RAVIZZA, Giovita
RAVIZZA (Rapicius), Giovita. – Nacque a Chiari (Brescia) il 15 febbraio 1476. La famiglia del padre, di cui si ignora il nome, era di umili origini e risiedeva a Chiari almeno dal XIII secolo. La madre si chiamava Elena Ravania; come specificato nel proprio testamento, ebbe un fratello e una sorella, Lorenzo e Bona.
Nonostante le ristrettezze economiche, il padre provvide a farlo studiare presso la scuola di Giovanni Olivieri, che a Chiari teneva lezioni di latino e greco. Del maestro divenne parente, sposando Antonia di Ottolino Olivieri (fratello di Giovanni), presso la cui casa – in «contrada de Zeveto» – visse almeno dal 1498, dopo aver risieduto a Pompiano (Archivio di Stato di Brescia, Notarile, filza 421, 30 giugno 1498). Da Antonia, oltre a una dote di 500 lire bresciane e sette piò di terra, ebbe sicuramente tre figli (Eleuterio, Paolo e Marta); incerta invece è l’esistenza di un ulteriore figlio di primo letto di nome Giulio o Giuliano.
Dopo aver completato gli studi, venne assunto da Olivieri in veste di ripetitore, con un salario di 30 ducati annui, passati a 45 quando sostituì il maestro defunto nel 1497. A due anni di distanza si trasferì a Caravaggio, borgo in cui insegnò grammatica per circa un decennio e dove compose, nel 1505, un’orazione per la partenza del podestà Gaspare Cornaro, rimasta in forma manoscritta con il titolo De praetura optime atque integre administrata (Chiari, Biblioteca Morcelliana, L. Ricci, b. 11, Notizie di scrittori clarensi, cc. 154r-156v).
Nel 1508, grazie probabilmente all’intercessione di Paolo Zanchi, ricevette l’importante condotta di docente pubblico a Bergamo – carica ricoperta in precedenza da Giovanni Battista Pio – con una retribuzione annua di 75 ducati; il suo contratto venne poi rinnovato, con migliori condizioni economiche, nel 1511 e nel 1518. Alle sue lezioni, tenute probabilmente all’interno della cappella Colleoni, parteciparono eminenti rampolli del patriziato bergamasco e futuri letterati di una certa fama, tra i quali Gian Girolamo Albani, Alessandro Allegri, Bartolomeo Pellegrini, Guglielmo Grataroli e i figli di Paolo Zanchi.
A Bergamo creò solidi legami con i magistrati e gli intellettuali locali, facendosi apprezzare non solo per le sue doti di maestro, ma anche di raffinato oratore. Durante l’occupazione franco-ispano-imperiale della città compose due orazioni funebri, la prima per il governatore Gastón de Valencia (1510), la seconda per l’umanista bresciano Giovanni Taverio (1515), al quale dedicò inoltre un’elegia di 21 versi (Chiari, Biblioteca Morcelliana, L. Ricci, b. 11, cc. 184r-194v). Nel 1520, dopo la ricomposizione del dominio veneziano, tenne un discorso al matrimonio tra Margherita Albani e il cavaliere pavese Giacomo Fornario; nello stesso anno scrisse inoltre un’orazione per la partenza del capitano Nicolò Dolfin e un’altra in morte dell’amico Paolo Zanchi, pubblicata postuma a Venezia nel 1561. Nel 1523 dedicò al Consiglio di Bergamo il manoscritto del suo De modo in scholis servando (ora Chiari, Biblioteca Morcelliana, Armadio mss., D.I.05), celebre trattato pedagogico incentrato sulla conduzione delle scuole pubbliche, che verrà infine dato alle stampe a Venezia nel 1551 (senza indicazioni editoriali), con il titolo De liberis publice ad humanitatem informandis.
Durante la sua residenza a Bergamo – e anche in seguito – corrispose con importanti figure della cultura locale, compresi membri delle famiglie Suardi e Zanchi, il cancelliere nonché storiografo Francesco Bellafino (Kristeller, 1990-1997, pp. 400b, 489b; Carlsmith, 2010, p. 312) e l’umanista di Treviglio Aronne Battaglia de’ Butinoni, presso la scuola del quale studiò uno dei figli di Ravizza, Eleuterio, che premorì al padre e fu sepolto a Padova (Gennaro, 1979, pp. 148 s.).
Nel frattempo altre importanti città della Repubblica di Venezia si mossero per assumere l’ormai noto pedagogo: dopo un primo tentativo nel 1520, il Consiglio di Vicenza convinse Ravizza a trasferirsi nella città per divenire docente pubblico, non prima però del 27 aprile 1524, quando risulta ancora residente a Bergamo, benché «iturus habitare in civitatem Vincentie» (Archivio di Stato di Brescia, Notarile, fz. 1809, ad diem). La decisione di trasferirsi a Vicenza fu dettata anche da un indubbio vantaggio economico: il contratto, che inizialmente prevedeva una retribuzione annua di cento ducati per un totale di tre anni, fu rinnovato per altri cinque, con un aumento di 35 ducati all’anno.
Come a Bergamo, anche a Vicenza Ravizza si conquistò l’ammirazione della cittadinanza, in particolare grazie alla lettura dell’orazione in morte di Polissena, figlia di Sigismondo Isei da Cesena, vicario del podestà, e moglie del cesenate Pietro Attendo, che morì nel 1525 a soli 25 anni. Su invito di Giovan Battista Dragoncino da Fano, Ravizza pubblicò il testo della propria orazione nella raccolta di rime dedicata alla defunta Polissena Attendo, allestita dallo stesso Dragoncino e intitolata Lugubris est titulus lacrimosaque carmina, vates flebilis, urna patet, mors furibunda patet (Venezia, M. Vitali, 1526, cc. 30-39), in cui furono compresi anche componimenti poetici di importanti patrizi vicentini, tra cui Gian Giorgio Trissino e Francesco da Porto (Castellani, 1906, pp. 178-180; Brescia, 2007, p. 63). Dopo aver fatto tumulare i resti mortali del padre nella chiesa di S. Stefano, Ravizza comparve il 25 aprile 1527 davanti al Consiglio di Vicenza, accettando il rinnovo del suo contratto; le istituzioni locali vollero premiarlo ulteriormente l’11 maggio seguente, conferendo a lui e ai suoi discendenti il diritto di cittadinanza.
Dopo una grave malattia che lo colse nel 1529, decise di cercare un incarico meno gravoso. L’occasione giunse a due anni di distanza, quando il Consiglio dei Dieci lo chiamò a reggere la Scuola dei cancellieri di Venezia, con uno stipendio di 150 ducati annui. A Venezia rimase sino alla morte, fatta eccezione per qualche sortita a Brescia, dove – grazie all’intercessione del Consiglio dei Dieci – chiese nel 1537 la cittadinanza (Archivio di Stato di Brescia, Archivio storico civico, reg. 1529, c. 185v, 28 gennaio), ottenendola nel 1538. Il medesimo diritto gli venne invece negato dalla natia Chiari, che tentò a più riprese di opporsi alla ducale del 25 agosto 1537, con cui Ravizza era stato dichiarato esente da ogni imposta reale e personale (Archivio di Stato di Brescia, Archivio storico civico, reg. 1529, c. 185rv). La cittadinanza veneziana gli venne invece concessa nel 1543 (Grendler, 1991, p. 72). A Venezia Ravizza ebbe un figlio illegittimo, Lorenzo Giovio Rannusiano, da tale Paola da Cattaro.
Oltre all’educazione e alla formazione retorica dei giovani cancellieri, negli anni veneziani Ravizza provvide a intensificare la propria produzione letteraria, scritta pressoché esclusivamente in latino. Eccezion fatta per poche rime (epigrammi, satire, egloghe – su cui si veda Kristeller, 1990-1997, ad ind. – e una Paraphrasis in Psalmos Davidis, edita postuma con il De numero oratorio da Paolo Manuzio nel 1554), si dedicò totalmente all’oratoria. Pensata come prolusione per la Scuola dei cancellieri, uscì a Venezia nel 1534, senza indicazione dell’editore, la De aristocratiae Venetae et serenissimi in ea principis Andreae Griti oratio, con dedica al gran cancelliere Andrea Franceschi. Ai suoi studenti presentò, inoltre, il De praestantia earum artium quae ad recte loquendi, subtiliter disputandi et bene dicendi rationem pertinent (Venezia, G. Scoto, 1544). Tra il 1550 e il 1551 compose due ulteriori orazioni, intitolate De labore atque industria e De imitatione maiorum, edite a Venezia rispettivamente nel 1831 e nel 1826; una terza orazione sulla filosofia morale rimane a oggi invece inedita (Chiari, Biblioteca Morcelliana, L. Ricci, b. 11, cc. 140r-145r).
Nel 1551 il Senato aveva stabilito l’apertura di scuole pubbliche in tutti i sestieri, di modo che la gioventù veneziana potesse attendere agli studi. In quest’occasione Ravizza diede alle stampe il De modo in scholis servando, con il nuovo titolo De liberis publice ad humanitatem informandis (Venezia, s.t.).
Morì a Venezia il 16 agosto 1553.
Postumi vennero pubblicati il De thermis quae ad Timavi ostia sunt (Venezia, Giunti, 1553), il testamento (Venezia, T. Giunti, 1554), l’orazione funebre per Paolo Zanchi (Venezia, D. Zenaro, 1561) e soprattutto il suo capolavoro, dedicato all’amico Reginald Pole, sull’arte retorica, il De numero oratorio (la cui princeps venne stampata da Paolo Manuzio nel 1554 e che ebbe varie riedizioni fino al XVII secolo).
Docente stimato per le sue qualità morali, oltre che pedagogiche, Ravizza intrattenne relazioni epistolari con importanti letterati del suo tempo, che gli furono amici, in primis Reginald Pole, Giovan Battista e Paolo Ramusio, Ludovico Alessandrini, Paolo Zanchi, Giovan Battista Egnazio, Tommaso Giunti, Aldo e Paolo Manuzio, Gerolamo Fracastoro e Pietro Bembo. Nel suo testamento istituì erede universale il figlio Paolo e dispose che il suo corpo venisse sepolto a Brescia, nella chiesa dei Ss. Nazaro e Celso.
Fonti e Bibl.: L. Boldrini, Della vita e degli scritti di messer G. R., Verona 1904; G. Castellani, Un opuscolo sconosciuto di Giambattista Dragoncino da Fano. Saggio bio-bibliografico, in La Bibliofilia, VII (1906), pp. 177-191; E. Gennaro, Aronne Battaglia de’ Butinoni, in Bergomum, LXXIII (1979), pp. 145-164; P.O. Kristeller, Iter italicum, V-VI, London-Leiden 1990-1997, ad indices; P.F. Grendler, La scuola nel Rinascimento italiano, Roma-Bari 1991; Ch. Carlsmith, Un progetto di scuola pubblica: G. R. e il “De modo in scholis servando” (1523), in La rivista di Bergamo, n.s., I (1998), 14, p. 52; A.S. Brescia, Amoroso ardore del Dragoncino da Fano. Etiam la parodica vita del Lippotopo, in Nuovi studi fanesi, XXI (2007), pp. 61-92; Ch. Carlsmith, A Renaissance education. Schooling in Bergamo and the Venetian Republic, 1500-1650, Toronto 2010.