ZAMBELLI, Giovanni
– Nacque a Venezia nella parrocchia di S. Giacomo dall’Orio il 19 giugno 1824 da Anna Naratovich e da Gaetano, impiegato presso l’Imperial Regia Direzione degli Archivi.
Dopo aver frequentato la quinta e la sesta ginnasiale presso il regio ginnasio di San Paolo, abbandonò la scuola ma continuò a coltivare la letteratura, la storia e le scienze naturali; contemporaneamente si dedicò alla musica, al disegno e alla scultura, rivelando un «ingegno vivido e molteplice» (Martini, 1867, I, p. 87). Impiegato nell’Imperial Regia Intendenza di Finanza, nel 1847 fu licenziato o si dimise. In seguito lavorò come scrittore presso alcuni negozianti (Archivio di Stato di Mantova, Auditorato di guarnigione, b. 2, f. 227).
Nulla sappiamo delle idee del giovane Zambelli. Luigi Martini, che si basa su una memoria della seconda moglie del padre, scrive nel Confortatorio (1867) che «nella religione non amava la mostra ma la verità e la realtà» (I, p. 88); in un’altra pagina, narrando degli ultimi giorni di vita di Zambelli, parla di un «cuore riconciliato con Dio» e annovera Giovanni tra quei «figli ravveduti» di cui la religione cattolica fa spesse volte «tanti eroi» (p. 221). Tutto ciò ci autorizza a supporre anche per il patriota veneziano, come fu per tanti giovani nell’età del Risorgimento, un precoce distacco dalla religione materna quale premessa e fattore della conversione alla religione della patria: «Se il sangue dei martiri della religione cristiana fu semenza di cristiani – così si sarebbe espresso Zambelli sulla soglia del patibolo – il sangue di noi uccisi per la patria sarà semenza di buoni patrioti» (p. 220).
Animato da questa fede mazziniana e sospinto da «un’indole pronta, generosa ed ardita» (p. 87), Zambelli partecipò con entusiasmo alla rivoluzione veneziana del Quarantotto. Secondo un rapporto del capo della polizia veneziana Luigi Martello, appartenne alla guardia civica (Archivio di Stato di Mantova, Auditorato di guarnigione, b. 2, f. 227); dalla testimonianza della matrigna (Martini, 1867, I, p. 89) si ricava che militò in una delle crociate che difesero Vicenza, quindi nel corpo d’artiglieria Bandiera e Moro, che si distinse per l’impostazione democratica del suo ordinamento interno. Dopo la caduta di Venezia, Zambelli non lasciò la città; nei mesi successivi si guadagnò da vivere con traduzioni dal francese e si dedicò alla pittura, distinguendosi come ritrattista. Secondo il rapporto di Martello continuò in quei mesi a manifestare «perniciose tendenze in politica» (Archivio di Stato di Mantova, Auditorato di guarnigione, b. 2, f. 227).
Nell’autunno del 1850, prendendo spunto da una discussione sulla recente sconfitta, un gruppo formato, oltre che da Zambelli, da Angelo Scarsellini, Giovanni Malaman, Bernardo Canal, Giovanni Paganoni e Sante Meloncini convenne di dare vita a un comitato democratico che avrebbe dovuto porsi alla guida del movimento allorché fosse tornata ad accendersi la rivoluzione. Come Zambelli spiegò nel suo costituto del 15 luglio 1852, si trattava «di tenere disposti gli animi per la rivoluzione [...] con mezzo degli affigliati, di riscuotere danaro per preparare i mezzi della rivoluzione e precisamente armi e munizioni, di fondare Comitati nelle provincie Venete, e mantenere sempre la relazione con questi e coll’Estero». «Le nostre idee – aggiungeva – erano repubblicane, ma doveva decidere la nazione sulla sua futura costituzione, mentre da noi non fu mai trattato altro che l’indipendenza d’Italia dall’Austria» (Archivio di Stato di Mantova, Auditorato di guarnigione, b. 1, f. 123). Questi propositi rispecchiavano gli orientamenti dei comitati europeo e italiano promossi da Giuseppe Mazzini nel 1850 e in particolare quelli espressi nel proclama dell’8 settembre 1850, che Scarsellini fece conoscere ai compagni al ritorno dal viaggio che compì a Torino nel novembre del 1850 per incontrare Gustavo Modena.
Scarsellini era proprietario di terreni e di tre farmacie a Venezia. Più modeste le condizioni dei suoi compagni del Comitato: di Zambelli si è detto; Paganoni lavorava in un negozio di fruttivendolo; Malaman, laureato in matematica, era impiegato nello studio di un ingegnere; Meloncini si definisce nel suo primo costituto meccanico idraulico. Quanto a Canal, apparteneva a una famiglia del patriziato, ma aveva rinunciato al titolo; impiegato durante il biennio presso l’Intendenza delle sussistenze militari, al momento dell’arresto si trovava disoccupato. L’estrazione sociale prevalentemente piccolo-borghese dei congiurati veneziani riuscirebbe confermata se si estendesse la rassegna a quanti furono affiliati dai promotori. Nessuno degli esponenti del patriziato o dell’alta borghesia che avevano partecipato al Quarantotto veneziano ebbe rapporti con il comitato. Mentre nel corso delle vicende rivoluzionarie le posizioni di patrioti come Scarsellini e i suoi compagni si erano venute radicalizzando attraverso la milizia nelle formazioni volontarie (nel fuoco della quale si erano stabilite le loro relazioni politiche), in ragione di questa stessa dinamica si era acuita l’ostilità dei moderati nei confronti delle tendenze democratiche e socialistiche. Non vi sono prove d’altra parte di un collegamento organico dei congiurati veneziani con settori delle classi popolari. È significativo che nel suo costituto del 15 luglio 1852 Zambelli dichiarasse all’auditore Alfred von Kraus il proprio disinteresse nei confronti delle azioni con cui dopo la capitolazione si era venuta manifestando la protesta popolare (canti, scritte, sciopero del fumo). L’impressione che si ricava nel complesso è dunque che i congiurati costituissero un gruppo isolato nel contesto della società veneziana.
Dopo il ritorno di Scarsellini da Torino, egli e i suoi compagni iniziarono un’azione di reclutamento. Zambelli affiliò a Venezia Angelo Rigo, maestro di belle lettere, Luigi Frollo, negoziante di pellami, e i pittori Giovanni Buzzato e Giuseppe Boldini. Nella primavera del 1851 iniziò un’attività intesa alla costituzione di comitati nelle altre città e province del Veneto. Zambelli fu particolarmente attivo: ebbe contatti a Treviso con Luigi Pastro, Ettore Cazzaor, Fausto Fontebasso e Angelo Giacomelli, il quale accettò l’incarico di guidare il locale comitato; a Vicenza convinse ad assumere tale compito l’avvocato Giuseppe Bacco; a Belluno invece nessuno degli interpellati da Zambelli acconsentì.
I timori suscitati dal processo Dottesio nell’estate del 1851 provocarono un arresto dell’attività dei comitati. Soltanto nell’autunno ripresero i contatti tra il comitato di Venezia e quello di Mantova. Dopo un primo viaggio a Venezia di don Enrico Tazzoli e Giovanni Acerbi nell’ottobre del 1851, a dicembre inoltrato si tenne un incontro a Mantova cui parteciparono Scarsellini, Zambelli e Canal: in questa occasione, dopo uno scambio di idee sulla situazione politica all’indomani del colpo di Stato di Luigi Napoleone, fu discussa la proposta di Scarsellini di tentare il rapimento dell’imperatore. Nel suo costituto del 15 luglio 1852 Zambelli sostenne che soltanto Tazzoli e Luigi Castellazzo avevano approvato il progetto, lasciando dunque intendere di non essere stato d’accordo. In quel medesimo interrogatorio egli ebbe a qualificare come assurdi altri progetti militari che a Scarsellini erano stati suggeriti a Torino. Dal canto suo Paganoni riferì nel costituto del 16 luglio 1852 che lui, Canal e Zambelli non avevano approvato, giudicandolo inutile nell’avversa situazione politica, il viaggio che nel marzo del 1852 aveva portato Scarsellini a Londra per incontrare Mazzini.
All’epoca del viaggio londinese di Scarsellini era stata da qualche mese scoperta la trama mantovana. In seguito alle confessioni rese rispettivamente il 19 e il 26 giugno 1852 da Castellazzo e da Tazzoli, i quali parlarono anche del comitato veneziano, il 27 e il 28 dello stesso mese, su mandato dell’Auditorato di guarnigione di Mantova, furono arrestati Scarsellini, Zambelli, Canal e Paganoni. Due giorni dopo l’interrogatorio da parte della polizia veneziana di Sante Fersuoch, un conoscente di Scarsellini, fornì importantissime informazioni sul comitato veneziano, così provocando l’arresto di altri diciassette sospetti. Interrogati rispettivamente il 5 e il 12 luglio Paganoni e Canal confessarono, fornendo agli inquirenti veneziani dettagliate informazioni sulle attività e sugli affiliati di Scarsellini e di Zambelli. Tra il 13 e il 14 luglio 1852 i congiurati veneziani vennero tradotti a Mantova. Interrogati di lì a pochi giorni dall’auditore Kraus, anche Zambelli e Scarsellini confessarono.
Nel suo primo costituto del 15 luglio Zambelli riferì dell’origine, dell’organizzazione e delle finalità del comitato, insistendo sul suo carattere repubblicano. Fece i nomi dei propri affiliati e raccontò delle proprie missioni in terraferma. Parlò ampiamente dell’incontro di Mantova del dicembre del 1851 e disse dei viaggi di Scarsellini. A quest’ultimo, come avevano fatto anche Paganoni e Canal, attribuì le maggiori responsabilità dell’iniziativa: «Non volevamo prendere l’iniziativa della rivoluzione, ma di aspettare piuttosto [...] la prima spinta e di essere preparati, e se non succedeva che Scarsellini si poneva in corrispondenza con altri Comitati lombardi, la cosa veneziana cadeva da sé stessa, non trovando nessun appoggio» (Archivio di Stato di Mantova, Auditorato di guarnigione, b. 1, f. 123). Nel secondo costituto del 15 agosto confermò il pieno coinvolgimento di Giacomelli e di Pastro nella congiura; nel costituto del 10 settembre escluse corrispondenze del comitato con Daniele Manin, oltre che con esponenti della nobiltà e dell’alta borghesia veneziana ostili all’Austria (ibid., b. 2, f. 220; b. 3, f. 270). Nel confronto con Pastro del 27 agosto confermò le rivelazioni a carico di quest’ultimo, ribadite il 7 dicembre allorché fu interrogato sulla soglia del patibolo (ibid., b. 3, f. 247; b. 4, f. 441).
Il 13 novembre 1852 il Consiglio di guerra pronunciò una prima sentenza relativa a dieci imputati: Tazzoli, Carlo Poma, Giuseppe Quintavalle, Giuseppe Ottonelli, Scarsellini, Canal, Zambelli, Paganoni, Angelo Mangilli, Giulio Faccioli. Tutti furono riconosciuti rei di alto tradimento e condannati alla pena di morte. Johann-Joseph Radetzky nella sua qualità di governatore militare del Lombardo-Veneto confermò tale pena per Tazzoli, Poma, Scarsellini, Canal e Zambelli, commutandola per gli altri in pene detentive. Zambelli trascorse gli ultimi giorni prima dell’esecuzione assistito dall’arciprete Andrea Benedusi, confortato dalla lettura del Vangelo e consolato da una visita che poterono rendergli il padre, la matrigna e il fratellino.
Morì il 7 dicembre 1852 nella valletta di Belfiore, il primo a salire il patibolo.
Fonti e Bibl.: Le notizie biografiche relative a Zambelli si ricavano dall’Archivio di Stato di Mantova, Auditorato di guarnigione, b. 2, f. 227; L. Martini, Il Confortatorio di Mantova negli anni 1851, 52, 53 e 55, I-II, Mantova 1867, I, pp. 87-89, 220 s.; G. De Castro, I processi di Mantova e il 6 febbrajo 1853. Studio di Giovanni De Castro, Milano 1893 (ed. originale 1863), parla delle vicende dei cospiratori veneziani in vari capitoli; per la condizione sociale dei congiurati e i loro rapporti con la società veneziana si veda A. Bernardello, Venezia nel Regno Lombardo-Veneto. Un caso atipico (1815-1866), Milano 2015, ad ind.; gli atti del processo ai congiurati di Belfiore sono conservati presso l’Archivio di Stato di Mantova, Auditorato di guarnigione, bb. 1-4 (gli atti si possono leggere anche in Belfiore, II, Costituti, documenti tradotti dal tedesco ed altri materiali inediti del processo ai Comitati insurrezionali del Lombardo-Veneto (1852-1853), a cura di C. Cipolla, Milano 2006, tenendo conto tuttavia che molte trascrizioni risultano errate).