GIOVANNI
Fu vescovo di Pavia dall'875 o dall'876, e il secondo della serie dei vescovi pavesi a portare questo nome. Il suo predecessore, Litifredo, è nominato ancora in vita in una lettera di papa Giovanni VIII all'arcivescovo Ansperto di Milano, databile al più tardi al settembre dell'875. G. è invece documentato per la prima volta, con il titolo di episcopus, nel febbraio dell'876, come sottoscrittore degli atti del concilio di Pavia che elesse Carlo il Calvo re d'Italia. Il vescovo pavese, che in seguito sarebbe divenuto il braccio destro di Giovanni VIII, forse era già fin da allora in rapporti con il papa, se il 24 agosto dell'anno successivo (877), con la bolla Supernae miserationis, ottenne da lui, insieme con la conferma dei privilegi concessi ai suoi predecessori, cioè la giurisdizione sui monasteri di S. Donato di Scozzola (Sesto Calende) e di S. Maria di Cairate, entrambi situati nella diocesi e nel contado di Milano, anche il pallio e il diritto, in alcune cerimonie, di farsi precedere dalla crux gestatoria e di cavalcare un cavallo bianco (tutte prerogative archiepiscopali).
Benché il documento, come ha dimostrato lo Hoff, sia stato largamente interpolato nel XII secolo, esso resta una significativa testimonianza del rapporto esclusivo instauratosi in questo periodo tra la Sede apostolica e l'episcopato pavese. Oltre a ribadire la consacrazione romana, la Supernae miserationis e le lettere pontificie di poco successive dimostrano una condizione di "esenzione" da Milano che occorre considerare eccezionale e irripetibile. La strategia romana è chiaramente quella di opporre all'autorità metropolitica milanese, in questi anni impersonata da un arcivescovo, Ansperto, in forte conflitto con la Sede apostolica, l'indipendenza, anzi la supremazia del presule pavese, in forza della posizione emergente della città in quanto capitale del Regno. D'altra parte l'"esenzione" fu da sempre un fatto occasionale, "maturato non da uno specifico caso giuridico, bensì da estesi e progressivi avanzamenti e affidamenti […] dettati da contingenze religioso-politiche" (Lanzani).
La momentanea condizione di pariteticità dell'episcopatus Ticinensis con le sedi provviste di dignità metropolitica fu confermata, nell'aprile dell'878, da una lettera circolare con cui Giovanni VIII informò i presuli di Milano, Aquileia, Ravenna e, appunto, Pavia, dei danni prodotti dall'occupazione di Roma da parte di Lamberto di Spoleto e annunziò loro il proposito di recarsi in Francia.
Nel settembre dello stesso anno il pontefice scrisse a G. perché risolvesse, scomunicando il colpevole, una spinosa questione locale: un tale iudex Ragiberto si era, infatti, rivolto al papa perché Goffredo, figlio del conte palatino, con la collaborazione di un suddiacono e di un notaio, aveva rapito Gausilda, nuora dello stesso Ragiberto. L'appartenenza del rapitore alla cerchia delle più influenti famiglie della città fa arguire, forse, nell'episodio qualche significato politico, ma le fonti non forniscono che queste poche informazioni. Due mesi dopo, Giovanni VIII, da Torino, ove era giunto il 24 nov. 878 di ritorno dal concilio di Troyes, ordinò a G. di raggiungerlo quanto prima e di far avere ai vescovi di Parma, Piacenza, Reggio e Modena (suffraganei di Ravenna, data la temporanea vacanza della sede) le lettere con cui li invitava a un concilio a Pavia fissato per il 2 dicembre (concilio che non si sarebbe mai svolto). In un passo viene qui confermato il particolare statuto di dipendenza diretta della sede pavese da quella apostolica: "specialiter noster es et manualis quia de nullius nisi nostra dicione consistis" (Registrum Iohannis VIII papae, p. 125). A distanza di un mese, il papa scrisse agli arcivescovi Ansperto di Milano e Romano di Ravenna e ai loro suffraganei intimando loro di presenziare ai concili convocati da Giovanni. Nel frattempo i rapporti tra Roma e Milano si deteriorarono rapidamente e si giunse alla scomunica di Ansperto nel concilio romano del 1° maggio 879. L'incarico di notificarla fu affidato a G. e a Walperto di Porto, ma l'arcivescovo sfidò la volontà del pontefice, non permettendo ai due legati di entrare in città. Di lì a poco, con la consacrazione del vescovo di Vercelli, il presule milanese avrebbe ulteriormente dimostrato di non tenere in nessun conto le decisioni papali e di poter continuare indisturbato l'esercizio del suo ministerium. Per tutta risposta il 15 ott. 879, in un sinodo romano, Giovanni VIII depose Ansperto dalla sua carica. Il clero milanese fu invitato a eleggere un altro arcivescovo, con la guida e il consiglio, oltreché di Waldone di Rimini, ancora di G., cui, inoltre, il papa aveva dato facoltà di assolvere dalle colpe in suo nome.
Nello stesso mese a G. spettò un altro compito: dovette provvedere alla ricostruzione della collegiata di S. Maria a Carpi che era stata distrutta da un incendio (il papa aveva precedentemente interpellato il vescovo di Reggio, Paolo, che aveva rifiutato di sobbarcarsi l'onere). Le indubbie capacità diplomatiche, messe alla prova alle dipendenze del papa, fruttarono a G. incarichi anche da parte di Carlo il Grosso, dichiarato nel frattempo re d'Italia (gennaio 880). Fu, infatti, in veste di missus regius che il vescovo di Pavia presiedette alcuni placiti: il 17 maggio 880, a Como, quando si venne a capo di una lite tra il monastero di Reichenau e S. Ambrogio di Milano per il possesso di sei mansi a Limonta; nel novembre successivo, presso il palazzo regio di Pavia, quando - sulla base di un giudizio emesso dal conte Suppone in un placito dell'aprile - fu data ragione all'abate di Novalesa Amblulf, coadiuvato dal suo scabino Roderico, a proposito della contestata condizione di servitù al monastero di un tale Maurino di Oulx e di suo figlio Anseperto. Alla fine di dicembre il re e il suo seguito fecero tappa a Piacenza, nel gennaio dell'881 a Reggio. Benché non ci siano prove certe della presenza, accanto a Carlo, di G., è assai probabile che egli abbia accompagnato il re in questo viaggio nelle città norditaliane. Infatti, ancora in novembre, Giovanni VIII impose al procuratore di Pavia, Salomone, di liberare due monaci incarcerati l'anno precedente per volere di Ansperto. Se, in questo torno di tempo, G. fosse rimasto in città, l'appello sarebbe stato rivolto direttamente a lui. Anche dopo l'incoronazione imperiale di Carlo (12 febbr. 881) G. continuò a essere attivo come mediatore nei rapporti tra la Sede apostolica e la corte carolingia. Per suo tramite, alla fine dell'881, il Grosso invitò il papa a una assemblea generale del Regno che si sarebbe tenuta a Ravenna il 2 febbr. 882.
La morte di Giovanni VIII, avvenuta il 16 dic. 882, segnò l'inizio di un periodo di scarna documentazione sull'attività di Giovanni. Occorre giungere all'885 per avere di nuovo sue notizie: egli è tra i sottoscrittori degli atti di un concilio, svoltosi a Pavia o a Piacenza, il 17 aprile e presieduto dal papa Adriano III, che emise un privilegio per il monastero di S. Sisto di Piacenza. Durante la successiva estate, il papa fu chiamato in Germania dall'imperatore, il quale desiderava servirsi della sua autorità per regolare la propria successione. Adriano morì però lungo il cammino, a San Cesario presso Modena. Prima di partire da Roma, egli aveva affidato il governo della città a G., ancora designato con l'appellativo di missusimperatoris. È pertanto ipotizzabile che tra l'880 e l'885 il vescovo di Pavia avesse ininterrottamente svolto incarichi in veste di missus regius e poi imperialis. Secondo il Liber pontificalis, poi, egli giocò un ruolo di rilievo nella scelta del successore di Adriano III al soglio pontificio, scelta che cadde sul prete Stefano (Stefano V), ordinato all'inizio del settembre 885. Il nuovo papa, come ricompensa per la cooperazione alla sua elezione, gli cedette, con ogni probabilità in vitalizio, il ducato di Comacchio (inizio 886).
Poche ma significative sono le tracce documentarie che riguardano l'ultima parte della vita di Giovanni. Esse testimoniano l'abilità del presule pavese nel mantenersi in una posizione di prestigio e di potere, nonostante i repentini mutamenti ai vertici, negli anni a cavallo tra il IX e il X sec., ossia nel tumultuoso periodo dei primi "re nazionali". Se sono certamente falsi, come ha dimostrato lo Schiaparelli, il diploma di Lamberto imperatore dell'895 (con cui, a istanza dello stesso G., sarebbero state donate a Oterio, vassallo del conte Sigifredo, sei mansariciae nel comitato di Piacenza) e il placito di re Berengario del marzo del 901 (con cui, presenti i missi G. e Grimoaldo, l'abbazia di Lucedio sarebbe stata aggiudicata alla Chiesa di Vercelli), sono invece autentici i due placiti svoltisi a Pavia sotto re Berengario. Infatti, come missusregius, il presule pavese, il 4 marzo 899, sentenziò in una causa tra l'abbazia di Nonantola e il chierico Stefano, custode della chiesa di S. Maria de Pociolo; mentre in veste di missus papale, insieme con Adalberto di Bergamo, in una data imprecisata tra il 906 e il 910, presiedette un placito per Gaidolfo, abate di S. Ambrogio di Milano, in cui quest'ultimo ottenne che parecchi abitanti di Limonta fossero riconosciuti servi del monastero e non aldii. Da una lettera del 907 del papa Sergio III a Leopardo, abate di Nonantola, si ricava che G. fu proposto, insieme con Guido di Piacenza e Elbungo di Parma, per consacrare la nuova abbazia, ricostruita dopo la devastazione e l'incendio subito per opera degli Ungari. Ma Leopardo fece cadere la scelta sul vescovo di Piacenza. In un diploma perduto, il cui contenuto è trasmesso indirettamente dall'Historia de Regno Italiae di Carlo Sigonio, Anastasio III, su istanza del re Berengario, avrebbe confermato a G. il diritto di cavalcare un cavallo bianco e di farsi precedere dalla crux gestatoria; vi avrebbe inoltre aggiunto il privilegio di usare il baldacchino (umbella) e di sedere nei concili alla sinistra del papa.
Il catalogo pavese che è tramandato dalla cronaca Flos florum del 1399 assegna a G. 37 anni di episcopato. L'anno di morte dovrebbe perciò corrispondere al 912.
Un diploma di Berengario del 915, in favore del vescovo di Bergamo, in cui si fa cenno a un "murus civitatis edificatus super terram ecclesiae", dovette trarre in inganno Opicino de Canistris, autore del Liber de laudibus civitatis Ticinensis, che attribuì a un "quidam Iohannes episcopus", identificato spesso con G. o con il suo immediato successore all'episcopato, Giovanni (III), l'impresa di costruzione di una seconda cerchia di mura cittadine. Come si evince, invece, dal prosieguo del diploma del 915 (e, soprattutto, dalla completa assenza di altri indizi, documentari o archeologici, dell'edificazione di un nuovo muro), si dovrà supporre che G. sovrintese a un semplice restauro o a un parziale rifacimento della vecchia fortificazione, per meglio proteggere la città dalle incursioni degli Ungari degli anni 899-900.
Fonti e Bibl.: [Opicino de Canistris], Liber de laudibus civitatis Ticinensis, a cura di R. Maiocchi - F. Quintavalle, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XI, 1, p. 10; Concilium Papiense, a cura di A. Boretius - V. Krause, in Mon. Germ. Hist., Capitularia regum Francorum, II, Hannoverae 1890-97, n. 220 pp. 101-104; Registrum Iohannis VIII papae, a cura di E. Caspar, ibid., Epistolae, VII, Berolini 1928, nn. 73 pp. 67-69, 144 pp. 123 s., 145 p. 124, 146 pp. 124 s., 157 p. 130, 202 pp. 161 s., 227 pp. 201 s., 228 pp. 202 s., 237 pp. 209 s., 297 p. 259; Fragmenta RegistriStephani V, a cura di E. Caspar, ibid., n. 4 pp. 335 s.; Karoli III diplomata, a cura di P. Kehr, ibid., Diplomata regum Germaniae ex stirpe Karolinorum, II, 2, Berlin 1937, nn. 23a p. 39, 25 pp. 41-43; C. Sigonio, Historia de Regno Italiae, Bononiae 1580, ad annum 911; L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, I, Mediolani 1738, col. 32 (lettera di Sergio III a Leopardo di Nonantola); Codex diplomaticus Langobardiae, a cura di G. Porro Lambertenghi, in Monumenta historiae patriae, XIII, Augustae Taurinorum 1873, nn. CCLXXVI coll. 463-467 (Supernae miserationis), CCCLXXXIII coll. 634 s.; L. Schiaparelli, I diplomi dei re d'Italia. Ricerche storico-diplomatiche, I, in Bull. dell'Istituto stor. italiano per il Medio Evo, XXIII (1902), pp. 143 s.; II, ibid., XXVI (1905), pp. 91 s.; I diplomi di Berengario I, a cura di L. Schiaparelli, in Fonti per la storia d'Italia [Medioevo], XXXV, Roma 1903, pp. 188, 377 e nn. 17 p. 410, 100 pp. 262-264; I diplomi di Guido e di Lamberto, a cura di L. Schiaparelli, ibid., XXXVI, ibid. 1906, pp. 101 s.; P. Torelli, La cronaca milanese del "Flos florum", in Archivio Muratoriano, I, 3 (1906), p. 104; Vita Stephani, in Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, II, Paris 1955, p. 191; P.F. Kehr, Italia pontificia, VI, 1, Berolini 1961, nn. 5-16 pp. 174-177; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300 descritti per regione, II, La Lombardia, 2 (Cremona-Lodi-Mantova-Pavia), Bergamo 1932, pp. 391-395; E. Hoff, Pavia und seine Bischöfe im Mittelalter, Pavia 1943, pp. 4 n. 32, 16 n. 62, 103-131, 333-399; M.G. Bertolini, Ansperto, in Diz. biogr. degli Italiani, III, Roma 1961, pp. 422-425; D. Bullough, Urban change in early medieval Italy: the example of Pavia, in Papers of the British School at Rome, XXXV (1966), pp. 95, 115; O. Capitani, Chiese e monasteri pavesi nel sec. X, in Pavia capitale del Regno, Atti del IV Congresso internazionale di studi sull'Alto Medioevo, Pavia-Scaldasole-Monza-Bobbio… 1967, Spoleto 1969, pp. 107-154; B. Gorla, L'arcivescovo Ansperto e i suoi rapporti con Giovanni VIII, in Ricerche storiche sulla Chiesa ambrosiana, II (1971), pp. 24-115; A.A. Settia, Pavia carolingia epostcarolingia, in Storia di Pavia, II, L'Alto Medioevo, Milano 1987, pp. 81-88, 146 s.; W. Hartmann, Die Synoden der Karolingerzeit im Frankenreich und in Italien, München 1989, pp. 346 s., 349-351, 354; V. Lanzani, L'età longobarda (570-774), in Storia religiosa della Lombardia, II, Diocesi di Pavia, a cura di A. Caprioli - A. Rimoldi - L. Vaccaro, Brescia 1995, p. 65.