GIOVENONE
Famiglia di artisti nota a partire dai primi anni del Cinquecento e al centro per oltre un secolo delle vicende figurative vercellesi; la fitta documentazione disponibile (Colombo; Schede Vesme) evidenzia i loro legami con Gaudenzio Ferrari, con Eusebio Ferrari e con le altre principali famiglie di artisti vercellesi del Cinquecento, i Lanino e gli Oldoni.
I primi componenti noti della famiglia risultano stabilmente insediati a Vercelli, nonostante siano spesso indicati nei documenti con un riferimento alla loro provenienza da Barengo o, più genericamente, da Novara (dunque dal Ducato milanese).
In occasione delle trattative intercorse nel 1508 tra la locale Confraternita di S. Anna e il pittore Gaudenzio Ferrari per la realizzazione di un polittico, vi è notizia di un pagamento destinato al maestro di legname Amedeo, sposato con Guencina de Rotario, e al figlio maggiore Giovanni Pietro (dopo di lui nacquero Gerolamo e Giuseppe) per la realizzazione della carpenteria dell'opera; nel documento entrambi sono detti abitanti a Vercelli e si fa cenno dell'esistenza, in città, di una loro bottega (Schede Vesme, pp. 1293 s.). Il 16 genn. 1512 gli stessi sono citati come testimoni in un atto redatto a Vercelli nella casa in cui abitava Amedeo, che l'aveva avuta in affitto dal nobile Sebastiano Ferrero (ibid., p. 1333). Nessuna opera ha finora permesso di ricostruire in maniera circostanziata l'attività di Amedeo, che morì poco dopo il suo testamento del 30 luglio 1524.
In esso, egli disponeva di lasciare gli attrezzi della sua bottega di carpentiere ai figli Giovanni Pietro e Giuseppe, insieme con quattro ancone da lui costruite; una di queste, però, fu data al terzo figlio, Gerolamo, che già da anni aveva una sua bottega (Morandi, pp. 283-288).
Un importante documento del 23 maggio 1519 chiama in causa i tre figli di Amedeo, definendoli genericamente "pinctores".
In esso, il vicario generale della curia vercellese Giovanni Battista Avogadro di Valdengo commissionava alla bottega dei G. due pale: una per la chiesa S. Marco e una per la cattedrale di S. Eusebio. Tali opere non sono state identificate, ma l'importanza dell'incarico registra il ruolo preminente che la bottega dei G. poteva vantare già a quella data (Romano, 1986, p. 31).
Mentre Gerolamo (cfr. voce in questo Dizionario) è riconoscibile come protagonista della pittura rinascimentale vercellese, minori notizie abbiamo intorno a Giuseppe e Giovanni Pietro.
Giovanni Pietro (nato prima del 1494, notizie dal 1508 al 1562) è sempre citato, nei documenti successivi, come carpentarius o lignamarius, a riprova della sua scelta di seguire la specializzazione professionale del padre, cui già era affiancato in occasione del polittico dipinto da Gaudenzio nel 1508. Molti anni dopo, tra il 1546 e il 1547, altri documenti ricordano la commissione affidata a Giovanni Pietro dal nobile Gerolamo Cattaneo per la costruzione dell'ancona con lo Sposalizio mistico di s. Caterina dipinta dal figlio Giovanni Battista e destinata alla chiesa vercellese di S. Francesco (ora Vercelli, Museo Borgogna). L'incarico risale al 13 dic. 1546 e fa riferimento, come modello, alla pala con il medesimo soggetto di Gaudenzio Ferrari (Novara, duomo di S. Maria Assunta); pur non essendo esplicitato dal documento, non è escluso che la realizzazione della struttura lignea e della cornice fosse già in quel caso opera della bottega dei Giovenone. Anche nel successivo documento del 1° giugno 1547 - con il quale alla conclusione del lavoro di carpenteria la pala fu affidata a Giovanni Battista - si mantenne l'esplicito richiamo al modello gaudenziano, fedelmente ripreso se non copiato. Ciò spiega, nell'ambito della consuetudine di rapporti che l'intera bottega giovenoniana mantenne a lungo con il maestro valsesiano, il notevole dislivello qualitativo esistente tra lo Sposalizio mistico, su cui compare la firma di Giovanni Battista, e il Martirio di s. Agata nella parrocchiale dei Ss. Quirico e Giulitta a Trivero (Biella), da lui realizzato e firmato insieme con Francesco da Gattinara.
Giovanni Battista morì nel 1573 (Ghisotti).
Seguendo la tradizione familiare, anche Raffaele, figlio di Giovanni Battista, si dedicò alla pittura: di lui si ricordano un affresco nella sagrestia del duomo di Novara, Madonna con i ss. Giovanni Battista e Gaudenzio, firmato e datato 1572 e la pala nella Galleria Sabauda di Torino, firmata e datata 1583, rappresentante la Madonna col Bambino e i ss. Giovanni Battista, Caterina d'Alessandria ed un devoto inginocchiato (Gabrielli). Raffaele morì nel 1604.
Il minore dei tre figli di Amedeo, Giuseppe il Vecchio (nato dopo il 1494, notizie dal 1519 al 1553), fu invece indirizzato a completare la propria preparazione artistica al di fuori della bottega familiare e la scelta del maestro cui affidarsi fu effettuata con molta consapevolezza dal padre.
Come si è visto, infatti, fin dal primo decennio del secolo il contesto figurativo vercellese, dominato dalla bottega dei G., aveva potuto riconoscere la forza e la qualità della proposta di Gaudenzio Ferrari, ed è proprio presso il maestro forestiero che si decise di mandare Giuseppe. Il contratto relativo venne stipulato il 9 genn. 1521, e il rapporto di discepolato si trasformò in seguito in una lunga collaborazione (Romano, 1986, p. 38).
Il 17 nov. 1524 Giuseppe nominò il fratello Gerolamo suo procuratore per trattare della divisione dei beni paterni con l'altro fratello, Giovanni Pietro (Colombo; Gaudenzio, p. 96). Questa notizia sembra in grado di chiarire come ormai egli fosse spesso fuori città e lontano dalla bottega familiare. La scarna documentazione che riguarda Giuseppe in prima persona prosegue, molti anni dopo, con una serie di attestazioni, che spiega come il rapporto di collaborazione con Gaudenzio fosse andato avanti fino agli ultimi anni di vita del maestro valsesiano, quelli dell'attività milanese. Ecco che, ad esempio, in occasione dei lavori nel duomo di Vigevano (1534-37) ripetuti pagamenti toccarono a "Giuseppe da Vercelli", addetto a interventi di finitura e di doratura (Sacchi, p. 154). Ancora dopo la morte del maestro, Giuseppe, insieme con un altro collaboratore di Gaudenzio, Giovanni Battista Della Cerva, affittò alcuni immobili a Milano, adiacenti "scole sancte Catharine" presso S. Nazario (Schede Vesme, pp. 1343 s.). Coerente con questa immagine di fedelissimo seguace di Gaudenzio è la proposta di attribuire a Giuseppe l'Adorazione del Bambino nella chiesa di S. Maria della Consolazione a Milano: si tratta di un'opera che riprende i moduli gaudenziani in tutto analoga a quella già realizzata dal fratello Gerolamo nella tavola di soggetto simile in S. Cristoforo a Vercelli (Sacchi, pp. 155 s.).
È difficile valutare questa attribuzione, poiché i documenti sono spesso espliciti nel riservare a Giuseppe un ruolo secondario nei cantieri in cui collaborava: ancora in occasione dell'ancona commissionata dall'ospedale Maggiore di Milano a Bernardino Lanino nel 1553 (un Battesimo di Cristo destinato a S. Giovanni in Conca, ora depositato dalla Pinacoteca di Brera presso il battistero di S. Filippo a Busto Arsizio), l'intervento del maestro più anziano è relativo (una volta di più) soltanto alla doratura e alla verniciatura di un'opera realizzata a Vercelli e trasportata a Milano (Sacchi, p. 154; Astrua).
Alcune ipotesi, formulate dalla critica, puntano a vedere fin dagli anni precedenti la mano di Giuseppe in alcuni dipinti la cui ideazione veniva discussa all'interno del gruppo di collaboratori di Gaudenzio. È il caso ad esempio della pala nella parrocchiale di Bellagio (Como) raffigurante il Cristo del prezioso sangue, a lui attribuita anche perché presenta una qualità non all'altezza del cartone corrispondente (Torino, Accademia Albertina), per il quale si è invece chiamato in causa Lanino.
In rapporto con questo schema iconografico è anche la pala con la Intercessione della Vergine e di s. Giuseppe (Torino, Galleria Sabauda), anch'essa attribuita a Giuseppe (Mossetti).
Passando poi a esaminare la carriera dei tre figli di Gerolamo e di Apollonia Bagnaterra attivi in campo artistico, bisogna sottolineare come solo nel caso di Giuseppe il Giovane sia possibile ricostruire un corpus autonomo, che ha suscitato un certo approfondimento negli studi (cfr. voce in questo Dizionario).
Oltre a Giuseppe, però, anche Amedeo (battezzato nel 1526, morto tra il 1588 e il 1591) e Giovanni Paolo (molto più giovane, essendo stato battezzato nel 1541, già morto nel 1609) sono ricordati nelle fonti come pittori. Tra i vari documenti noti, si segnala in particolare quello del 28 nov. 1579, con il quale i tre figli di Gerolamo acquistarono dalla vedova di Giorgio Tizzoni una casa con orto antistante la piazza detta dei Tizzoni: il prestigio della famiglia venditrice induce a ritenere questa una tappa molto importante nell'ascesa della famiglia entro il contesto sociale vercellese (Gaudenzio, p. 190).
Giuseppe fu il maestro che, nell'ambito della più giovane generazione, rivendicava la priorità nel custodire i disegni che costituivano l'irrinunciabile patrimonio tramandato dalla famiglia.
Lo si vede bene in un documento del 27 genn. 1583, con il quale si giunse alla divisione dei beni, lasciati dal padre Gerolamo, tra Giuseppe, Amedeo e Giovanni Paolo. Giuseppe si riservò la parte più cospicua in quanto "fratello magiore et più esperto nel arte et col industria sua ha guadagnato la magior parte delle facoltà delle quali esso messer Paolo chiede la divisione". Egli volle anche "i dissegni di loro arte", "facendosi però la dovuta descritione di quelli et inventaro et di quali nondimeno ciascun d'essi fratelli etiamdio durante la vitta d'esso messer Giuseppe se ne possi ad ogni richiesta prevalere ed aggiutarsi […] et finita la morte d'esso messer Giuseppe[…] s'abbiano detti dissegni a partire fra detti messer Amadeo e messer Paulo se saranno tra vivi, altramente tra luoro heredi per metà ciascuno et per stirpe" (Schede Vesme, p. 1350).
La contrapposizione per la suddivisione dei beni paterni doveva vedere Giuseppe e Amedeo da un lato, Giovanni Paolo dall'altro: lo si evince non solo dalle clausole ora citate, ma anche dal testamento di Giuseppe il Giovane del 18 ott. 1587, in cui egli lascia erede dei suoi beni il fratello Amedeo col quale - viene precisato - aveva sempre convissuto (ibid., p. 1351). I rapporti qui richiamati hanno fatto ritenere possibile una collaborazione dei fratelli nelle opere che si raccolgono intorno al nome di Giuseppe.
Fonti e Bibl.: G. Colombo, Documenti e notizie intorno agli artisti vercellesi, Vercelli 1883, p. 310; G.B. Morandi, I G. (Notizie e documenti), in Arch. della Società vercellese di storia e d'arte, II (1910), 4, pp. 278-291; N. Gabrielli, Galleria Sabauda. Maestri italiani, Torino 1971, p. 140; Gaudenzio Ferrari e la sua scuola. I cartoni cinquecenteschi dell'Accademia Albertina (catal.), a cura di G. Romano, Torino 1982, pp. 91-122, 190; S. Ghisotti, ibid., p. 123; C. Mossetti, ibid., pp. 146-148; Schede Vesme. L'arte in Piemonte, IV, Torino 1982, pp. 1293 s., 1333-1364; G. Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari e gli inizi di Bernardino Lanino. Testimonianze d'archivio e documenti figurativi, in Bernardino Lanino e il Cinquecento a Vercelli, a cura di G. Romano, Torino 1986, pp. 14-62; R. Sacchi, Bernardino Lanino in Lombardia, ibid., pp. 121-162; P. Astrua, in Pinacoteca di Brera. Scuole lombarda, ligure e piemontese 1535-1796, Milano 1989, pp. 74-77 (scheda 29).