GIOVE
. Astronomia. - Dopo Venere è il più splendente dei pianeti. Giove descrive attorno al Sole un'orbita leggermente ellittica, di eccentricità 0,0483 alla distanza media di 777 milioni di chilometri (5,203 volte maggiore della distanza della Terra dal Sole). La sua distanza dalla terra varia da un minimo, all'opposizione, di 591.000.000 di km. a un massimo di 965.000.000 alla sua congiunzione col Sole; di conseguenza varia anche il suo splendore da −2,5 a −1,4 grandezze stellari. Il periodo siderale di rivoluzione del pianeta è di 11,86 anni; quello invece che intercorre tra due opposizioni successive, detto periodo sinodico, è di 399 giorni. Lo schiacciamento polare è in Giove molto notevole, secondo Struve 1/15,4; il diametro angolare del suo raggio equatoriale risulta, secondo Sampson, di 37′′,84 e quello polare quindi 35′′,48. Il piano dell'equatore è inclinato di 3°7′ sul piano dell'orbita e quest'ultimo è inclinato di 10°18′ sull'eclittica. Data la distanza media di Giove, si ha come valore lineare del suo raggio medio 139.560 km., 10,95 volte maggiore di quello della Terra; ne segue che la superficie di Giove è 120 e il suo volume 1312 volte maggiore di quello della Terra: esso è quindi il maggiore dei pianeti.
La massa si ricava dal moto dei suoi nove satelliti e dalle perturbazioni che provoca sui piccoli pianeti; essa risulta 1/1047,40 quella del Sole, cioè 316,94 volte quella della Terra; se ne deduce una densità 0,242 volte quella della Terra, circa 1,34 volte quella dell'acqua e quasi eguale a quella del Sole (1,4 volte l'acqua). La gravità superficiale media come si ottiene dalla sua massa, dal suo raggio e dalla sua velocità di rotazione è 2,64 volte quella della Terra. Della luce che il pianeta riceve dal Sole viene rimessa, secondo E. Schönberg, il 44% (albedo 0,44); risulta però che il suo bordo è otto volte meno splendente del centro del disco, simile in ciò al Sole.
Già da Galileo e dai suoi discepoli erano state notate delle particolarità sul disco che furono caratterizzate come fasce o bande. Esse non sono uniformi, ma presentano delle caratteristiche che possono essere seguite al telescopio. Una macchia scoperta nell'emisfero Sud del pianeta, nel 1664, da R. Hooke, venne seguita da G. D. Cassini, che determinò così un primo valore della rotazione di 9h 56m; più tardi lo stesso Cassini dall'osservazione di una macchia equatoriale determinava un altro valore della rotazione di 9h 50m. Questi due valori sono anche oggi i due più distinti della rotazione del pianeta, che è la più rapida fra tutte quelle degli altri pianeti. Essa non è costante e non c'è regola che la determini in funzione della latitudine ogni banda ha una sua particolare velocità angolare. La velocità media di rotazione della banda equatoriale è di 9h 50m 30s, quella delle altre bande varia da un minimo di 9h 55m 5s a un massimo di 9h 55m 54s; queste velocità sono soggette a notevoli variazioni.
Caratteristiche fisiche del pianeta. - Principale caratteristica è la già accennata struttura a bande. Esse si alternano in chiare e oscure e vanno soggette a notevoli alterazioni potendo anche scomparire totalmente; se ne contano usualmente dieci. Il colore delle bande oscure è variabile: rosso, bruno, verde e talvolta anche bluastro. Queste apparenze indicano che quello che noi vediamo di Giove è soltanto la sua atmosfera. Oltre a queste fasce perpetuamente variabili, si notano parecchie formazioni semipermanenti come, per esempio, la macchia rossa. Essa è di forma ellittica, estesa, nel 1878, circa 50.000 km. secondo l'asse maggiore e 12.000 secondo quello minore, si trova alla latitudine australe di 20° ed è di colore variabile da rosso intenso a grigio chiaro. W. F. Denning poté rintracciarla nei disegni di H. Schwabe (1831) e si crede sia quella intravista da Hooke nel 1664. Il periodo di rotazione della macchia è maggiore di quello della banda che la contiene. Lo spettro di Giove è quello della luce riflessa del Sole però con forti bande di assorbimento nell'arancione e nel rosso, dovute all'assorbimento selettivo della sua atmosfera; la più forte banda si trova verso λ 7200; l'origine di queste bande è sconosciuta. Mentre la grande circolazione e i veloci cambiamenti della superficie visibile del pianeta indicherebbero una temperatura piuttosto elevata, le osservazioni radiometriche di Coblentz nel 1914 rivelano che questa è di −140°, quale era da aspettarsi se Giove quasi non emanasse calore.
Satelliti di Giove. - Il pianeta ha nove satelliti. I quattro maggiori, molto più splendenti degli altri, furono scoperti nel 1610 da Galileo, che subito ne stabilì la vera natura, traendone conseguenze in appoggio del sistema copernicano. Egli li chiamò Pianeti Medicei, in onore della casa De' Medici, ma ora si usa designarli col nome di satelliti Galileiani; e in ordine di distanza da Giove hanno i nomi: Io, Europa, Ganimede e Callisto. Il quinto satellite, che è il più vicino a Giove, venne scoperto da E. E. Barnard nel 1892; il sesto, settimo e ottavo esterni ai primi quattro da C. D. Perrine nel 1904, 1905, 1908; il nono da S. B. Nicholson nel 1914. La rotazione dei primi quattro attorno a Giove è simile a quella della nostra Luna. Dato che l'inclinazione dei quattro principali satelliti è piccola e dato che essi sono sufficientemente luminosi si possono osservare eclissi, transiti e occultazioni che vengono predetti dalle effemeridi astronomiche. È interessante notare che Galileo aveva pensato subito di ricavare a mezzo di questi fenomeni la longitudine del luogo dell'osservatore. O. Roemer nel 1675 trovò che gl'istanti delle eclissi dei satelliti di Giove mostravano, rispetto a quelli calcolati, una differenza variabile con la distanza del pianeta e che egli interpretò come dovuta al tempo che la luce impiegava per giungere da Giove alla Terra; questa sua brillante scoperta venne confermata solo più tardi da J. Bradley. Il moto dei satelliti di Giove è di difficile trattazione, per le forti perturbazioni che vi producono il Sole e i satelliti tra di loro; è possibile che il satellite più esterno sia un asteroide catturato dal pianeta gigante.
Bibl.: Russell-Dugan-Stewart, Astronomy, I, Londra 1926; Memoirs of the British Astronomical Association; Handbuch der Astrophysik, IV, Das Sonnensystem, Berlino 1929, p. 381 segg.