagnandolo con la cooptazione nell’ordine nobiliare. Il M. si rifugiò a Venezia, dove riprese contatto con gli esponenti del patriziato filocuriale e filospagnolo, che gli procurarono l’agognata cattedra patavina, forse la vera causa della precedente insoddisfazione.
Il 19 dic. 1596 il M. assunse l’insegnamento di medicina pratica straordinaria. Fu bene accetto agli studenti, specie alla nazione tedesca (il che gli valse, il 19 sett. 1607, la nomina a conte palatino), e la sua carriera accademica procedette regolarmente. Nel 1602, dopo essere stato cooptato nella locale Accademia dei Ricovrati (13 gennaio), fu promosso all’insegnamento di medicina pratica in secondo luogo; raggiunse il primo luogo il 7 dic. 1612, con 600 fiorini, incarico mantenuto sino alla morte.
Nominato cavaliere di S. Marco in occasione del discorso pronunciato nell’agosto 1612 per il nuovo doge Marc’Antonio Memmo, nel gennaio 1615 si recò a Firenze su invito del granduca Cosimo II de’ Medici. Ritornò alla corte medicea tre mesi dopo, ma, ammalatosi improvvisamente di febbre maligna (proprio il morbo che aveva reso oggetto di particolare studio), morì a Firenze il 29 maggio 1615, dove fu sepolto nella chiesa dei Ss. Michele e Gaetano.
Allievo di C. Mercuriale e di G. Capodivacca, il M. avversò gli innovatori paracelsisti, alchimisti e spargirici, preferendo loro i classici Galeno, Ippocrate e Celso. Tuttavia la sua adesione alla scuola dogmatica non fu incondizionata, e in campo metodologico cercò un giusto equilibrio fra teoria e pratica. In ciò era confortato dall’esperienza diretta, sebbene la sua ammirazione per Galeno lo portasse talvolta ad avallare palesi superstizioni, come l’amuleto costituito da un guscio di lumaca, che egli consigliava di appendere al collo dei bambini alla prima dentizione. Fu insomma un buon medico, ma senza brillare per originalità e particolare talento, come sembra confermare il giudizio di Galileo Galilei, collega a Padova, che nel fornire ai Medici informazioni sul M., lo descriveva, nel 1607, come uomo «di aspetto grato, gioviale et di maniere e costumi piacevoli et honesti» ma, quanto a capacità professionale, confessava di non saper indicare «esperienze segnalate particolari» (Samaden, p. 145). Secondo Samaden i testi medici del M. possono essere suddivisi in tre gruppi: quelli che trattano argomenti teorico-filosofici; quelli di carattere più propriamente tecnico-pratico, ove il M. dispiega le sue molteplici conoscenze farmacologiche; infine gli scritti di maggiore impegno: il De humani corporis turpitudinibus cognoscendis et curandis (Padova 1600), De arthritide (ibid. 1602), De febre maligna (ibid. 1604).
Fonti e Bibl.: Lettere del M. in Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Carteggio estero, Inviati e diversi, bb. 2620 (24 maggio 1583); 2621 (17 ott. 1583); 1514 (7 aprile, 19 e 23 maggio 1584); 2625 (11, 12 maggio 1584); I. Ghibellini, Un medico rodigino alla corte di Mantova (G.T. M.), in Minerva medica, XLVIII (1952), pp. 912-920; Id., G.T. M., professore universitario e protomedico (1548-1618), in Rivista di storia delle scienze mediche e naturali, XLI (1954), pp. 187-193; J.R. Walsh, G.T. M.’s History of the Turco-Persian wars of the reign of Murad III, in Trudy dvadcat’ pjatogo Mezdunarodnogo kongressa Vostokovedov, … 1960 (Atti del XXV Congresso internazionale degli orientalisti), II, Moskva 1963, pp. 42-44; L. Contegiacomo, Rovigo, personaggi e famiglie, in Le «iscrizioni» di Rovigo delineate da Marco Antonio Campagnella. Contributi per la storia di Rovigo nel periodo veneziano, Trieste 1986, p. 474; L. Samaden, G.T. M. (1548-1615): da medico della «nazione» veneziana in Siria a professore universitario a Padova, in Quaderni per la storia dell’Università di Padova, XXXI (1998), pp. 91-164; Harvey e Padova. Atti del Convegno … Padova, … 2002, a cura di G. Ongaro - M. Rippa Bonati - G. Thiene, Treviso 2006, pp. 200, 267, 272-274, 276 s., 279.
G. Gullino