SODERINI, Giovanvittorio
– Nacque a Firenze il 6 marzo 1527 da Tommaso – figlio di Giovan Vettorio, fratello di Piero – e da Caterina del marchese Lorenzo Malaspina.
Come era tradizione nella sua famiglia, all’età di 15 anni fu mandato a studiare diritto e filosofia a Bologna. L’università della città emiliana era all’epoca all’avanguardia per lo studio della botanica e il giovane Soderini ne acquisì i primi rudimenti assistendo alle lezioni dell’imolese Luca Ghini, fondatore per conto di Cosimo I de’ Medici dell’orto botanico di Pisa, e forse leggendo i testi del medico e trattatista Pietro Andrea Mattioli. Non è escluso che abbia conosciuto il naturalista bolognese Ulisse Aldovrandi, suo quasi coetaneo.
Nel 1544, di ritorno in patria, Soderini venne ammesso alla già celebre Accademia Fiorentina, fondata quattro anni prima da Giovanni Mazzuoli come accolita di letterati e cultori della lingua volgare. Alimentò negli anni successivi i suoi interessi poetici, architettonici, geoponici e fitoterapici nel corso di alcuni viaggi a Genova e a Lucca, al seguito del futuro granduca Francesco, e a Ferrara in occasione dell’arrivo in città (1560) di Lucrezia de’ Medici in seguito al matrimonio con Alfonso II d’Este (1558). Nelle biblioteche fiorentine forgiò la sua cultura classica ed enciclopedica, e apprese alcuni metodi di coltivazione in uso nell’Europa contemporanea, dall’Inghilterra alla Polonia. Anni dopo dovette conoscere i disegni a soggetto naturalistico di Iacopo Ligozzi.
Rimasto orfano del padre (agosto 1561), in quanto fratello maggiore divenne il capo della famiglia, con la responsabilità di tre sorelle. Di lì a pochi anni sposò Maria, figlia di Leone di Filippo Nerli, dalla quale ebbe due figli. Importante per la definizione dei suoi interessi culturali fu l’aver ereditato una villa suburbana situata presso l’antico monastero vallombrosano di San Salvi. Qui creò, infatti, una sorta di laboratorio per lo studio delle essenze vegetali, e realizzò alcune sperimentazioni architettoniche. Si basò per questo su una buona conoscenza di Vitruvio, di Leon Battista Alberti, di Andrea Palladio, dei trattati di Francesco di Giorgio Martini e delle opere che all’edificazione delle ville di campagna dedicavano in quegli anni autori come il milanese Bartolomeo Taegio e il fiorentino Anton Francesco Doni. La dimora di Soderini divenne presto celebre per la sapiente distribuzione degli ambienti e, soprattutto, per il suo curato giardino.
Tra la seconda metà degli anni Sessanta e gli anni Ottanta del XVI secolo alternò la vita di corte a palazzo Pitti con la cura degli orti annessi alla sua residenza di campagna. Non è da escludere un suo coinvolgimento negli interessi scientifici e alchemici del granduca Francesco e nella progettazione della villa medicea di Pratolino. Ormai in età matura divenne, però, inviso alla dinastia regnante allorché, nel 1587, scrisse una lunga lettera, datata 21 dicembre, al senese Silvio Piccolomini, marito di una sua nipote. In tale missiva – sulla scia della risalente tradizione antimedicea della sua famiglia – si abbandonò a considerazioni critiche circa la condotta licenziosa e malsana del principe Francesco I e della moglie Bianca Cappello, appena deceduti in circostanze misteriose nella loro residenza di Poggio a Caiano, lasciando velatamente intendere un possibile avvelenamento (parzialmente confermato da recenti analisi tossicologiche) ispirato da Ferdinando I, successore del granduca sul trono toscano.
La lettera autografa, che venne sequestrata dagli Otto di Balìa e che fu in seguito confusa con un altro testo analogo (ma più breve e non compromettente) dato alle stampe dai Giunti, scomparve insieme ad altra documentazione di questo ufficio. Ne restano, però, alcune copie manoscritte più tarde. Quella maggiormente attendibile, anche a giudizio dell’editore ottocentesco (Enrico Saltini), è conservata in un codice miscellaneo della Biblioteca nazionale centrale di Firenze (Magliabechiano, II.IV.18).
Il testo pervenne rapidamente all’attenzione del nuovo sovrano Ferdinando I, il quale sulle prime impose agli Otto di Balìa di condannare il Soderini a morte (10 gennaio 1589) e il 4 aprile successivo commutò la pena capitale con l’arresto nei sotterranei della fortezza di Volterra. Qui Soderini rimase fino al luglio del 1592, allorché fu scarcerato e obbligato a risiedere nella villa di Cedri, fattoria del territorio volterrano di proprietà del cugino Luigi Alamanni il giovane. Tale località e i poderi a essa circostanti, che erano stati in possesso di Luigi Alamanni il vecchio, zio di Giovanvittorio e autore di un poema didascalico sulla coltivazione (1546), divennero il secondo laboratorio destinato alla ricerca botanica e zoologica di Soderini, nonché il sito di riferimento per le opere che egli iniziò a scrivere intorno alla coltura delle piante fruttifere, con speciale attenzione alla vite, alla composizione di orti e giardini e all’allevamento degli animali domestici.
Tali scritti, lodati in seguito dagli accademici della Crusca come testi di lingua per il loro volgare sobrio ed elegante, rimasero per lo più inediti. Tuttavia, la parte del suo lavoro dedicata alla coltivazione della vite conobbe varie stampe fra il 1600 e il 1734, mentre a partire dal primo Ottocento l’interesse di alcuni studiosi portò all’edizione di tutti gli altri trattati.
Frutto di ricerche in parte nutrite dallo studio dell’agronomia classica, in parte desunte dall’osservazione diretta dell’ambiente in cui viveva, le opere di Soderini spaziano dalla coltivazione delle essenze alle modalità di produzione del vino, dalla struttura dei fabbricati rurali ai sistemi di irrigazione, alle macchine per i giochi d’acqua, alla tipologia delle erbe officinali e all’arte topiaria, e rappresentano un interessante compendio delle conoscenze naturalistiche del tempo, ampiamente permeate dagli influssi della trattatistica teorica (da Teofrasto a Plinio), e dall’empirismo contadino toscano; non senza considerazioni circa gli influssi astrologici e la simbologia religiosa (si pensi alla forma quadrata delle aiuole della villa, desunta dalla tradizione claustrale).
Discussa fra gli studiosi è l’attribuzione a Soderini di una trentina di disegni architettonici civili e militari, da altri ricondotti a Giovanni Antonio Dosio, realizzati in linea con i molteplici interessi speculativi che caratterizzavano gli eruditi dell’epoca. L’analisi calligrafica delle didascalie poste a commento di alcune carte ne ha sostanzialmente smentito la paternità. L’attenzione all’edilizia rurale, presente all’interno delle opere di agronomia, portò, comunque, Soderini ad avanzare interessanti considerazioni, come quelle relative agli edifici di forma ‘aovata’, la cui costruzione sperimentò nelle sue dimore toscane.
Morì forse in una dipendenza della fattoria di Cedri, detta Mirandola, il 3 marzo 1597, e fu sepolto nella cappella di famiglia situata nella chiesa di S. Maria del Carmine a Firenze.
Opere. Per le opere inedite ed edite di Soderini cfr.: Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Fondo nazionale, II.IV.74-77 (mss. autografi degli scritti dalle collezioni di C.T. Strozzi); Breve descrizione della pompa funerale fatta nelle essequie del serenissimo D. Francesco Medici II gran duca di Toscana, Firenze 1587, Venezia 1815; Trattato della coltiuazione delle viti, e del frutto che se ne può cauare, Firenze 1600, 1610, 1621, 1622, 1627, 1631, 1638, 1700, 1727, 1734 (a cura di D.M. Manni), Milano 1806, Bologna 1902; Del lauro e delle sue varietà, Bologna 1798, 1889; Trattato di agricoltura, Firenze 1811, Milano 1850; Della cultura degli orti e giardini, Firenze 1814, Milano 1851; Trattato degli arbori, Firenze 1817, Milano 1851 (a cura di G. Sarchiani); Il ciriegio, Genova 1890; Il trattato della cultura degli orti e giardini, a cura di A. Bacchi della Lega, Bologna 1903; Il trattato degli arbori colla seconda parte inedita, a cura di A. Bacchi della Lega, Bologna 1904; Il trattato degli animali domestici inedito, a cura di A. Bacchi della Lega, Bologna 1907.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Fondo nazionale, II.IV.18, cc. 220r-297r; Magliabechiani, VIII.16: A.F. Marmi, Zibaldone, III, 2, cc. 28r-29r; Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe, A 3886, A 3888.
P. Vettori, Trattato delle lodi e della coltivazione degli ulivi, Firenze 1762, pp. 6 s., 58, 71 s.; P. Litta, Famiglie celebri italiane, dispensa 141, Milano 1861, tav. VII; G.E. Saltini, Della morte di Francesco I de’ Medici e di Bianca Cappello. Relazione storica, in Archivio storico italiano, n.s., XVII (1863), 1, pp. 43, 61-81; G. Gargani, Il giardino già dei S. di Firenze, attualmente di Emilio Fiorini presso S. Salvi: memoria con illustrazioni, Firenze 1878, pp. 15-20, 57-84; S. Isolani, L’abbazia di Monteverdi e la Madonna del Frassine in Val di Cornia, Castelfiorentino 1937, p. 139; R. Bentmann - M. Müller, La villa, architecture de domination, Bruxelles 1975, p. 25; L. Lucchesi - S. Bertocci, Villa Il Giardino. Una dimora signorile nella campagna di San Salvi, Firenze 1984, pp. 19-22, 68-73, 76; A. Morrogh, Disegni di architetti fiorentini, 1540-1640, Firenze 1985, pp. 68-80; F. Quinterio, Diletto ed eversione: dalla ‘agricoltura’ all’architettura di G.V. S., in L’architettura a Roma e in Italia (1580-1621). Atti del XXIII Congresso di storia dell’architettura, ... 1988, a cura di G. Spagnesi, II, Roma 1989, pp. 27-34; R. Giudici, Fonti per la storia dell’agricoltura italiana dalla fine del XV alla metà del XVIII secolo, Milano 1995, pp. 42, 48, 53 s., 57, 59, 62, 84, 98, 102; A. Marciano, Giovanni Antonio Dosio fra disegno dell’antico e progetto, Napoli 2008, pp. 66, 71, 74, 92; A. Belluzzi, G.V. S. e l’architettura, in Scritti per Chiara Tellini Perina, a cura di D. Ferrari - S. Marinelli, Mantova 2011, pp. 113-131, 366-369.