URBANI, Giovanni
– Nacque a Venezia, in parrocchia di S. Pantalon, il 26 marzo 1900 da Angelo, mediatore commerciale, e da Elisabetta Borghi, calzettaia.
Frequentò le scuole dei padri Cavanis e il 16 ottobre 1913 fu accolto nel seminario patriarcale. Durante il primo conflitto mondiale dovette prestare servizio militare di leva nel corpo di artiglieria da campagna dal marzo del 1918, venendo congedato con il grado di caporale il 20 ottobre dell’anno successivo e potendo così iniziare i corsi di studio teologico. Fu ordinato diacono il 10 giugno 1922 e consacrato sacerdote il 24 settembre successivo nella basilica dei Ss. Maria e Donato di Murano. In quello stesso autunno s’iscrisse alla facoltà giuridica.
L’attività preponderante di Urbani si svolse nel campo educativo e nell’insegnamento: presso il seminario (scienze bibliche dal 1926, teologia morale dall’anno successivo e teologia pastorale dal 1932) e presso diverse scuole pubbliche veneziane come insegnante catechista nel quadro della riforma Gentile. Intanto il 31 ottobre 1927 era stato nominato rettore della chiesa di S. Samuele a Venezia e nel 1929 era stato trasferito a S. Fantin in qualità di vicario. Svolse la propria attività pastorale prevalentemente nel campo dell’Azione cattolica (AC) dalla fine degli anni Venti: assistente della Federazione universitaria cattolica italiana femminile, nel 1929 fondò il gruppo Laureate cattoliche e la sezione Impiegate, né trascurò il mondo del lavoro (in particolare la manifattura tabacchi, i ferrovieri cattolici e il personale degli ospedali veneziani). Il 7 novembre 1936 il patriarca Adeodato Piazza lo scelse quale vicepresidente della giunta diocesana di AC, di cui divenne presidente il 29 settembre 1939. Ricoprì incarichi giuridici nella curia diocesana: fu notaio ecclesiastico dal 1926, giudice prosinodale dal 1936, promotore di giustizia nel tribunale regionale per le cause matrimoniali dal 1940.
Il 22 giugno 1943 il patriarca lo nominò cancelliere patriarcale. Dal novembre, in seguito alla morte dell’allora direttore don Alfonso Bisacco, assunse la direzione responsabile della Settimana religiosa, che avrebbe poi cessato le pubblicazioni alla fine del 1945. Fu proprio Urbani allora a suggerire quello che sarebbe stato il nome del nuovo settimanale diocesano: La Voce di San Marco. Durante l’occupazione nazista cercò di alleviare le sofferenze di ebrei e perseguitati politici, nascondendoli o favorendone l’espatrio; per questo nel 1945 finì iscritto nella lista nera, ma, avvertito per tempo da un funzionario della prefettura, riuscì a sfuggire all’arresto, rifugiandosi presso il patriarca. Fu protagonista di diversi negoziati con le autorità tedesche, riuscendo a convincerle a ridimensionare l’allagamento del basso Piave, progettato dai nazisti nell’inverno del 1943 in previsione di uno sbarco alleato, evitando lo sfollamento degli abitanti, e ottenendo, alla fine di marzo del 1945, l’allontanamento degli obiettivi militari da Venezia per preservare il centro storico dai bombardamenti alleati. Tra il 25 e il 28 aprile fece inoltre da intermediario tra le forze di liberazione e quelle tedesche.
Dopo la guerra Pio XII lo scelse quale segretario della nuova commissione episcopale per l’alta direzione dell’AC e il coordinamento delle opere cattoliche, presieduta dal patriarca Piazza. Il papa lo nominò assistente generale dell’AC, eleggendolo vescovo titolare di Assume (Etiopia). Urbani lasciò dunque ogni incarico a Venezia e nel 1946 si trasferì a Roma.
La sua attività nell’AC fu diretta a tre obiettivi: la ricerca dell’unità tra le organizzazioni del cattolicesimo italiano, l’impegno per la formazione religiosa e civile del clero, le iniziative per la formazione religiosa di tutti i fedeli. Il suo piano di una formazione a lungo termine del laicato si scontrò con la prevalente convinzione della necessità di un’urgente azione politica. Fu probabilmente per queste divergenze, delle quali gli appunti spirituali di Urbani recano testimonianza fin dal 1948, che venne allontanato da Roma il 14 aprile 1955, avendo ricevuto il titolo ad personam di arcivescovo di Verona. Ciononostante riuscì a mantenere un proprio ruolo all’interno della struttura provvisoria della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), garantitogli da Piazza.
La sua attività pastorale fu subito caratterizzata dall’attenzione al clero (riorganizzò il seminario) e all’apostolato laicale (istituì una commissione per coordinare e assistere tutte le istituzioni apposite e a metà ottobre del 1955 organizzò il congresso diocesano dell’apostolato dei laici). In vista delle elezioni amministrative del 1956 si espresse chiaramente contro l’apertura a sinistra, lanciata in aprile da Pietro Nenni nella stessa piazza scaligera. Il 29 giugno indisse una visita pastorale, studiata come analisi realistica e particolareggiata delle situazioni locali. La seconda metà del suo episcopato fu imperniata sulla celebrazione dell’anno eucaristico-mariano previsto per il 1958.
La sera del 28 ottobre 1958, il giorno stesso dell’elezione a pontefice, Giovanni XXIII confidò l’intenzione di nominare Urbani come proprio successore alla cattedra di S. Marco. L’11 novembre Urbani ricevette la nomina e nel primo concistoro, il 15 dicembre, fu creato cardinale, secondo nella lista dopo Giovanni Battista Montini.
Il patriarcato di Urbani fu caratterizzato da una duplice e differenziata sensibilità tra il piano dottrinale, che conobbe un’incompleta evoluzione da posizioni conservatrici a una posizione vicina al pontificato di Paolo VI, e il piano pastorale, da subito caratterizzato da un non comune impiego di strumenti e metodi pastorali moderni (si vedano gli interventi pubblici in occasione della Mostra del cinema o ancora l’attenzione pastorale per i turisti).
L’8 dicembre 1959 avviò la visita pastorale, volta a coniugare esigenze pastorali e indagine sociologica della diocesi, che lo avrebbe portato a un crescente impegno per l’hinterland veneziano, con un aumento delle chiese e del clero in terraferma. Urbani inizialmente si concentrò sul versante della formazione catechetica (con il potenziamento dell’apposito ufficio di curia, l’indizione dell’anno catechistico nel 1960, l’istituzione della scuola diocesana per catechisti, la celebrazione di un congresso diocesano nell’aprile del 1961 e la creazione di una commissione catechistica diocesana) e poi sulla dimensione liturgica (con l’indizione dell’anno liturgico).
Fin dal novembre del 1958, assieme a pochi altri, era a conoscenza dell’intenzione di Angelo Giuseppe Roncalli di indire un concilio. Non fu tuttavia coinvolto nella fase preparatoria dei lavori, gestita in larga parte dalla Curia romana. Al Concilio Vaticano II la sua presenza non fu particolarmente incisiva: lo scarso peso dei suoi interventi fu compensato da incarichi importanti (probabilmente dovuti all’autorevolezza che aveva guadagnato in AC). Si avvicinò alla minoranza conservatrice, in seguito a un incontro con Ernesto Ruffini nel novembre del 1962, con l’intenzione di fare da mediatore tra quei settori e quelli moderatamente riformatori. A dicembre entrò nella commissione di coordinamento e nel marzo del 1963 nella commissione cardinalizia per la revisione del codice di diritto canonico.
Al conclave fu considerato tra i papabili della linea, seppur moderata, del rinnovamento, grazie al prestigio derivato dalla titolarità della diocesi di Venezia, al rilievo gradualmente assunto nell’ambito dell’assise conciliare e alla stima nutrita da Roncalli nei suoi confronti. Il 18 giugno, alla vigilia dell’ingresso in conclave, annotava: «Le mie previsioni sono tutte per Montini perché mi sembra il migliore sopra di tutti e perché non vedo altri che possa raccogliere l’eredità di Papa Giovanni senza divenirne una copia e quindi una brutta copia» (Urbani, in Luzzatto Voghera - Vian, 2008, p. 119). Nei due anni seguenti mantenne un atteggiamento defilato al concilio, seguendo con fedeltà gli orientamenti di volta in volta assunti dal pontefice.
Si adoperò per introdurre gradualmente le novità del Vaticano II a Venezia a partire dall’istituzione del consiglio pastorale diocesano il 30 novembre 1964. Inviò dei sacerdoti veneziani in Kenya e in Brasile, prendendo le distanze dalle posizioni pacelliane: scopo delle missioni non era più costringere «ad entrare nell’ovile della salvezza», ma offrire «nel consiglio, nell’aiuto, nell’esempio la possibilità di confortare le loro giornate», disse nel Te Deum per la conclusione del concilio.
Una chiara evoluzione in senso progressista nel governo della diocesi è rinvenibile anche nell’azione politica e in campo ecumenico. Urbani, a differenza di Roncalli, nei primi anni del suo episcopato veneziano aveva cercato di condizionare la linea della DC (Democrazia Cristiana) attraverso i comitati civici. Tuttavia le sue prese di posizione contro il marxismo già si distinguevano perché accompagnate dall’invito a usare carità nei confronti dell’avversario politico.
Nell’aprile del 1962 allontanò Pio Pietragnoli dalla direzione della Voce di San Marco, per l’atteggiamento assai critico nei confronti dell’apertura a sinistra che questi imponeva al settimanale. Da un anno a Venezia si era costituita una giunta allargata al PSI (Partito Socialista Italiano) e Urbani, senza abbandonare la condanna del marxismo, cominciava ad allentare l’impegno politico diretto della Chiesa preferendogli un’azione di carattere prevalentemente formativo. La lettera pastorale per la quaresima del 1967 poneva i cattolici al di fuori di ogni logica confessionale e sottolineava l’autonomia della politica, nella quale il laico si sarebbe dovuto impegnare a titolo personale. Il 4 febbraio 1969, nell’adunanza dei vicari foranei, raccomandò di istruire i cattolici che il voto sul divorzio, «trattandosi d’una legge che tocca l’essenza di un bene comune di altissimo valore», sarebbe dovuto «essere libera espressione di quanto ciascuno sente e desidera in coscienza» (G. Vian, Un vescovo tra continuità e mutamento, in Giovanni Urbani, patriarca di Venezia, 2003).
In campo ecumenico, in cui la riflessione giovannea e l’enciclica Mater et Magistra giocarono forse un ruolo maggiore rispetto al concilio, è evidente il passaggio da una posizione romanocentrica all’approvazione di alcune iniziative di dialogo e di preghiera interconfessionale con ortodossi e riformati: l’ottava lettera inviata dal concilio a Venezia dedicata da Urbani al dialogo, del 20 novembre 1963, era ancora condizionata dalla certezza della verità esclusiva della fede cattolica. Urbani passò dalla celebrazione dell’ottava di preghiere perché protestanti e ortodossi si convertissero alla preghiera in comune e alla restituzione delle reliquie di s. Saba al patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme nell’ottobre del 1965 e di s. Tito alla Chiesa ortodossa di Creta nel maggio del 1966. Condizionato anche dalle iniziative di dialogo promosse dalle classi colte veneziane, andò adottando un linguaggio più ecumenico: nel suo intervento alla sesta sessione del SAE (Segretariato Attività Ecumeniche), nell’agosto del 1968, riconobbe ad esempio che colpe storiche non erano mancate anche tra i cattolici ed esortò a considerare gli altri cristiani come fratelli.
Nel 1966, ritenuto l’uomo giusto per una linea di equilibrio e per assecondare il progetto montiniano di una Chiesa italiana avviata a un prudente rinnovamento, Urbani ottenne la presidenza della CEI. Nel 1969 l’incarico gli fu rinnovato per un altro triennio, tuttavia morì a Venezia il 17 settembre, colto da un attacco di cuore.
Fonti e Bibl.: Le omelie, le pastorali e gli interventi pubblici più importanti di Urbani sono stati pubblicati in diverse sedi. Le Carte Urbani, ancora senza inventario, sono conservate a Venezia, Archivio della curia patriarcale.
A. Niero, I patriarchi di Venezia. Da Lorenzo Giustiniani ai nostri giorni, Venezia 1961, pp. 229-231; G. U., cardinale patriarca di Venezia, presidente della Conferenza episcopale italiana, Venezia 1970; S. Tramontin, La chiesa veneziana tra il 1938 e il 1948, in La società veneziana tra fascismo, Resistenza, Repubblica, a cura di G. Paladini - M. Reberschak, Venezia 1984, pp. 451-501; A. Niero, Il patriarcato di Venezia e i patriarchi A.G. Roncalli e G. U., in G. Alberigo, Chiese italiane e Concilio. Esperienze pastorali nella Chiesa italiana tra Pio XII e Paolo VI, Genova 1988, pp. 129-150; Id., La nomina di G. U. a patriarca di Venezia, in Chiesa società e Stato a Venezia, a cura di B. Bertoli, Venezia 1994, pp. 289-311; La Chiesa di Venezia dalla seconda guerra mondiale al Concilio, a cura di B. Bertoli, Venezia 1997; G. U. patriarca di Venezia, a cura di B. Bertoli, Venezia 2003; G. Vian, “La voce di San Marco” (1946-1975), Padova 2007; G. Luzzatto Voghera - G. Vian, Storia della vita religiosa a Venezia. Ricerche e documenti sull’età contemporanea, Brescia 2008 (in partic. C. Urbani, «Nell’obbedienza al Santo Padre». I diari del Concilio (1962) e del conclave (1963) di G. U., patriarca di Venezia, pp. 111-150; G. Vian, Dal Conflitto al dialogo. I rapporti tra le Chiese cristiane a Venezia nell’età contemporanea, pp. 151-187); G. Vian, Recezione del Concilio a Venezia: U., Luciani e Cè, in Da Montini a Martini. Il Vaticano II a Milano, a cura di L. Vaccaro - L. Bressan, Brescia 2012, pp. 183-197.