GIOVANNI
Figlio di Giovanni di Oddone, appartenente alla famiglia romana dei Crescenzi Ottaviani, i cui esponenti portarono a lungo i titoli di conte e di rettore di Sabina, e di Davinia, G. fu, a partire dal 1069, abate del complesso monastico di Subiaco, quinto di questo nome; non è nota la data della sua nascita, che dovette avvenire poco dopo il quarto decennio dell'XI secolo.
Il Chronicon Sublacense contiene un nucleo narrativo di grande ampiezza in cui è illustrata la sua vita. Questo testo, che è certamente derivato da un'opera a sé stante del XII secolo, rappresenta la fonte di gran lunga più importante di cui disponiamo. G. vi è celebrato come il più grande abate di Subiaco e la storiografia successiva ha mantenuto sostanzialmente inalterato questo giudizio.
Suo padre, morto nel 1058, era stato conte di Sabina, signore di Palombara e, negli ultimi anni di vita, monaco; G. ebbe almeno tre fratelli (Ottaviano, Oddone e Raniero) e una sorella, di cui ignoriamo il nome. Trascorse la giovinezza come monaco presso l'abbazia di Farfa e fu eletto abate di Subiaco, una prima volta, negli anni Sessanta del secolo XI.
Il primo abbaziato di G. ebbe breve durata: tornato a Subiaco l'abate Umberto (che era stato preso prigioniero da Lando di Civitella), G. fece ritorno a Farfa. Nel giugno 1069, tuttavia, papa Alessandro II inviò l'arcidiacono Ildebrando, il futuro papa Gregorio VII, e Desiderio di Montecassino, insieme con una nutrita schiera di armati, a visitare il monastero, che era in preda a forti contrasti interni. Con la delegazione romana e con i militari giunse anche Giovanni. Il Chronicon narra di una spontanea rinuncia all'abbaziato da parte di Umberto e presenta l'elezione di G. come avvenuta nel rispetto della regola benedettina, ma è possibile intravvedere, nell'azione intrapresa da Ildebrando, un efficace colpo di mano, volto a recuperare il potente monastero sublacense all'orbita di influenza romana, seguendo in questo una politica già consolidata da tempo. G., insediato da Ildebrando e consacrato da Alessandro II, resse l'abbazia per cinquantadue anni.
Sotto il suo governo, Subiaco ascese al culmine della potenza, giungendo a dominare una vasta e compatta parte del Lazio centrorientale, avente come linea di irradiamento la valle dell'Aniene. La politica di controllo del territorio, accompagnata da un'intensa attività in opere di difesa e di edilizia sacra e civile, fu attuata principalmente con l'appoggio dei milites dell'abbazia, cui erano concessi benefici dietro giuramento di fedeltà. Alcuni di questi giuramenti sono riportati nel Regesto sublacense. L'abate, che più che uomo di chiesa fu condottiero e signore feudale, mosse personalmente contro i suoi nemici, cioè principalmente i signori dei castelli che rifiutavano di giurare, combattendo anche i suoi più stretti parenti. La storiografia tradizionale attribuisce a G. un ruolo di esaltazione della politica familiare, ma tanto alcune notizie contenute nel Chronicon quanto l'alleanza dichiarata con Pasquale II e il fatto che, dall'anno 1106, non abbiamo più notizia dei Crescenzi come conti o rettori di Sabina fanno ritenere che G., al contrario, avesse combattuto i suoi congiunti, minando la loro potenza a vantaggio del suo monastero e della Chiesa romana. Il Chronicon attribuisce a G. grandi capacità nelle arti militari e diplomatiche: egli conquistò, acquistò o recuperò numerosi castelli (Cervara, Marano, Gerano, Cerreto, Jenne, Pisoniano, Rocca Santo Stefano, Collalto, Arcinazzo, Affile, Camerata) servendosi di una precisa tattica guerresca, di torri, di macchine da assedio e del suo forte esercito. La stessa Subiaco, i cui pedites erano stati a lungo restii ad accettare la dominazione abbaziale, fu definitivamente sottomessa nel 1074.
Anche la sua azione in campo ecclesiastico fu enfatizzata dal cronista, che non esita a definirlo un secondo s. Benedetto. G., oltre a donare dei veri tesori in paramenti e oggetti sacri, si prodigò nella riforma del cenobio ed emanò numerose costituzioni liturgiche nelle quali, tra l'altro, è possibile cogliere l'imitazione di modelli romani. L'abate fece importanti lavori al Sacro Speco, in cui, dal 1090, visse l'eremita Palombo. Assicurò il controllo diretto delle chiese e delle celle dipendenti e riuscì spesso vincitore nell'aspra contesa che da lungo tempo vedeva contrapposta l'abbazia sublacense al vescovato di Tivoli. Durante gli anni del suo abbaziato il monastero di Subiaco visse un periodo di grande slancio culturale e lo scriptorium fu molto attivo: sono ricordati pregevoli codici fatti copiare da G., alcuni dei quali si conservano ancora.
Gregorio VII, probabilmente subito dopo l'elezione (1073), lo creò cardinale della diaconia di S. Maria in Domnica. La scelta di G. dovette essere favorita da molti fattori: la conoscenza diretta da parte di Gregorio VII, che lo aveva insediato a Subiaco; il fatto che G. appartenesse a una potente famiglia romana; il perseverare di una politica di stretto legame tra Roma e Subiaco, già evidente dal X secolo; infine, il disegno di espandere il Collegio cardinalizio comprendendovi i più rappresentativi esponenti del monachesimo: a partire dagli anni Cinquanta del secolo XI, la compresenza della dignità abbaziale e cardinalizia era usuale per gli abati di Montecassino e per quelli dei principali monasteri romani. Purtroppo, la storia del suo cardinalato sfugge in gran parte, probabilmente anche per il fatto che, in quanto abate, egli risiedette più spesso a Subiaco che in Curia.
Nonostante il Chronicon dichiari che i rapporti tra G. e Gregorio VII rimasero sempre ottimi, è certo che l'abate passò, nel 1084, nelle file degli alleati dell'arcivescovo di Ravenna Wiberto (o Guiberto), antipapa con il nome di Clemente III. Ciò permette tra l'altro di spiegare un passo, altrimenti oscuro, del Chronicon stesso, in cui è riferito che Gregorio VII gli sottrasse con violenza una rocca. Egli tornò in seguito all'obbedienza romana: alla morte del cardinale Teodino, lo sostituì nella carica di arcidiacono, titolo con cui è ricordato a partire dal 1099. Nel corso del pontificato di Pasquale II, G. si mostrò un alleato fedele, agendo in più di un'occasione come braccio armato della riforma proseguita dai successori di Gregorio VII. Particolarmente significativo fu il suo contributo nella lotta contro Ildemondo, rettore di Campagna (1109), che gli valse ampi riconoscimenti da parte di Pasquale II. Come cardinale fu presente al concilio Lateranense del marzo 1112. G. è ricordato ancora in alcuni documenti del Regesto sublacense e come destinatario di due bolle pontificie (1114 e 1117).
Diverse fonti concordano sulla data della sua morte, avvenuta il 2 maggio 1121.
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