GIRAUD [pron. giràud], Giovanni, conte
Commediografo, di nobile famiglia romana che aveva nazionalizzato il suo cognome francese pronunciandolo all'italiana, nato a Roma il 28 ottobre 1776, morto a Napoli il 31 ottobre 1834. Dall'ambiente familiare puerilmente chiuso e gretto in cui trascorse l'adolescenza, si ritrovò giovinetto e poi uomo nella più frivola e disutile società romana della fine del secolo, spettatore delle lotte tra pontefici e invasori francesi. Avverso con eguale animosità ai partigiani degli uni e degli altri, ma genericamente incline alle nuove riforme, intrecciò amori, tentò con varia sorte imprese bancarie a Roma e a Firenze, e sfogò la vena maledica in epigrammi e satire, naturalmente manoscritti a causa della censura, ma che in Roma e più in Firenze gli attirarono odî. Tali poesie, di solito ispirate a personali e sconci pettegolezzi, giunsero talora, specie negli ultimi tempi, ai toni d'una vera e propria satira civile: in ciò, come nella tecnica metrica, egli precorse il Giusti, il quale ne subì evidentemente gl'influssi, al punto che più editori attribuirono per errore al poeta toscano versi del romano. Scrisse anche, prima del Belli, versi in dialetto romanesco.
Ma egli fu soprattutto pregiato come commediografo: di stile tutt'altro che letterario, anzi attinto al parlar comune e non scevro di rozzezze quasi dialettali, salvo l'affettazione e il cattivo gusto di certi tratti patetici; ma d'una forza comica spesso notevole e geniale nell'osservazione di alcuni ambienti e caratteri.
Da principio sacrificò spesso alle mode sentimentali e romanzesche con L'Innocente in periglio (1807), La frenetica compassionevole (1808), L'ingenua ingannata (1808, data a Modena perché in Roma la censura la vietò). A queste s'accompagnarono e seguirono farse, proverbî e scherzi, come La Conversazione al buio, Eutichio e Sinforosa, Il figlio del Signor Padre, Le regalie del capo d'anno, e quei Gelosi fortunati che, riecheggiando labilmente i motivi degl'Innamorati e delle Inquietudini di Zelinda hanno forse contribuito alla tradizionale quanto falsa classificazione del G. fra i commediografi goldoniani. Invece il G. si raccosta ben poco al Goldoni, specie nei suoi lavori più tipici; che sono L'ajo nell'imbarazzo (1807), vera e propria commedia di costumi sociali, in cui il G. rappresentò satiricamente, con un intento civile e morale allora nuovo sulle nostre scene, l'ambiente della famiglia clericale in cui era stato educato Don Desiderio disperato per eccesso di buon cuore (1809), commedia caricaturale, di spensierata e felice vena comica, evidentemente contemporanea dell'allora fiorente opera buffa, e la cui popolarità è durata oltre un secolo; Il sospetto funesto (1809), drammone a forti tinte, ispirato al G. da un tragico caso occorso al noto commediografo marchese Francesco Albergati; e infine il suo miglior lavoro, Il galantuomo per transazione (1833), commedia di tipo ben più molieriano che goldoniano, ancora alquanto ingenua e con echi romanzeschi nell'intreccio, ma tutta concentrata nella rappresentazione d'un carattere classicamente colto e reso con note di saporita verità.
Ediz.: Quella più completa, sebbene assai scorretta e mutilata dalla censura, è Opere edite ed inedite del conte G. . (Roma 1840-1842, voll. 16). Contiene la prefazione autobiografica della prima edizione romana, tutto il teatro, poesie d'occasione e per musica, Il Rompicapo (specie di giuoco cinese con disegni del G.), lettere private, scritti d'economia. Importanti le Critiche e difese, e gli Avvertimenti agli attori che interpreteranno le commedie. Le satire a cura di T. Gnoli (Roma 1904), con uno studio biografico-critico.
Bibl.: Sul G. commed. e sul suo tempo v., oltre allo Gnoli cit., P. Costa, Commedie scelte di G. G., precedute da uno studio critico, Roma 1903.