MANZINI, Giovannina (Gianna)
Figlia unica di Giuseppe e di Leonilda Mazzoncini, nacque a Pistoia il 24 marzo 1896. L'infanzia, piena di paure e malinconica, fu segnata dalla separazione dei genitori: un evento destinato a riflettersi nella sua opera fino all'aperta rievocazione autobiografica dell'ultimo romanzo.
La figura del padre si staglia in Ritratto in piedi (Milano 1971) illuminata dall'ideale anarchico per cui rinunciò alla famiglia. Di origini modenesi, Giuseppe aveva frequentato ambienti repubblicani prima di unirsi agli internazionalisti; più volte condannato tra il 1884 e il 1885 per reati di propaganda, si rifugiò in Svizzera e rientrò nella città natale solo con l'amnistia del 1887. Sottoposto a vigilatura speciale, dopo il matrimonio e la nascita della figlia lavorò a Grosseto per il suocero; ma i violenti dissapori sorti con il fratello della moglie a causa della mai interrotta attività politica, lo spinsero a ritornare a Pistoia nel 1900. Schedato e ormai solo, aprì un laboratorio di orologiaio continuando a firmare articoli, manifesti, libri. Dal 1921 visse praticamente confinato a Cutigliano, sull'Appennino pistoiese: qui morì, in seguito a un'aggressione fascista, il 29 sett. 1925.
Dopo la separazione la M. fu accolta con la madre in casa di una sorella di lei, dove crebbe insieme con due cugine. Il confronto tra i privilegi borghesi assicurati dal denaro dello zio e l'esistenza disagiata del padre, che incontrava quasi ogni giorno dopo la scuola, diventò per la bambina doloroso conflitto tra opposti modelli di vita.
In quel duello interiore intravide ormai adulta l'origine segreta della malattia cronica ai bronchi, rivelatasi durante l'infanzia con violenti attacchi di tosse, da cui fu tormentata fino agli ultimi anni. Collocandola nel petto di un suo protagonista, immaginandola come un fantasma predatore, la raccontò nel romanzo La Sparviera (ibid. 1956).
Tra convalescenze e ricadute la M. frequentò le magistrali alla scuola normale femminile Atto Vannucci di Pistoia. Leggeva G. D'Annunzio, M. Maeterlinck, F.M. Dostoevskij. Si diplomò nell'estate 1914 e in autunno si trasferì con la madre a Firenze, dove abitò in una casa d'Oltrarno descritta nel racconto eponimo di Rive remote (ibid. 1940), per iscriversi al magistero femminile dell'Istituto superiore. A Firenze, luogo decisivo della sua formazione intellettuale, pubblicò, studentessa, una Novella romantica (in Ida Baccini: rivista per la gioventù femminile italiana, V [1915], 20, pp. 253-255) e un Frammento (ibid., VI [1916], 8-9, p. 59).
Sono esercizi che risentono dell'atmosfera tra crepuscolare e decadente di molta narrativa di allora, anche dell'autobiografismo lirico vociano, ma in cui affiorano quella sensibilità corporea dell'immagine, quella tensione surreale, che rimarranno stilemi irrinunciabili di tutto il suo lavoro.
Con il massimo dei voti e lode, nell'anno accademico 1919-20 si laureò in materie letterarie all'Università di Firenze discutendo una tesi intitolata "Le opere ascetiche di Pietro Aretino". In Biblioteca nazionale aveva intanto conosciuto Bruno Fallaci, collaboratore di Lacerba e all'epoca critico letterario per La Nazione, della cui terza pagina divenne poi responsabile. Lo sposò il 20 dic. 1920; alcuni mesi prima, il 29 agosto, aveva esordito ne La Nazione della sera inaugurando con L'ammalata d'isolamento una lunga serie di racconti in cui gradualmente si chiariscono qualità e ragioni della sua prosa.
L'influenza del frammentismo e insieme l'adesione ai modelli più sperimentali della narrativa europea, l'espressionismo psicologico e l'arduo impegno formale, la coerenza a una idea del proprio mestiere inteso come possibilità di rivelare la realtà che si nasconde dietro la quotidiana apparenza delle cose. Torsione sintattica, preziosismo lessicale, sovrabbondanza metaforica sono gli strumenti con cui la M. esplora le fantasie clandestine delle donne e il silenzio nella coppia, la malinconia incompresa dell'infanzia: la solitudine è il destino condiviso di ogni suo personaggio.
Nel 1922, da un anno scriveva anche ne La Nazione, la M. lasciò l'impiego al conservatorio di S. Maria degli Angeli, l'educandato femminile dove dal 1918 era supplente di lingua italiana. Le sale ombrose del convento, le suore, le collegiali ritorneranno sullo sfondo del romanzo d'esordio: Tempo innamorato (Milano 1928).
Concentrando l'attenzione narrativa non sugli eventi raccontati ma sulle ripercussioni che gli eventi provocano nella coscienza dei protagonisti, la M. costruisce una struttura a quadri isolati in cui la trama corale procede per sospensioni o ipotesi attraverso lo slittamento dei piani prospettici e una continua dislocazione del punto di vista. La fisica presenza nella storia dell'autore, che su quella storia criticamente riflette mentre scrive, assicura continuità a scene tra loro anche irrelate e comunque mai disposte in rigida sequenza cronologica. Accolto come una ventata di novità sulla scena letteraria italiana, il volume fu subito recensito dal giovane E. Montale e dall'ormai celebre E. Cecchi: se il primo dichiarava che la M. "ha già fatto molto e molto ancora può fare per il romanzo italiano" (La Fiera letteraria, 5 ag. 1928), il secondo osservava come la "tecnica complicata e un po' abbagliante" di Tempo innamorato sia tanto originale che leggendo "quasi mai vien da pensare ad altri autori" (Pegaso, I [1929], 1, pp. 95 s.).
L'uscita di Incontro col falco (Milano 1929), scelta dei racconti pubblicati nella Nazione, aprì alla M. le porte di Solaria; in redazione o alle Giubbe Rosse incontrò, oltre a Montale, A. Bonsanti, A. Loria, E. Pea. Un anno dopo sarà l'unica donna accolta da E. Falqui ed E. Vittorini nell'antologia Scrittori nuovi (Lanciano 1930).
La morte della madre, il 13 genn. 1931, segnò per la M. l'inizio di una crisi esistenziale che provocò la rottura del matrimonio con Fallaci. Anche prima della separazione legale, avvenuta non senza conflitti nel giugno 1934, si allontanò sempre più spesso da Firenze. Spinta dalla malattia verso luoghi di mare, soggiornò a lungo tra Genova e la Riviera di Levante, dove frequentò C. Sbarbaro e A. Barile che la ospitò nella rivista Circoli. I pochi racconti editi in questo periodo con gli ultimi apparsi ne La Nazione, cui aveva smesso di collaborare nel 1930, sono raccolti in Boscovivo (Milano 1932).
Qui la M. non narra personaggi ma si sofferma sulla vita silenziosa di animali, piante, oggetti: costretta a ripiegare su nature morte, suoi temi prediletti anche in futuro, dallo smarrimento di quel tempo. Definendolo "une oeuvre simple et sans prétention, mais géniale", al libro dedicò una pagina entusiasta V. Larbaud nella Nouvelle Revue française (XXI [1933], 236, pp. 862-864).
Verso la fine del 1933 la M. si stabilì nella campagna senese, ospite di Elena e Leone Vivante. A Solaia scrisse Casa di riposo, poi confluito in Un filo di brezza (Milano 1936): ambientato nell'istituto di suore dove era morta la madre, il racconto lungo anticipa con la sua anomala struttura narrativa le soluzioni sperimentali maturate più tardi nel secondo romanzo, Lettera all'Editore (Firenze 1945). L'inizio di una fortunata collaborazione con Il Giornale d'Italia, ottenuta tramite Maria e Goffredo Bellonci, offrì nel 1934 alla M. l'occasione per recarsi spesso a Roma. Qui rivide Falqui, allora caporedattore de L'Italia letteraria e suo lettore da tempo, che aveva conosciuto anni prima a Firenze. In novembre nacque una passione divenuta presto, benché tempestosa e all'inizio clandestina, legame di una vita e prezioso sodalizio intellettuale. Nella primavera 1935, mentre Falqui si separava dalla moglie, la M. si trasferì a Roma andando a vivere con lui.
A Roma, che sentì ostile sempre ma da cui si allontanerà quasi soltanto per le vacanze d'obbligo in montagna, riprese a scrivere con continuità. In dicembre inaugurò nel Giornale d'Italia, con lo pseudonimo Vanessa, una rubrica di moda che mantenne fino al 1939.
Gli articoli sono scanzonati, estrosi. La M. gioca con colori e forme utilizzando riferimenti pittorici, musicali, letterari: descrive abiti ma racconta l'esistenza delle donne.
Di moda si occuperà fino agli anni Sessanta collaborando anche, con lo pseudonimo Pamela, a Oggi, Il Tempo, La Fiera letteraria. Dopo l'uscita di Un filo di brezza, che recupera prose composte nel periodo più incerto della sua vita, pubblicò in Letteratura, Campo di Marte, L'Ambrosiano i primi racconti di Rive remote. Ritornò a Lettera all'Editore, il romanzo cominciato nel 1934 e poi abbandonato.
Risaliva al 1934 anche la lettura di Gita al faro di Virginia Woolf. Modello di stile almeno fino all'immediato dopoguerra, l'opera woolfiana influenzò con il suo moment of being l'affinarsi di quella tecnica di scomposizione interna della pagina in istanti di rivelazione interiore, sequenze oniriche, incursioni memoriali, che negli anni Quaranta la M. definirà con il termine musicale di "improvviso".
Alla scrittrice inglese, cui dedicò il saggio La lezione della Woolf poi accolto tra gli "improvvisi" di Forte come un leone (Milano 1947), la M. guardò ispirandosi a Le onde per la forma di Lettera all'Editore, il suo lavoro più sperimentale: storia di un romanzo perduto e ormai impossibile da ritrovare, nella cui disgregazione il narratore interviene commentandola mentre la scrive.
Il testo è un labirinto dove chi racconta insegue le ombre di personaggi irraggiungibili, un mosaico fatto di poche tessere superstiti in cui si sovrappongono frammenti dell'intreccio, congetture e ipotesi, descrizioni subito smentite. Costruito a piani paralleli e intersecati, provvisto di luoghi multipli di prospettiva, scompagina il rapporto che lega gli avvenimenti allo scorrere del tempo. Lo splendore formale del romanzo ne offuscò il significato innovativo: non furono risparmiate alla M. accuse di manierismo e astruseria.
Con i racconti di Ho visto il tuo cuore (ibid. 1950) e Il valtzer del diavolo (ibid. 1953) la M. rispose ai suoi critici accelerando il processo di semplificazione lessicale e sintattica avviato prima dalla revisione dei brani riproposti nell'antologico Venti racconti (ibid. 1941), poi dalla seconda edizione variata di Tempo innamorato (ibid. 1943). La pagina abolisce virtuosismi tecnici, cadenze di maniera: diventa più lucida l'intelligenza visionaria che aggredisce i segreti delle cose. Tanto che il giovane P.P. Pasolini, recensendo i testi raccolti in Animali sacri e profani (Roma 1953), poté riportare l'opera della M. dentro la "zona di una poesia calda" malgrado l'"ibrido sottofondo di capriccio e di tenue gelo intellettuale" (Il Giovedì, 25 giugno 1953).
È una maturazione stilistica che non cancella sperimentalismi espressivi e preoccupazioni strutturali, piuttosto ne accompagna la precisazione anche teorica, se proprio a metà degli anni Quaranta la M. avviò una riflessione sul romanzo non soltanto in forma privata, nei diari inaugurati dal 1947, ma soprattutto pubblica. Nella primavera 1944 aveva tenuto un ciclo di lezioni per gli amici sulla prosa italiana del Novecento; tra il 1945 e il 1946, dirigendola in parallelo con la gemella Poesia di Falqui, fu l'animatrice di Prosa.
La rivista, che nonostante la breve durata svolse un ruolo di primo piano nel dibattito sulla narrativa, ospitò scritti di E.M. Forster, Th. Mann, J.-P. Sartre, P. Valéry. In quel periodo la M. orientò le sue letture verso la pagina di Katherine Mansfield, W. Faulkner, M. Blanchot; apprezzò lo stile asciutto di Natalia Ginzburg e C. Pavese.
Alla radio o in quotidiani come Il Nuovo Corriere, Il Gazzettino di Venezia, La Nazione si impegnò negli anni Cinquanta per difendere la libertà formale del romanzo, pubblicò interventi sul dialogo o sulla funzione del paesaggio, recensioni poi raccolte in Foglietti (Milano 1954), Ritratti e pretesti (ibid. 1960), Album di ritratti (ibid. 1964). Le sue riflessioni di saggista ritornarono poi, in forma narrativa, nel libro più realistico, Un'altra cosa (ibid. 1961): storia di uno scrittore alle prese con i problemi e gli strumenti del mestiere.
Cinque anni prima era uscito La Sparviera, opera di svolta nella sperimentazione letteraria della M. dopo la decostruzione antinaturalista di Lettera all'Editore.
Qui affronta la prova dell'intreccio: narra per la prima volta la vicenda di un suo protagonista dalla nascita alla morte, seguendo una scansione cronologica e disponendola sullo sfondo di un paesaggio, in un mondo abitato e nella storia. Alla sospensione dilatata del momento di rivelazione interiore sostituisce la tensione contratta di episodi in cui comportamenti e azioni precipitano trascinando in superficie un'esistenza intera. Scartato l'abituale montaggio a quadri isolati, affida il racconto al succedersi ordinato di sequenze che si distendono dentro un loro spazio naturale, ma lo costringe a scorrere in una doppia direzione servendosi del dialogo: pronunciato o supposto, ne usa le battute in chiave polifonica per annodare avvenimenti esteriori e riflessi dentro la coscienza, presentimento e memoria, sogno, realtà. Il libro, che appena uscito vinse il premio Viareggio, realizza il difficile equilibrio tra una struttura chiusa e un'aperta, mobile impaginazione narrativa.
La rapidità espressiva acquisita con La Sparviera, il ritmo serrato della sua partitura musicale si precisano nel quinto romanzo in funzione più vistosamente metafisica. Compresso in una notte, Allegro con disperazione (ibid. 1965) è un soliloquio a due voci e a capitoli alterni dove la capacità introspettiva raggiunge una dimensione psicologica che appartiene a una superiore, allucinata realtà.
Nel libro, storia doppia di un trauma e di uno speculare senso di colpa, L. Baldacci vide l'approdo coerente di quel "lavoro pertinace di riduzione e di liquidazione nei confronti di ogni naturalismo residuo" che costituisce "un contributo di prim'ordine" alla storia del "nouveau roman europeo" (Epoca, 14 nov. 1965). Tre anni dopo la M. sarà con Anna Banti (Lucia Lopresti) la sola donna inclusa da G. Contini in Letteratura dell'Italia unita (Firenze 1968).
Con Ritratto in piedi, che nel 1972 vinse il premio Campiello, arrivò per la M. anche il successo di pubblico. Progettato mentre lavorava ancora alla Sparviera, cominciato tra infinite resistenze nel 1966, il romanzo ha una struttura circolare: il tempo esteriore di una visita alla tomba del padre chiude la rievocazione dall'interno della vita di lui e della giovinezza di sua figlia.
Nella discesa onirica tra i labirinti dell'autobiografia, dialogo non solo con l'infanzia ma con il mestiere che nell'infanzia affonda radici dolorose, la M. trova una sua forza espressiva che è sempre visionaria ma affilata, scarna. La prosa raggiunge un miracoloso equilibrio tra la capacità rabdomantica di addentrarsi negli antri bui della coscienza e una loro aderente, ormai spoglia resa formale. "Ci può descrivere un visibile che anche noi dovremmo vedere, ma da soli non vedremmo", aveva detto di lei G. Debenedetti (cfr. Letteratura, VIII [1960], 43-45, pp. 126-131).
Mai lo sguardo si era spinto a stanare verità tanto profonde come in Ritratto in piedi e nel libro di racconti che due anni più tardi ne completerà il percorso memoriale. Variazione in quattro tempi sulla morte, il viaggio oltremondano affrontato con la madre in Sulla soglia (Milano 1973) fu un presagio.
Cinque mesi dopo la scomparsa improvvisa di Falqui la M. morì, a Roma, il 31 ag. 1974.
Fonti e Bibl.: In assenza di una bibl. completa degli scritti, la produzione della M. può essere almeno in parte ricostruita, soprattutto per quanto concerne il periodo romano, sulla scorta delle numerose testimonianze a stampa presenti tra le sue carte personali e di lavoro, oggi conservate presso la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori di Milano, l'Archivio del Novecento dell'Università degli studi La Sapienza di Roma, la Biblioteca nazionale di Roma, poi descritte in L'Archivio di Gianna M.: inventario, a cura di C. Bello Minciacchi et al., Roma 2006. Correda l'Inventario una biografia redatta da G. Yehya, ampiamente documentata ma talvolta inesatta per gli anni anteriori al trasferimento della M. a Roma. Una bibl. ragionata delle opere in volume e della fortuna critica, la più completa benché non esaustiva, è allestita da G. Yehya in Gianna M., a cura di F. Bernardini Napolitano - G. Yehya, Milano 2005 (con la collaborazione di S. Ciminari - S. Ghirardello - F. Paoli). Vi andranno aggiunte, poiché successive, le riedizioni di due romanzi e un racconto pubblicate a Pistoia nel 2005: Ritratto in piedi, a cura di C. Martignoni; La Sparviera, a cura di M. Ghilardi; Sulla soglia, a cura di C. Martignoni. Si dovrà invece escludere dal canone delle opere una plaquette citata anche da bibliografie precedenti, a suo tempo annunciata però mai stampata: Carta d'identità, Roma 1945. La fonte più attendibile per Giuseppe Manzini è la voce apparsa in Diz. degli anarchici italiani, II, Pisa 2004, pp. 82 s.