Giove e la sua signora
Trasmettere alla terra informazioni e chiarire aspetti ancora oscuri del pianeta di cui già nel 1610 si interessò Galileo, che ne scoprì i 4 satelliti principali: questa è la missione di Juno, la sonda NASA diretta verso il re dei pianeti, Giove, dopo quasi 5 anni di viaggio e 2800 milioni di chilometri percorsi.
Nel luglio 2016 la sonda Juno della NASA raggiungerà il pianeta Giove, il più grande e massiccio del Sistema solare. Lanciata il 7 agosto del 2011, nei quasi 5 anni impiegati per raggiungere l’obiettivo della sua missione Juno avrà percorso 2800 milioni di chilometri. I primi 2 anni di viaggio, in realtà, sono serviti solo a prendere la rincorsa: Juno si è spinta poco oltre l’orbita di Marte per poi tornare verso la Terra, sfruttando quindi la spinta gravitazionale del nostro pianeta, per ripartire a tutta velocità verso l’esterno del Sistema solare.
Quando Juno entrerà nell’orbita di Giove, il pianeta si troverà a 869 milioni di chilometri dalla Terra: per dare un’idea della distanza, le comunicazioni radio della sonda impiegheranno circa 48 minuti per raggiungere il nostro pianeta, viaggiando alla velocità della luce.
Il Sole, laggiù, è talmente lontano che la sua luce appare circa 25 volte più debole che sulla Terra.
Dopo l’arrivo, Juno avrà ancora davanti a sé circa un anno di lavoro. Orbiterà attorno a Giove 33 volte, passando sopra i suoi poli e compiendo un giro completo ogni 11 giorni. In questo modo riuscirà a osservare completamente la superficie del pianeta, spingendosi fino a una distanza minima di soli 5000 chilometri al di sopra del suo involucro gassoso: se Giove fosse grande come un pallone da basket, il punto di massimo avvicinamento sarebbe di poco meno di un centimetro. Al termine della missione, Juno avrà modo di spingersi ancora oltre, sebbene al solo scopo di autodistruggersi: la sonda verrà infatti guidata verso l’atmosfera di Giove, dove si inabisserà incendiandosi come una meteora. Una precauzione necessaria per preservare il sistema gioviano da possibili contaminazioni.
A quel punto, ovvero nell’ottobre del 2017, Juno avrà comunque raccolto dati a sufficienza per chiarire, si spera, alcuni degli aspetti ancora oscuri di Giove. Che sono molti, nonostante il re dei pianeti sia stato esplorato da diverse altre sonde spaziali negli ultimi decenni. Iniziarono le gloriose Pioneer 10 e 11, che tra il 1973 e il 1974 per la prima volta superarono la cintura di asteroidi oltre l’orbita di Marte, avventurandosi nel Sistema solare esterno. Qualche anno dopo, nel 1979, toccò alle Voyager 1 e 2 osservare da vicino Giove e il suo sistema di lune. Bisognò poi aspettare fino al 1995 per tornare da quelle parti, con la sonda Galileo, che però restò attiva nel sistema gioviano fino al 2003, quando fu deliberatamente spedita a vaporizzarsi nell’atmosfera del gigante gassoso. Le altre sonde che sono passate nelle vicinanze di Giove erano in realtà dirette altrove: Ulysses, che doveva andare a studiare il Sole, Cassini, in rotta verso Saturno, e New Horizons, che aveva come meta il pianeta nano Plutone. Juno sarà quindi la prima missione espressamente dedicata allo studio di Giove dopo più di 20 anni.
Indubbiamente, il quinto pianeta del Sistema solare merita tutte le attenzioni che l’umanità gli dedica da secoli, a cominciare da quando Galileo, nel 1610, puntò il suo cannocchiale in quella direzione scoprendone i 4 satelliti principali, Io, Europa, Ganimede e Callisto.
La cosa, come si sa, contribuì all’affermazione del sistema copernicano, mostrando che non tutti i corpi celesti ruotavano intorno al nostro pianeta. In effetti, oggi sappiamo che poco ci è mancato che Giove e le sue numerose lune (quelle conosciute sono 64) non fossero a loro volta un vero e proprio sistema solare, sebbene in miniatura. Giove, infatti, ha una composizione molto simile a quella del nostro Sole – per lo più idrogeno ed elio – e una massa soltanto 80 volte più piccola di quella che occorre per innescare le reazioni di fusione nucleare che tengono accesa una stella. Ciò che vediamo di Giove (che ha un volume 1300 volte maggiore di quello della Terra, e potrebbe contenere al suo interno tutti gli altri corpi del Sistema solare, a parte il Sole) sono gli strati superiori della sua atmosfera, con le sue striature colorate e le gigantesche strutture cicloniche (come la ‘grande macchia rossa’, una tempesta che infuria da almeno 300 anni). L’involucro di gas si estende per gran parte del diametro del pianeta, sebbene verso l’interno la densità diventi talmente alta da trasformare l’idrogeno in un liquido metallico, in grado di condurre l’elettricità e di generare, forse, il formidabile campo magnetico gioviano, 20.000 volte più potente di quello terrestre. La struttura interna di Giove è proprio una delle grandi incognite che la missione Juno dovrà provare a risolvere, per chiarire, tra l’altro, se al centro del pianeta ci sia un nucleo solido di elementi pesanti molto più grande della Terra. Non è un caso che il nome della sonda sia lo stesso della moglie di Giove (in italiano, Giunone) che aveva tra le sue abilità quella di poter penetrare con lo sguardo attraverso le nuvole.
Comprendere meglio la struttura interna di Giove e la composizione dettagliata della sua atmosfera potrà aiutare a ricostruire la storia della sua formazione, che a sua volta è strettamente legata a quella del Sistema solare. Secondo i modelli teorici, la nostra stella si è accesa circa 4 miliardi e mezzo di anni fa, in seguito al collasso di una gigantesca nube di gas e polveri.
Successivamente, dal disco di materiale residuo attorno al Sole neonato, si sono assemblati i pianeti. Giove è stato con ogni probabilità il primo a formarsi e la sua composizione è rimasta invariata da allora. Il suo studio fornisce quindi una straordinaria opportunità di risalire alla natura della nebulosa primordiale. Con la sua mole gigantesca, Giove ha anche influenzato l’origine e l’evoluzione degli altri corpi che orbitano attorno al Sole. Una delle questioni aperte è se l’atmosfera gassosa di Giove si sia raccolta col passare del tempo attorno a un nucleo solido, formatosi in precedenza per aggregazione di corpi solidi più piccoli (come presumibilmente è avvenuto per i pianeti rocciosi del Sistema solare interno, tra cui la Terra), oppure se sia stata una sotto-regione di gas della nebulosa primordiale a collassare sotto la propria gravità, proprio come deve essere avvenuto per la formazione del Sole.
Chiarire il ruolo di Giove nel meccanismo che ha dato forma al nostro Sistema solare potrà avere ripercussioni che si estenderanno anche ai numerosi altri sistemi planetari scoperti intorno ad altre stelle, molti dei quali contengono pianeti giganti gassosi con caratteristiche simili a Giove. Tra gli altri obiettivi scientifici di Juno ci sono lo studio delle spettacolari aurore gioviane, le più brillanti del Sistema solare, l’abbondanza di sostanze come l’ossigeno, l’azoto e l’acqua, e la mappatura tridimensionale dell’intenso campo magnetico che avvolge il pianeta.
Per raggiungere i suoi scopi, Juno potrà contare su 8 strumenti collegati a una batteria di 29 sensori. Due di questi strumenti sono a guida scientifica e fabbricazione italiana. Lo strumento KaT, realizzato da Thales Alenia space, contribuirà allo studio del campo gravitazionale del pianeta, permettendo di ricostruirne la struttura interna. Lo strumento JIRAM, realizzato da Selex-Galileo, contribuirà a chiarire l’interazione tra le aurore, il campo magnetico e l’atmosfera, penetrando con le sue osservazioni fino a 70 chilometri sotto le nuvole, dove la pressione è 7 volte più grande di quella sul suolo terrestre.
Infine, non va trascurato quello che sarà con ogni probabilità il risultato di maggiore presa nei confronti del grande pubblico: la cattura di stupefacenti immagini di Giove a distanza ravvicinata, con una risoluzione di appena 2 o 3 chilometri per pixel, realizzate attraverso una apposita camera a colori, la JunoCam.
Un pianeta a strisce
L’aspetto più caratteristico della superficie di Giove è l’alternarsi di bande chiare (zone) e scure (fasce), disposte parallelamente all’equatore. Le zone e le fasce sono originate dai moti convettivi dei gas atmosferici. Le zone chiare corrispondono a materiale che risale, proveniente dal basso, e si raffredda negli strati più alti dell’atmosfera, condensandosi così in nuvole. Le fasce scure corrispondono invece a correnti gassose discendenti.
Nelle fasce, e ancor più ai confini fra queste e le zone, si individuano numerose strutture di tipo vorticoso, simili alle aree cicloniche e anticicloniche dell’atmosfera terrestre.
La più estesa di queste strutture è la ‘grande macchia rossa’, una macchia rossastra, larga circa 14.000 chilometri e lunga 30.000, ben maggiore del diametro terrestre. Si tratta di un immenso vortice, in cui i gas ruotano in senso antiorario. La sua caratteristica più sorprendente è l’estrema stabilità: essa infatti, pur mutando di dimensioni, è stata osservata con continuità per oltre 300 anni, dall’epoca della sua scoperta per opera di G.D. Cassini nel 1664 fino a oggi.
Capire cosa nasconde Giove al suo interno
L’ipotetica costituzione dell’interno del pianeta gioviano vede, nella parte più esterna, la presenza di un’atmosfera di idrogeno ed elio allo stato gassoso; nella parte sottostante la densità diventa talmente alta da trasformare l’idrogeno e l’elio dallo stato gassoso a quello liquido. Ancora più all’interno si pensa che ci sia solamente idrogeno allo stato liquido e dalle proprietà metalliche. A profondità maggiori si suppone che esista un nucleo di rocce e metalli pesanti, ed è proprio la sua composizione che Juno dovrà provare a indagare.