VIDARI, Giovanni
VIDARI, Giovanni. – Nacque a Vigevano il 3 luglio 1871 da Ettore, medico e primario del locale ospedale, e da Angela Scottini.
Nipote del giurista Ercole (v. la voce in questo Dizionario), fratello del padre, crebbe in una famiglia dai forti sentimenti patriottici e democratici in relazione con la famiglia Cairoli.
Restato orfano in giovane età e vinta una borsa di studio, fu allievo del collegio Ghislieri di Pavia. Presso l’Ateneo pavese seguì i corsi universitari, laureandosi dapprima in filosofia nel 1893 e l’anno successivo in lettere. La piccola Università di Pavia godeva di una certa fama per il prestigio di alcuni studiosi che vi insegnavano, in specie Carlo Cantoni e Luigi Credaro, a cui si dovevano la circolazione italiana della filosofia neokantiana e la conoscenza della pedagogia di Johann Friedrich Herbart, entrambe tendenze alternative al positivismo che era invece praticato da un altro insigne docente, il pedagogista Fausto Saverio De Dominicis.
Dopo un anno di perfezionamento trascorso presso l’Università di Firenze con Felice Tocco, filosofo anch’egli neokantiano, Vidari cominciò a insegnare nelle scuole secondarie e iniziò a collaborare alla Rivista filosofica di Cantoni e a predisporre varie traduzioni oltre a manifestare anche interessi letterari e linguistici (risalgono al 1890 i primi studi sul dialetto vigevanese che coltivò a lungo e il cui esito è raccolto nel Vocabolario del dialetto di Vigevano, pubblicato postumo nel 1972). Nel 1899 diede alle stampe L’etica di Guglielmo Wundt e il saggio Rosmini e Spencer cui fecero seguito gli Elementi di etica (1902). Nel 1901 iniziò l’insegnamento universitario a Palermo, sede che lasciò l’anno successivo con il trasferimento nell’Ateneo pavese.
Il rientro in terra lombarda coincise con un intenso impegno politico ispirato a un socialismo intriso di sentimenti umanitari, secondo cui l’intellettuale doveva agire per il miglioramento morale, culturale e sociale dei ceti subalterni (Doveri sociali dell’età presente. Letture educative popolari, 1903). Nel 1903 Vidari fu, per un breve periodo, sindaco di Vigevano e analogo incarico ricoprì a Pavia tra il 1906 e il 1908 a capo di giunte radical-socialiste.
Nel 1909 lasciò Pavia e occupò la cattedra di filosofia morale nell’Università di Torino, trasferimento dovuto sia a ragioni familiari (il matrimonio con Emma Torlasco con radici eporediesi, dalla quale ebbe quattro figli: Ettorina, Olympia, Piero e Graziella) sia a motivazioni d’ordine culturale: la morte di Cantoni e l’impegno politico romano di Credaro avevano svuotato Pavia dell’attrazione precedente. Nel 1912, dietro le pressioni di Credaro, allora ministro dell’Istruzione, passò sulla cattedra di pedagogia che tenne ininterrottamente fino alla morte. Nell’Ateneo subalpino fu più volte preside della facoltà di lettere e filosofia.
Il passaggio dall’etica alla pedagogia non fu solo funzionale al ringiovanimento e all’aggiornamento della cultura educativa torinese dopo il lungo magistero del filorosminiano Giuseppe Allievo, ma rispose anche a una precisa linea di sviluppo dell’indagine vidariana interessata non solo a svolgere una teoria della condotta morale, ma anche desiderosa di tradurla nella complessa struttura del reale. La pedagogia gli sembrava offrire tutti gli strumenti per fornire gli ideali necessari per l’‘incivilimento dell’uomo’ e potenziare le ragioni della convivenza.
Tra questi grande rilievo il pedagogista torinese attribuì all’‘amor di Patria’ attraverso cui portare a compimento il Risorgimento mediante la cooperazione tra le classi, la solidarietà sociale, il rispetto dell’autorità, lo sviluppo delle capacità di ciascuno. In tal senso elaborò una sua teoria dell’educazione nazionale (ma non nazionalistica: solo «la vera e profonda e unità spirituale della nazione può costituire la leva per avviare a soluzione i maggiori problemi sociali») che espose in numerosi scritti raccolti nei volumi Per la educazione nazionale. Saggi e discorsi (1916) ed Educazione nazionale (I-III, 1927-1929).
In campo pedagogico Vidari si collocò su una posizione critica verso il declinante positivismo del maestro De Dominicis, ma netta fu anche la sua distanza dalla visione neoidealista di Giovanni Gentile e Giuseppe Lombardo Radice. Alle tesi di questi il docente torinese obiettava che le necessarie articolazioni del discorso pedagogico basate su dati empirici (la psicologia dell’allievo e l’ambiente educativo) non potevano identificarsi solo con l’ideale educativo, ma richiedevano una determinata e precisa trattazione in rapporto con gli elementi e i gradi dell’ideale stesso.
Nel rifarsi al modello herbartiano rilanciato in Italia da Credaro affermò l’autonomia della pedagogia dalla filosofia, concependola come scienza fondata sull’etica che determina il fine e sulla psicologia e la sociologia che forniscono i dati obiettivi sulla cui base operare. Su questo schema Vidari innestò l’uomo della tradizione classica e cristiana, inteso come energia attiva che si appropria delle forze esterne, le trasforma in elementi nuovi, foggiandosi e svolgendosi con l’esperienza stessa così raccolta (Elementi di pedagogia, I-III, 1916-1920, l’opera sua più importante).
Deciso interventista nel 1915 (la guerra era vista come ‘santa e giusta’), animatore instancabile di molteplici iniziative a sostegno dello sforzo bellico, Vidari fu presidente della sezione piemontese dell’Unione generale degli insegnanti italiani per la guerra nazionale e fece dell’Università torinese (di cui fu rettore dal 1917 al 1920) un centro di patriottismo militante. Comprensibile fu la sua delusione quando nell’immediato dopoguerra i trattati di pace non corrisposero ‘al sacrificio italiano’.
Per tutelare il patrimonio ideale maturato sui campi di battaglia tornò in politica, schierandosi nelle elezioni del 1919 e 1921 nelle liste cosiddette della vittoria, senza tuttavia riuscire a entrare in Parlamento. Eletto consigliere comunale di Torino nel 1920 si scontrò con socialisti, popolari e giolittiani con qualche ideale simpatia verso il fascismo visto come il difensore della guerra patriottica, manifestando tuttavia preoccupazioni per la pratica della violenza fisica e l’intolleranza nei confronti della libertà di opinione. L’illusione che il fascismo potesse rappresentare la continuazione dell’idea liberal-nazionale venne presto meno anche in seguito ai ripetuti attacchi subiti da parte dei fascisti torinesi.
Nel 1923 Vidari espresse riserve sulla riforma scolastica di Gentile in ordine a tre questioni principali: la rinuncia dello Stato a gestire le piccole scuole popolari (delegate ad appositi enti finanziati dallo Stato); la liquidazione delle Scuole pedagogiche aperte da Credaro nel 1904 per consentire ai maestri l’accesso all’Università (sostituite dagli Istituti superiori di Magistero) e le concessioni in materia di libertà scolastica alle scuole private. Nonostante visioni pedagogiche e scolastiche molto diverse i rapporti con Gentile furono comunque improntati a reciproca stima anche dopo il 1925 quando Vidari, di fronte all’affermazione di un fascismo illiberale, aderì al Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce. Numerose furono le voci dell’Enciclopedia Italiana affidate al pedagogista torinese.
Emarginato dalla vita politica attiva, escluso dall’Istituto superiore di Magistero di Torino (dove gli insegnamenti pedagogici furono affidati a Mario Casotti e, poi, ad Augusto Guzzo), ignorato in occasione delle celebrazioni del centenario aportiano (1927), episodio vissuto come un intollerabile affronto, gli ultimi anni di Vidari furono segnati da molte delusioni che lo spinsero, da un lato, a riaccostarsi al fascismo e, dall’altro, a dedicarsi a studi storici di cui sono documento L’educazione in Italia dall’Umanesimo al Risorgimento (1930) e i due tomi, di chiara intonazione nazionalistica, Civiltà d’Italia nel loro sviluppo storico (1932-1934). Invitato nel 1932 dall’Università di Berkeley trascorse un periodo di studio e conferenze negli Stati Uniti, dandone conto nel saggio L’Educazione e la scuola in California. Morì a Torino il 12 aprile 1934.
Fonti e Bibl.: Le carte di Vidari sono conservate a Torino, presso la famiglia Pene Vidari. Una parte dell’epistolario e dei diari è stata pubblicata in G. Chiosso, Educazione e valori dell’epistolario di Giovanni Vidari, Brescia 1984; Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero P.I., Direzione Generale Istruzione Superiore, Fascicolo personale insegnante (1900-1940), II versamento, II serie, b. 164; Torino, Archivio dell’Università, fascicolo personale.
S. Caramella, L’idealismo assoluto nella pedagogia del V., in L’Educazione nazionale, 1920, n. 14, pp. 12-13, n. 17, pp. 29-30 e 21, pp. 9-11; Rivista pedagogica, 1934, n. 5, monografico, pp. 653-790; G. Solari, G. V. (1871-1934). In memoriam, Torino 1935; N. Bobbio, G. V., in Atti della Accademia delle scienze di Torino, LXXXVII (1952-1953), pp. 1-14; G. Cives, Cento anni di vita scolastica in Italia, Roma 1960, pp. 307-344; G. Vidari, Elementi di pedagogia. Passi scelti, a cura di A. Santoni Rugiu, Firenze 1961 (con ampia introduzione); A. Del Noce, La figura e il pensiero di G. V., in Filosofia, XXII (1971), 3, pp. 443-454; F. Cambi, Nazionalismo e pedagogia in G. V., in Studi piemontesi, XI (1982), 2, pp. 201-212; G. Chiosso, L’educazione nazionale da Giolitti al primo dopoguerra, Brescia 1983, pp. 78-97 e 203-262; H.A. Cavallera, G. V. tra etica e pedagogia, in Pedagogia e vita, LVII (1999), 1, pp. 67-85; A. d’Orsi, La cultura a Torino tra le due guerre, Torino 2000, passim; C. Provenzano, G. V. Dal criticismo neokantiano al progetto di civiltà, Soveria Mannelli 2007; E. De Fort, Un profilo di G. V., in Rivista di storia dell’università di Torino, VII (2018), 2, pp. 379-393.