Scalvini, Giovita
Letterato e patriota (Botticini, Brescia, 1791 - Brescia 1843), spirito vivace e irrequieto. Lasciò gli studi giuridici per la segreteria di redazione della " Biblioteca Italiana ", nel 1817; ma divenuto amico dei collaboratori del " Conciliatore ", fu arrestato nel 1821. Liberato dopo nove mesi per l'abile e ferma difesa, fuggì con G. Arrivabene e C. Ugoni in Svizzera. Durante diciassette anni fu esule in Svizzera, Germania, Francia, Belgio, Inghilterra. Ospite, con altri fuorusciti, degli Arconati nel castello di Gaesbreck, vi tradusse e commentò l'Urfaust di Goethe, che fece conoscere in Italia. Nel 1831 sentì fortemente il peso della delusione per il mancato intervento francese nei moti italiani. Nel 1839 approfittò di un'amnistia, e tornò a Brescia ove però l'attendevano nuove delusioni.
Oltre al poemetto Il fuoruscito (già designato come L'esule) scrisse numerosi versi, in parte ancora manoscritti alla Queriniana di Brescia. Come critico, oltre alle giovanili e antifoscoliane Considerazioni morali sull'Ortis, lasciò un notevole saggio sui Promessi sposi, e abbondante materiale per lavori sul Manzoni e sul Goethe. Prima di morire affidò le proprie carte al Tommaseo, che ne ricavò un volume di Scritti (Firenze 1860).
Fu ispirato da una vigorosa speranza di rinnovamento morale e nazionale, che egli dapprincipio ravvivò di colori rivoluzionari sotto la guida del Foscolo. All'arte impose fini educativi e, vicino all'idealismo shellinghiano, la concepì romanticamente come " imitazione di un mondo di realtà non contingenti, simbolo di idee eterne, rivelazione dell'infinito ". Venne via via accogliendo l'insegnamento manzoniano.
Legò il suo esemplare della Commedia, annotato a margine, " come memoria " al Tommaseo, il quale incorporò tali note, distinguendole con parentesi, nel proprio commento. Al Foscolo deve lo S. l'idea di D. come pittore (assieme a Omero e Shakespeare) di " costumi eroici e feroci " non ancora corrotti dall' " analisi derivata dalla filosofia ", educato dall'esilio. Mutata la situazione, la Commedia fu " ammirata in alcuna sua parte, ma non penetrata nell'intima sua vita né compresa nel suo tutto; fu considerata come un'opera d'arte in disparte dalla realtà che l'aveva ispirata ". Tuttavia D. (" altissimo poeta, decoro d'Italia ") ha costruito il suo poema " come un tempio gotico ", dove " non vedi muoversi l'uomo; manca il senso di quella libertà che avviva ed agita la vita. Vi è... un non so che di immutabile e di predestinato. Appena respiri un poco nel Purgatorio... Nel Paradiso è una beatitudine che non sai né partecipare né invidiare ". Eppure a D. è riconosciuta grande arte, evidenza e verità. Riconosce lo S.: " Io non ho trovato nulla di più grande né di più terribile della poesia degli ultimi tre canti dell'Inferno ".
Bibl. - G.S., Il fuoruscito, a c. di R.O.J. van Nuffel, Bologna 1961; G. S., Foscolo, Manzoni, Goethe. Scritti editi e inediti, introduzione a c. di M. Marcazzan, Torino 1948; B. Croce, Di G.S., dei suoi mss. inediti e dei suoi giudizi sul Goethe, in " La Critica " XXXVIII (1940), poi in Aneddoti III, Napoli 1942; M. Puppo, G.S. critico romantico, in " Nuova Antologia " ott. 1950 (poi in Studi sul romanticismo, Firenze 1969); R. Zanasi, G.S. e il romanticismo europeo, in " Giorn. stor. " CXXXIX (1962).