VACCA, Giovanni
– Nacque a Genova il 18 novembre del 1872, figlio di Federico e di Ernesta Queirolo.
La madre, già vedova di Giulio Cesare dei marchesi da Passano – da cui non aveva avuto figli –, era genovese. Il padre, originario di Napoli – dove era stato segretario di Garibaldi nel 1860 – si era stabilito a Genova dopo aver ricevuto l’incarico di presidente della corte d’appello.
Cresciuto nel capoluogo ligure, dopo la maturità classica Vacca si iscrisse al corso di matematica dell’Università di Genova. Dimostrò precoce attitudine alla ricerca: ancora studente pubblicò due articoli, uno dedicato alla mineralogia e l’altro alla matematica (Sopra un notevole cristallino di vesuvianite, in Rivista di mineralogia e cristallografia italiana, XII (1893), pp. 88-91; Intorno alla prima dimostrazione di un teorema di Fermat, in Bibliotheca Mathematica, 1894, n. 2, pp. 46-48). Durante gli anni dell’università si dedicò anche all’impegno politico, assistendo Filippo Turati nella fondazione del Partito socialista italiano (Petech, 1954, p. 153). Nel 1897 si laureò in matematica con una tesi in mineralogia.
Il 1897 fu per Vacca un anno importante: appena conseguita la laurea, subì la condanna al confino fuori da Genova per via della sua attività con il Partito socialista; nel mese di agosto, in occasione del primo Congresso internazionale dei matematici, tenutosi a Zurigo, conobbe inoltre Giuseppe Peano, da cui ricevette l’invito a trasferirsi a Torino come assistente alla cattedra di calcolo infinitesimale. Colpito dal pensiero del grande logico matematico e costretto a lasciare Genova, Vacca ne accettò la proposta. Iniziò così la sua attività in seno alla scuola di Peano, proseguita fino al 1902.
A Torino Vacca partecipò al lavoro di preparazione del Formulario di Peano, una vasta enciclopedia delle idee e dei concetti matematici che riserva ampio spazio alle fonti originali e alle note storiche e biografiche; fu su queste ultime che si concentrò in buona parte il suo contributo. L’interesse per le origini e lo sviluppo del pensiero logico e matematico lo portò inoltre a pubblicare in quel periodo numerosi articoli di ambito storico-scientifico, fra i quali: Sui precursori della logica matematica, in Revue de mathématiques, I (1899), pp. 121-125 e II (1899), pp. 102-104; Notizie storiche sulla misura degli angoli solidi e dei poligoni sferici, in Bibliotheca mathematica, 1902, n. 3, pp. 191-197. La storia della matematica rimase uno dei campi di studio privilegiati di Vacca, che pubblicò (fra gli altri): La previsione delle eclissi lunari presso i Babilonesi, in Calendario del R. Osservatorio astronomico di Roma, IX (1933), pp. 81-93; Sul concetto di probabilità presso i Greci, in Giornale dell’Istituto italiano degli attuari, VII (1936), 3, pp. 231-234; Origini della scienza. Tre saggi, Roma 1946.
Vacca condusse studi di rilievo sui manoscritti inediti di Gottfried Wilhelm von Leibniz (Sui manoscritti inediti di Leibniz, in Bollettino di bibliografia e storia delle scienze matematiche, 1899, ottobre-dicembre, pp. 113-116), ispirando Louis Couturat (curatore nel 1903 di una raccolta di inediti leibniziani) a proseguirne il lavoro (cfr. Carruccio, 1956, p. 449). Nel 1902 lasciò il suo incarico all’Università di Torino per divenire assistente di mineralogia all’Università di Genova. Nel capoluogo ligure riprese anche l’attività politica: fu difatti consigliere comunale fra il 1902 e il 1905, anno in cui tornò brevemente a Torino, ancora in qualità di assistente di Peano. Dal 1906, tuttavia, egli cominciò a dedicarsi con energia alla sinologia.
Fu probabilmente con le ricerche su Leibniz che Vacca iniziò a coltivare il suo interesse per la Cina: il filosofo e matematico di Lipsia si era infatti interrogato sull’eventualità che il sistema binario fosse stato in qualche modo intuito già nel Libro dei mutamenti (Yi Jing, noto anche come I Ching), uno dei più antichi testi classici cinesi, che la tradizione vuole composto alla fine del secondo millennio a.C. (Lioi, 2016, pp. 33-34). Un incontro avuto con due missionari di ritorno dalla Cina nel 1898, in occasione di una esposizione di arte sacra a Torino, contribuì forse ad alimentare ulteriormente la curiosità di Vacca, che già nel 1903 tenne al Congresso internazionale di scienze storiche un intervento Sulla storia della numerazione binaria, nel quale l’idea di Leibniz era ripresa e discussa (p. 34).
Nel 1905 decise di trasferirsi a Firenze per seguire le lezioni di Carlo Puini, docente di storia e geografia dell’Asia centrale nel R. Istituto di studi superiori, con l’intenzione di approfondire la conoscenza della lingua e della letteratura cinesi «visto che mi riusciva abbastanza», come scrisse egli stesso (lettera del 1906 al barone Guido Amedeo Vitale, in Lioi, 2016, p. 10). Nello stesso anno, a testimonianza del nuovo corso che intendeva dare ai suoi studi, uscì il suo articolo Sulla matematica degli antichi cinesi, in Bollettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche, VIII (1905), pp. 97-102.
A partire dal 1906, Vacca profuse il suo impegno nel reperire le risorse per un viaggio in Oriente: era sua convinzione che fosse necessario recarsi sul posto e rimanervi un certo periodo di tempo per avere una visione più chiara di quale fosse stata la storia del pensiero matematico in Cina. Non sfuggivano allo scienziato gli altri potenziali vantaggi che un simile progetto poteva comportare per l’Italia in generale. Fra gli obiettivi della sua spedizione egli elencò infatti anche lo studio del commercio in Cina e dell’influenza delle varie nazioni europee e del Giappone sul Paese «specialmente dal punto di vista degli interessi italiani» (lettera del maggio 1906 al professor Ludovico Nocentini, in Lioi, 2016, pp. 15 s.). Per realizzare il suo progetto, Vacca intendeva soggiornare per non meno di un anno in Cina, preferibilmente nell’interno del Paese, lontano dalle influenze occidentali, convinto che «soltanto con una lunga residenza in un luogo determinato sembra possibile il rendersi conto della vita del paese e poter raccogliere delle notizie connesse» (ibid., p. 12). Il 14 marzo 1907, dopo aver ricevuto (non senza alcune difficoltà) l’appoggio economico – fra gli altri – dell’Accademia dei Lincei, della Società di esplorazioni commerciali di Milano e del ministero dell’Istruzione, Vacca salpò da Genova alla volta di Shanghai.
Il viaggio in Cina durò circa un anno e mezzo, fino al 4 novembre 1908. Arrivato a Shanghai il 14 aprile 1907, Vacca si spostò presto a Pechino, dove rimase per qualche mese; da lì si recò a Hankou, oltre 1000 km a sud, nella provincia di Hubei, poi – risalendo il Fiume Azzurro – a Yichang, 200 km a ovest, nella stessa provincia. Proseguì il percorso lungo il fiume in giunca, per oltre 450 km, fino ad arrivare – dopo quaranta giorni di navigazione – a Chongqing, nel Sichuan, da dove raggiunse finalmente la sua destinazione a Chengdu, 300 km più a ovest, dopo un viaggio di dodici giorni in portantina: era il 12 novembre 1907.
Rimase a Chengdu fino al 28 aprile 1908, quando ripartì alla volta di Xi’an, nella provincia di Shaanxi, dove giunse dopo un mese di viaggio; proseguì poi verso est fino a Pechino, raggiunta il 24 giugno 1908. Salpò per il viaggio di ritorno da Shanghai nel settembre del 1908. Nonostante avesse pensato di intraprendere altri viaggi, Vacca non tornò mai più in Cina. Divenne però un sinologo di grandissima importanza per lo sviluppo della disciplina in Italia: a lui si devono oltre sessanta pubblicazioni di carattere sinologico e orientalistico, fra cui – oltre al già citato Origini della scienza – è utile ricordare La scienza nell’estremo oriente, in Scientia, XI (1912), pp. 232-250, e L’Asia orientale ed i problemi dell’ora presente, in Atti della Società italiana per il progresso delle scienze, VIII (1916), pp. 543-556.
Della sua esperienza in Oriente, ha lasciato un diario e numerosi appunti; una volta tornato in Italia, inoltre, si impegnò a diffondere le conoscenze acquisite per mezzo di numerose conferenze e relazioni. Dai suoi scritti emerge la lucidità di pensiero di un osservatore libero da molti di quei preconcetti eurocentrici che affliggevano – è lo stesso Vacca a sostenerlo – molti viaggiatori occidentali; la Cina che si vede nei suoi resoconti è un Paese che attraversa una fase di grande trasformazione, ma ricco di potenziale e pronto ad aprire un’importante stagione di crescita.
Tale sviluppo era del resto auspicato da Vacca: «Per noi italiani soprattutto non v’ha dubbio che ci convenga di avere nella Cina una nazione forte, ricca ed indipendente. Lasciando anche da parte le considerazioni d’indole sentimentale, come le chiamano [...] è nel nostro interesse materiale, cioè nell’interesse delle nostre industrie e dei nostri commerci, di avere un posto a lato delle altre nazioni più forti di noi, e questo posto possiamo averlo soltanto se la Cina è forte; perché, in caso di una divisione della Cina, all’Italia non spetterebbe nulla...» (Lioi, 2016, p. 275).
Più volte si riscontra, negli scritti di Vacca, il rammarico per la scarsa presenza italiana in Cina: già in una lettera del 19 settembre 1907 a Nocentini, scritta da Hankou – oggi parte della conurbazione di Wuhan –, osservava che «una sola cosa importante mi pare di aver potuto vedere finora, ed è cioè la deficienza dell’azione italiana. Qui c’è un piccolo gruppo, ma attivo, di negozianti che fanno bene, e faranno di più e molto quando saranno meglio aiutati. Ciò che tutti qui domandano è una linea di navigazione diretta con l’Italia» (ibid., p. 121). Il matematico genovese si mostrò particolarmente amareggiato nel constatare l’insufficienza dell’azione missionaria cattolica, soprattutto quella condotta dagli italiani, in confronto all’agire dei missionari protestanti: mentre questi «fanno un’importante opera di diffusione della cultura europea», quelli «fatte le debite eccezioni, non insegnano nulla, hanno vergogna di essere italiani e non conoscono l’italiano» (ibid.). Ancora molti anni dopo, nel 1928, Vacca scrisse una lunga relazione al ministro della Pubblica Istruzione, invocando maggiore attenzione per la sinologia in Italia; fu anche grazie al suo operato che, il 16 febbraio 1933, venne fondato l’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO).
Nel 1910 Vacca ricevette l’incarico di insegnare storia e geografia dell’Asia orientale all’Università di Roma, dove rimase fino al 1922, allorché divenne ordinario del medesimo insegnamento presso l’Università di Firenze, succedendo a Puini. Poco dopo, nel 1923, fu trasferito nuovamente a Roma, mantenendo la cattedra come ordinario fino al raggiungimento dei limiti d’età, nel 1947-48. Sposò Virginia De Bosis, conosciuta presso la Scuola Orientale di Roma, nel 1921; dal matrimonio nacquero Ernesta (1922-2015) e Roberto (1927).
Morì a Roma il 6 gennaio 1953.
Fonti e Bibl.: Gli scritti autografi di Giovanni Vacca sono in parte rimasti ai suoi eredi, ai quali va il merito di averli resi disponibili (si veda a questo proposito Lioi, 2016, p. XIII) mentre in parte sono confluiti in vari fondi: Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Fondo Vaticano Estremo Oriente; Roma, Accademia dei Lincei, Carteggio G. Vacca-V. Volterra; Torino, Biblioteca speciale di Matematica, Fondo Peano-Vacca; Cuneo, Biblioteca civica, Fondo Giuseppe Peano. Il figlio di Giovanni Vacca, Roberto, ha inoltre raccolto molti materiali sul padre in Memi, libro pubblicato sotto forma di e-book nel 2010 (www.printandread.com, oggi non più consultabile).
L. Campolonghi, Il viaggio di uno studioso nella Cina, in Secolo XX, marzo 1909, pp. 233-242; G. Bertuccioli, Un sinologo scomparso, G. V., in L’Italia che scrive, XXXVI (1953), 4-5, p. 59; U. Cassina, G. V., in Archives internationales d’histoire des sciences, VI (1953), 23-24, pp. 300-305; Id., G. V., la vita e le opere, in Rendiconti dell’istituto lombardo di scienze e lettere - classe di scienze matematiche e naturali, LXXXVI (1953), pp. 185-200 (con bibliografia degli scritti matematici di Giovanni Vacca); W. Mackenzie - L. Fantappiè, G. V., in Responsabilità del sapere, VII (1953), pp. 89-91; L. Petech, G. V., in Rivista degli studi orientali, XXIX (1954), 1-2, pp. 153-157 (con bibliografia dei lavori di Vacca di ambito sinologico-orientalistico); E. Carruccio, G. V., matematico, storico e filosofo della scienza, in Bollettino dell’Unione matematica italiana, s. 3, VIII (1956), 4, pp. 448-456; G. Vailati, Epistolario 1891-1909, a cura di G. Lanaro, Torino 1971; Lettere di Giuseppe Peano a G. V., a cura di G. Osimo, Milano 1992; L’archivio storico dell’Università di Genova, a cura di R. Savelli, Genova 1993, p. 242; Lettera a G. V., a cura di P. Nastasi, Palermo 1995; E. Luciano - C.S. Roero, Peano e la sua scuola fra matematica, logica e interlingua. Atti del Congresso internazionale di studi (6-7 ottobre 2008). Deputazione subalpina di storia patria, Torino 2010, pp. 98-113 (con ampia bibliografia e informazioni biografiche); E. Luciano, G. V.’s contributions to the historiography of logic, in L&PS – Logic and philosophy of science, IX (2011), 1, pp. 275-283; T. Lioi, Viaggio in Cina 1907-1908. Diario di G. V., Roma 2016 (con ampia bibliografia).