VENERUCCI, Giovanni
– Nacque a Rimini il 2 novembre 1808, secondogenito di Carlo e di Francesca Manfroni.
Di estrazione popolana, sin da piccolo fu costretto a lavorare come operaio presso l’officina di Nicola Donati, dove apprese il mestiere di carrozziere e fabbro, che svolse anche negli anni successivi. Il 12 agosto 1829, dopo un litigio, aggredì Domenico Garattoni, e per questo venne condannato a sei mesi di carcere presso il convento di S. Bernardino di Rimini. Iscritto alla Giovane Italia, tra il 1831 e il 1832, fu tra i principali protagonisti dei rivolgimenti politici e culturali che interessarono i territori romagnoli. Il 25 marzo 1831 combatté alle Celle di Rimini contro gli austriaci intervenuti per sedare la rivolta della popolazione; successivamente partecipò, con la colonna del marchese Ercole Buonadrata, al tentativo di unirsi alla Vanguardia del generale bonapartista Giuseppe Sercognani, ma a causa della capitolazione di Ancona fu costretto a deporre le armi a Perugia. Nel giugno del 1831, ritornato a Rimini, Venerucci fece parte della locale guardia urbana. Il 20 gennaio 1832 combatté a Cesena nella battaglia del Monte contro le forze pontificie e per questo motivo fu sottoposto a precetto politico. La sua partecipazione a questi rivolgimenti politici lo rese oggetto di indagini da parte dell’autorità pontificia con l’accusa di aver commesso non pochi reati; risultava anche affiliato, in questo periodo, alla Capanna carbonara dei fratelli del dovere. Dopo questi fatti si trasferì, chiamato da un suo concittadino, a Foligno. Nel 1837 per questioni di lavoro, ma anche politiche, si trasferì prima a Trieste e poi a Corfù, che era diventata, dopo i moti degli anni Trenta, terra di accoglienza di molti esuli e patrioti italiani.
A Corfù Venerucci fece fruttare la sua attività di fabbro e carrozziere e strinse amicizia con Giuseppe Miller, Pietro Piazzoli e Giacomo Rocca di Lugo, quest’ultimo legato al poeta greco Dionisio Solomos. Anche se lontano dall’Italia, Venerucci si ritrovò quindi a frequentare un ambiente umano, culturale e politico dove convergevano varie istanze di riscatto nazionale, oltre a quella italiana, ad esempio quella greca e polacca, che influenzeranno certamente alcune sue scelte successive. All’arrivo di Emilio Bandiera a Corfù Venerucci fu tra i primi esuli italiani a stringere con lui rapporti e a fornirgli aiuto. Diventò ben presto una persona di fiducia per Emilio Bandiera, come dimostrò la decisione di inviarlo in missione politica ad Atene e Smirne, con l’incarico – così riferiva il console Gregorio Balsamo al governo di Napoli – di acquistare armi.
Questi viaggi servivano, come avrebbe chiarito lo stesso Giuseppe Mazzini nei suoi Ricordi dei fratelli Bandiera (1846), a unire le varie cause nazionali, creare reti trasnazionali di sostegno e collaborazione per portare all’indipendenza i popoli europei oppressi: «presto si deduce che Polonia, Ungheria, Grecia, Serbia ed Italia hanno interessi comuni contro la Russia, l’Austria e la Turchia: non si collegheranno mai dunque abbastanza quei popoli contro i loro governi, e se una volta avvertiti di questa verità, cominciassero ad agire conseguentemente la lotta cesserebbe tosto d’essere così ineguale come sembra a prima vista» (p. 14).
A Venerucci, secondo Mazzini, il viaggio nel Levante era servito anche «per disbrigarsi d’alcuni debiti anteriormente contratti, onde potersi cacciar nell’azione senz’alcun peso sull’anima e senza che alcuno potesse lagnarsi di loro» (ibid., p. 80). Nel giugno 1844 Venerucci partecipò alla spedizione dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera in Calabria, con lo scopo di sostenere l’insurrezione in atto in quei territori e quindi di poter sfruttare un terreno già pronto ad accogliere le loro idee liberali e patriottiche. Al momento del loro arrivo però l’insurrezione era già rientrata. Da quel momento in poi la singola biografia di Venerucci si legò in maniera tragica a quella dei fratelli Bandiera e del loro gruppo composto da Francesco Berti, Pietro Boccheciampe, Domenico Lupatelli, Giovanni Manessi, Paolo Mariani, Tommaso Mazzoli, Giuseppe Meluso, Giuseppe Miller, Domenico Moro, Luigi Nani, Anacarsi Nardi, Carlo Osmani, Giuseppe Pacchioni, Pietro Piazzoli, Nicola Ricciotti, Giacomo Rocca, Francesco e Giuseppe Tesei. Partiti da Corfù nella notte tra il 12 e il 13 giugno, sbarcarono il 16 presso Lagonetto, a due miglia dalla foce del Neto, vicino a Crotone. Dopo lo sbarco il gruppo cercò di muoversi verso San Giovanni in Fiore con l’intenzione di penetrare nella città di Cosenza, ma entrò in contatto con la guardia urbana che, dopo essere stata avvisata, si era mossa contro di loro. Dopo un primo scontro a fuoco presso Pietralonga, ne seguì un altro, il 19 giugno, sul monte Stràgola. Il conflitto causò alcuni morti anche tra il gruppo Bandiera (Miller e Francesco Tesei) e portò all’arresto di alcuni di essi, tra cui Venerucci, mentre sei riuscirono a sfuggire, per essere poi intercettati successivamente dalle forze borboniche e imprigionati. Al momento dell’arresto Venerucci insieme a Ricciotti consegnò alle forze urbane del denaro, circa 500 ducati in monete d’oro, frutto probabilmente della vendita della sua attività a Corfù.
Alcune fonti riportano un episodio che permette di inquadrare meglio il profilo umano di Venerucci, facendo emergere un lato moderato e incline al dialogo, capace di dissuadere e convincere i propri interlocutori. Durante la cattura, sul monte Stràgola, la guardia d’onore borbonica Domenico Verardi proferì parole provocatorie e ingiuriose nei confronti di Domenico Moro, ferito a un braccio, suscitando una risposta assai dura da parte di quest’ultimo. Verardi, ferito nell’orgoglio, solo grazie all’opera di mediazione di Venerucci desistette dal risolvere l’affronto in maniera violenta.
Dopo l’arresto del 19 giugno, Venerucci, insieme alla maggior parte dei prigionieri, venne trasferito da San Giovanni in Fiore a Cosenza, dove arrivò la sera del 23. Dal 15 luglio, insieme agli altri componenti del gruppo, fu sottoposto agli interrogatori e il 24 condannato a morte, pena che per otto di essi venne commutata in carcere, da cui sarebbero usciti tra il 1846 e il 1848 grazie a una serie di amnistie. Durante la prigionia alcuni componenti della spedizione strinsero amicizia con il calabrese Gioacchino Gaudio al quale, prima della fucilazione, furono consegnati gli otto ritratti pervenutici a matita e sfumino, tra cui quello di Venerucci, che erano stati realizzati da Giovanni Pacchioni. Secondo alcune cronache al momento della fucilazione, avvenuta nel Vallone di Rovito, nel Cosentino, il 25 luglio 1844, Venerucci diede prova di coraggio e di fermezza nell’affrontare la morte pronunciando queste parole: «Fratelli, tirate al petto, risparmiate la testa; e dopo gridate anche voi: viva l’Italia!» (Lotti et al., 1978, p. 98).
I suoi resti furono raccolti nel 1861 in un’urna e poi traslati in una cappella del duomo di Cosenza, come testimonia una lettera del sindaco della città bruzia del febbraio 1878 al suo omologo di Rimini. Nel 1937 l’urna venne traslata solennemente a Rimini, in un primo momento nella cappella dei caduti del Tempio Malatestiano e successivamente, su un affusto di cannone, nel famedio del cimitero.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Cosenza, Gran Corte criminale per il processo ai fratelli Bandiera; Processi politici, n. 5, vol. 3, Polizia generale a. 1826-1860. Giornale delle Due Sicilie, supplemento al n. 133, 22 giugno 1844; Ricordi dei fratelli Bandiera e dei loro compagni di martirio in Cosenza il 25 luglio 1844. Documentati colla loro corrispondenza editi da Giuseppe Mazzini con aggiunta di alcune considerazioni del Gioberti, Italia 1846.
A. Conflenti, I fratelli Bandiera o i massacri cosentini nel 1844, Cosenza 1862, ad ind.; G. Ricciardi, Storia dei fratelli Bandiera e consorti, Firenze 1863, ad ind.; M. Caputi, Esposizione dei fatti relativi alla partenza dei fratelli Bandiera da Corfù per la Calabria nel 1844, Bari 1883, ad ind.; G. V. di Rimini, martire dell’indipendenza italiana. Cenni biografici presentati al municipio riminese all’esposizione nazionale di Torino del 1884, Rimini 1884; C. Causa, Vita dei fratelli Bandiera, Firenze 1904, ad ind.; S. De Chiara, I Martiri cosentini del 1844. Documenti inediti, Roma-Milano 1904, ad ind.; R. Pierantoni, Storia dei fratelli Bandiera e loro compagni in Calabria, Milano 1909, ad ind.; G. Carradori, G. V. primo riminese martire dell’unità e dell’indipendenza d’Italia, Rimini 1911; G. Sforza, Il dittatore di Modena Biagio Nardi e il suo nepote Anacarsi, Milano-Roma-Napoli 1916, ad ind.; G.C. Mengozzi, Romagna eroica: G. V., in Corriere padano, 11 agosto 1935; Id., La data di nascita di G. V., ibid., 9 settembre 1935; Id., G. V. ritorna, ibid., 7 novembre 1935; L. Tosi, Nuovi documenti su G. V., Rimini 1935; Id., Un processo ignorato contro G. V., in Corriere padano, 25 luglio 1936; G.C. Mengozzi, I martiri cosentini del 15 marzo 1844. Celebrazione della Consulta del comitato cosentino del Regio Istituto di storia del Risorgimento, per la consegna dei resti mortali di G. V. al vice Podestà di Rimini, Cosenza 1937; Id., Per G. V., in Corriere adriatico, 28 gennaio 1937; Id., Tornano nella città natale le ceneri di G. V., in Corriere padano, 14 marzo 1937; E. Michel, G. V., in Dizionario Risorgimento nazionale, IV, Milano 1937, s.v.; L. Tosi, Nuovi documenti su G. V., in Il popolo romano, 24 luglio 1937; A. Bonanni Caione, I disertori. Vita e morte dei fratelli Bandiera, San Lazzaro di Savena 1970, ad ind.; L. Lotti et al., Storia di Rimini dal 1800 ai nostri giorni, I, La storia politica, Rimini 1978, ad ind.; S. Meluso, La spedizione Bandiera in Calabria, Chiaravalle Centrale 1981, ad ind.; V. Costa, Romagnoli nella fazione calabrese dei fratelli Bandiera, in Studi romagnoli, XXV (1984), pp. 155-173; A. Turchini, Storia di Rimini. Dalla preistoria all’anno Duemila, Cesena 2015, ad ind.; Dalla Romagna alle Romagne. Le quattro legazioni di Romagna e i loro archivi fra Restaurazione e Risorgimento, a cura di A. Turchini, Cesena 2015; V.: una targa sulla tomba, in La Voce, 26 aprile 2016, p. 8.