VERRAZZANO, Giovanni
– Incerta si presenta la sua filiazione. Alcuni studiosi lo hanno fatto nascere nel 1491 da Fruosino (o Frosino) di Lodovico di Cece e Lisabetta di Leonardo Doffi, altri a Lione da Alessandro di Bartolomeo e Giovanna di Simone Guadagni, figlia di un noto banchiere fiorentino emigrato in Francia, mentre studiosi di fine Ottocento (Hugues, 1900; Peragallo, 1897; Id., 1900) avevano proposto l’identificazione di Verrazzano addirittura con un corsaro francese, Jean Florin. Secondo le acquisizioni critiche più recenti nacque da Pietro Andrea di Bernardo e da Fiammetta Cappelli, attorno al 1485 presumibilmente a Panzano in Val di Greve, a sud di Firenze, dove sorgeva il castello della famiglia, i cui membri rivestirono diversi incarichi pubblici durante la Repubblica e sotto i Medici. Fu terzo di quattro fratelli: Bernardo, banchiere a Roma in società con Bernardo Rucellai; Nicolò, che fece parte della Signoria fra il 1530 e il 1549, e Girolamo.
Molte sono le incertezze anche sui primi anni della sua esistenza: forse già nel 1508 avrebbe preso parte alla spedizione di Thomas Aubert a Cap Breton e sicuramente negli anni successivi navigò nel Mediterraneo orientale e si fermò alcuni anni al Cairo. Secondo un rapporto indirizzato al re del Portogallo dal governatore di Mozambico, Antonio Silveira de Meneses (Mollat du Jourdin, 1993, p. 423) sarebbe stato presente a Lisbona nel 1517 quando Magellano stava allestendo la sua spedizione. Sulla base di due lettere che nell’ottobre e novembre del 1521 si scambiarono Verrazzano e Zanobi Rucellai, possiamo stabilire invece con certezza che Giovanni era operativo in Francia già nel 1521, inserito nella pianificazione di un viaggio di esplorazione per il quale nel settembre del 1522 a Lione il mercante fiorentino Antonio Gondi gli concesse dei fondi. Nel marzo del 1523 costituì a Rouen una società di affari assieme ad altri otto mercanti (cinque italiani e tre francesi) e guidò una piccola flotta diretta verso Occidente alla ricerca di un passaggio settentrionale verso l’Asia orientale, ma violente tempeste costrinsero ben presto le navi a rientrare alla base. L’anno successivo, alla testa di un nuova spedizione finanziata da un consorzio di mercanti appartenenti a illustri famiglie fiorentine (Gondi, Cambi, Ridolfi, Mannelli, Uguccioni, Altoviti e altri), optò per una rotta più meridionale, che prevedeva anche uno scalo a Madera, ma pure in questo caso alcuni problemi costrinsero una nave a rientrare, per cui Verrazzano si diresse a occidente con una sola nave di cento tonnellate di stazza, la Dauphine o Delfina, così chiamata in onore del primogenito del sovrano, e con un equipaggio di cinquanta uomini.
Partita da una delle isole situate a sud-est di Madera il 17 gennaio 1524, dopo circa cinquanta giorni di navigazione, funestati anche da una spaventosa tempesta, questa spedizione giunse in prossimità di una terra che gli studiosi propendono ad identificare con Cape Fear. Verrazzano cercò allora un punto di approdo verso sud; ma, non avendolo trovato e avvicinandosi invece in maniera pericolosa alla zona dominata da vascelli spagnoli, decise di tornare a nord, costeggiando inizialmente una terra che per la sua bellezza denominò Arcadia (il Maryland), fino alla Baia di New York dove sfocia il fiume Hudson, dove oggi sorge New York. Proseguendo sempre verso settentrione, raggiunse l’attuale Baia di Narragansett e navigò lungo le coste degli odierni Stati del Massachussetts, New Hampshire e Maine, per giungere nell’attuale Nuova Scozia e nella parte meridionale di Terranova e puntare poi verso l’Europa, dopo un viaggio che lo aveva portato circa dal parallelo 34 al parallelo 46 lungo una costa fino ad allora inesplorata dagli europei.
In questa parte del viaggio compì diverse soste, denominando le località incontrate con appellativi familiari che richiamavano sia i paesi da cui era partito (Nuova Gallia, Anguilème, Normanvilla), sia la natia Toscana (San Miniato, Careggi, la Certosa, Livorno, Impruneta, Monte Morello, gli Orti Oricellari ecc.); o con nomi che denotavano caratteristiche dell’ambiente incontrato (Selva dei lauri, Campo dei cedri) o facevano riferimento a immagini classiche di un mondo idilliaco (l’Arcadia). Tra queste tappe si colloca anche una località chiamata Annunziata, corrispondente all’odierna Pamlico Sound: una laguna che ingannò Verrazzano, il quale ritenne che si potesse trattare di un istmo collegato con l’Oceano Pacifico che avrebbe permesso un accesso all’Asia orientale inducendo alcuni cartografi – fra i quali pure il fratello Girolamo – a considerare il continente americano suddiviso in due parti.
Ancora a bordo della nave, dopo essere tornato a Dieppe l’8 luglio, in quello stesso giorno redasse una famosa lettera-rapporto, scritta in volgare italiano con uno stile umanisticamente alto e contenente un resoconto molto preciso del suo itinerario e delle tante cose che aveva visto e incontrato, trasmesso al re di Francia, Francesco I, che aveva finanziato la spedizione, e ai mercanti Leonardo Tedaldi e Thomaso Sartini, residenti a Lione.
Di questo testo, che venne inserito nel terzo volume (1556) delle Navigazioni e viaggi di Giovanni Battista Ramusio (a cura di M. Milanesi, VI, Torino 1988, pp. 997-1006), ci sono giunte tre versioni manoscritte in volgare italiano, molto simili tra loro, tutte apografe. La prima è contenuta nel codice Magliabechiano XIII.89(3) della Biblioteca nazionale di Firenze, alle carte 4-12; la seconda, che si conserva alla Pierpont Morgan Library di New York (Morgan ms. MA.776) ed è stata scoperta nel 1909 a Roma negli archivi del conte Giulio Macchi di Cellere da Alessandro Bacchiani, che l’ha ritenuta la più vicina all’originale (Bacchiani, 1909), reca a margine alcune annotazioni di pugno di Verrazzano, inserite all’interno del resoconto in corsivo ed entro parentesi quadre; la terza, scoperta pure da Bacchiani, si conserva presso la Biblioteca apostolica Vaticana (Ottoboniano lat. 2202). Esiste anche un frammento, conservato a Firenze presso l’Accademia del Cimento che, secondo Bacchiani, apparteneva a Ramusio e che contiene l’appendice cosmografica, densa di disquisizioni «matematiche» tese a determinare le dimensioni del Nuovo Mondo e le distanze che lo separavano dall’Europa, che Ramusio omise nella sua edizione a stampa. La versione di Ramusio non coincide con nessuna delle precedenti, alle quali tuttavia corrisponde sostanzialmente nel contenuto, se si escludono i paragrafi e le chiose abituali nelle edizioni ramusiane e l’omissione del discorso cosmografico che conclude l’edizione originale.
Già nella parte conclusiva di questa lettera, che nella versione del Cèllere Codex contiene una lunga digressione cosmografica che offriva argomenti al navigatore per giustificare il sostanziale fallimento della sua spedizione, Verrazzano richiedeva al sovrano un sostegno per ulteriori viaggi: questi approvò il progetto e fece approntare due navi, che però fece requisire al momento della partenza destinandole alla difesa delle coste della Normandia e della Piccardia a causa della recrudescenza della guerra navale anglo-francese. Un tentativo successivo, organizzato da un gruppo di mercanti francesi, prese le mosse nel giugno del 1526, probabilmente da Honfleur, con l’obiettivo di recarsi in Asia per inserirsi nel remunerativo commercio delle spezie cercando un passaggio per le Indie questa volta a una latitudine meridionale. Solo due delle tre navi che componevano la modesta flotta riuscirono però a rientrare nel settembre del 1527 dopo un viaggio piuttosto avventuroso e deludente perché neppure questa volta venne trovato il tanto cercato passaggio. In realtà era stato effettuato un primo tentativo al riguardo in direzione dello Stretto di Magellano, ma poi, per motivi non chiari (tempeste o rivolta dell’equipaggio), ben prima di giungere all’estremo punto meridionale del continente americano, le navi avevano puntato sul Capo di Buona Speranza, con la prospettiva di arrivare poi in India, o forse anche a Sumatra, infine erano tornate verso il Brasile, dove riuscirono a caricare le stive delle navi con il pau brasil (verzino).
Nel marzo del 1528 Verrazzano ripartì da Dieppe con una nuova flotta di cinque navi, questa volta anche assieme al fratello Girolamo, per un terzo viaggio diretto forse al Rio de la Plata, nel corso del quale si verificò il tragico episodio che mise fine alla sua esistenza. Trovò la morte fra l’estate e l’autunno in una delle Piccole Antille per mano di popolazioni indigene che lo catturarono e lo uccisero assieme a sei compagni e forse poi si cibarono delle loro carni, episodio raccontato nella sua Historia poetica (1560) da Giulio Giovio, fratello dell’umanista Paolo, il quale ne aveva già parlato nei suoi Elogia virorum bellica virtute illustrium (Firenze 1551, pp. 304 s.). Secondo altre ipotesi, peraltro poco attendibili, Verrazzano sarebbe rientrato in Europa dove sarebbe stato catturato mentre guidava un’azione di pirateria e impiccato dagli Spagnoli.
Tra le diverse opere pubbliche che gli furono intitolate dopo la sua morte spicca il famoso ponte di New York che collega Brooklin a Staten Island e che al momento della sua inaugurazione (1964) era il ponte sospeso più lungo al mondo.
Fonti e Bibl.: La carta del mondo (1529) del fratello Girolamo, che registra le scoperte e le ipotesi cosmografiche di Verrazzano, si conserva nella Biblioteca apostolica Vaticana ed è stata riprodotta da Roberto Almagià nei Monumenta Cartographica Vaticana, I, Città del Vaticano 1944, tavv. 24-26. Raffaella Signorini (Il Mondo di Vespucci e Verrazzano..., a cura di L. Rombai, Firenze 1993, p. 224) ricorda che Richard Hakluyt nel 1582 citava, fra varie mappe inglesi oggi scomparse, anche una carta donata da Verrazzano a Enrico VII.
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