Schiaparelli, Giovanni Virginio
Un geografo per Marte
Nell’Ottocento l’astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli realizzò una dettagliata mappa del pianeta Marte disegnando sulla superficie una fitta rete di ‘canali’. Si trattava solo di un’illusione ottica che tuttavia ha contribuito, per un banale errore di traduzione, a far nascere il mito dei Marziani
La geografia di Marte è una disciplina bizzarra, fatta di mari che non sono tali – almeno per noi terrestri – perché non hanno acqua, di ‘canali’ e di terre e continenti dai nomi classici, mitologici e biblici come le Colonne d’Ercole o l’Eden.
La paternità dell’areografia – questo è il nome della geografia marziana – è dell’astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli che, nella seconda metà dell’Ottocento, ha realizzato una dettagliata mappa del pianeta. Schiaparelli nacque a Savigliano, in Piemonte, nel 1835 e, dopo aver studiato ingegneria a Torino, coltivò il suo interesse per l’astronomia prima all’osservatorio di Berlino e poi a Pulkovo, in Russia.
Tornato in Italia nel 1860, lavorò per quarant’anni all’osservatorio di Brera a Milano che diresse dal 1862 al 1900. Qui, con un potente telescopio, osservò la superficie di Marte durante la grande opposizione del 1877, quando il pianeta e la Terra si trovarono ad ‘appena’ 56 milioni di chilometri, 1/4 della distanza media.
L’astronomo riuscì così a misurare le coordinate geografiche di una sessantina di punti riconoscibili sulla superficie del pianeta, e per riportarli sulla carta attinse nuovi nomi dalle lingue classiche e dalla storia dell’astronomia antica.
Schiaparelli diede alle zone scure nomi latini di mari, laghi e golfi, come Mare Sirenum («Mare delle Sirene») e Mare Cimmerium («Mare dei Cimmeri»), mentre per le zone più luminose scelse i nomi delle terre antiche: Hellas («Grecia»), Ausonia («Italia») e via dicendo.
Schiaparelli osservò sulla superficie di Marte una serie di linee regolari, a volte in forma raddoppiata, che chiamò canali e geminazioni, senza tuttavia ritenere che fossero testimonianze dirette di una vita extraterrestre. L’astronomo si limitò a riprendere il nome già adottato per queste strutture da uno dei loro primi scopritori, il sacerdote gesuita Angelo Secchi, noto all’epoca come direttore della Specola (cioè l’osservatorio astronomico) vaticana.
La fama dei canali però è legata al solo Schiaparelli perché i traduttori inglesi delle sue ricerche commisero un errore: invece di usare la parola channels «canali naturali», ricorsero al termine canals «canali artificiali», che richiama da vicino il corrispondente nome italiano, ma con diverso significato. Così quando – appena quindici anni dopo – nuovi e più potenti strumenti mostrarono che i canali erano solo un’illusione ottica era già troppo tardi! Ormai era nata la leggenda dei Marziani, i fantomatici abitanti del cosiddetto pianeta rosso. Molti rimasero affascinati dalla loro esistenza e i Marziani finirono per popolare i racconti di fantascienza, tanto che la parola è ancora oggi sinonimo di alieno e di extraterrestre.
Schiaparelli si mostrò in proposito in genere piuttosto cauto, molto più interessato a proseguire le sue osservazioni di oggetti del Sistema Solare – stelle doppie, comete, meteore, pianeti come Mercurio e Venere – alle quali rinunciò solo nel 1900, quando si ritirò per problemi alla vista, ma continuò a occuparsi di storia dell’astronomia sino alla morte, avvenuta nel 1910.
Il telescopio rifrattore usato da Schiaparelli per scrutare Marte e la piccola cupola di osservazione dove era collocato lo strumento – chiamata appunto cupola Schiaparelli – fanno oggi parte del Museo di Brera, allestito nel 1983.
Fu Schiaparelli in persona a commissionare nel 1862 il telescopio (con il diametro di 218 mm) al costruttore tedesco Georg Merz, lo stesso che aveva realizzato lo strumento in dotazione all’osservatorio di Pulkovo, dove l’astronomo aveva fatto pratica.
Il telescopio Merz fu consegnato nel 1865, ma entrò in funzione solo nel 1875, giusto in tempo per osservare il pianeta Rosso durante la grande opposizione.