CORSI, Girolama
Nacque dopo la metà del sec. XV in Toscana, probabilmente a Firenze, dove nel Quattrocento è attestata la presenza di numerose famiglie Corsi. Frequenti sono nella sua opera i riferimenti, in cui la C. rivela nostalgia per il "bel paese", il "bel toscano clima" da cui per tutta la maturità restò lontana. Visse ed operò infatti nel Veneto, tra Venezia e Padova, dove si era recata forse assieme al fratello Iacopo al seguito di Roberto Sanseverino, generale della Repubblica, in una data quindi anteriore al 1487, anno in cui quest'ultimo morì nella battaglia di Calliano. Nella nuova patria contrasse nozze con un uomo di lei assai più anziano, appartenente ai Ramos, famiglia di origine spagnola.
Marin Sanuto, che pubblicò i componimenti della C., ci dà la notizia del casato del marito; una variante del cognome è la forma Ramo tramandataci dal cod. 91 del Seminario di Padova, e ad essa allude anche la stessa poetessa in un sonetto di imitazione petrarchesca "A la bell'ombra del mio antico ramo". La forma Rames, suggerita dal verso conclusivo di un sonetto caudato di Giorgio Sommariva, che tesse le lodi delle virtù morali ed intellettuali della donna, fa pensare ad un condottiero spagnolo, che nel 1499 combatté per i Veneziani in Lombardia e che dimorava a Padova nel 1502; ma non è sicura la sua identificazione come marito della Corsi.
Assai scarse sono le notizie su di lei, per lo più deducibili dalla sua stessa opera, le Rime, raccolte in manoscritto da Marin Sanuto nel 1509. Con una lettera prefatoria il compilatore stesso ci informa dell'esistenza di una precedente silloge risalente a quindici anni prima che egli nella nuova edizione ha accresciuto con l'aggiunta delle rime di successiva composizione donategli dall'autrice stessa.
Concordi sono le attestazioni di stima di esponenti della cultura veneta tra i due secoli; la C. fu celebrata come novella Saffo e il Sanuto espresse la sua ammirazione per "l'armonia del terso e polito dire". Ebbe corrispondenza con personaggi altolocati come Caterinuzza Corner, nipote della regina di Cipro; mentre la sua familiarità con fra' Gasparino Borro, professore di dialettica all'università di Perugia, ci è attestata da un sonetto di risposta. Ebbe inoltre dimestichezza con il mondo delle arti figurative: nelle Rime, infatti, fa menzione (nel sonetto "Ad Iacometum pictorem") di un certo Giacometto, che alternava i colori alla "dolce lira", ed esprime vivo compiacimento per il suo ritratto eseguito dal Carpaccio (sonetto "Quel che l'ingegno suo volse mostrare"), del quale loda soddisfatta la piena rispondenza con l'originale.
La privazione delle sue consuetudini raffinate rese certamente gravoso il soggiorno della C. nel contado di Padova, a cui fu costretta dal marito incomprensivo, se ha un fondamento autobiografico il componimento in cui con appassionata denuncia descrive la propria segregazione.
Non sembra infatti una semplice esercitazione letteraria la barzelletta a dialogo "Io son fatta villanella", in cui secondo lo schema del contrasto di tono narrativo-moraleggiante allora diffuso nel Veneto (che richiama il medievale lamento della malmaritata), la C. esprime il rammarico per la propria sorte. L'uomo tuttavia ribatte ad ogni accusa con implacabili argomentazioni che le tolgono qualsiasi possibilità di "contraditioni". Uno dei motivi più gravi della sua scontentezza è costituito dalla mancanza di una conversazione adeguata: priva di relazioni culturali paventa di imbarbarirsi progressivamente e di esprimersi anche con le "compagne ornate" nell'orrido "pavano" di quel romitaggio. Qualunque sia la condizione biografica rispecchiata in questo componimento, è certo che la donna era attratta da un universo più libero di quello che gli obblighi familiari le potevano offrire. È probabile perciò che abbia coltivato altri amori, che ha verisimilmente adombrato nella sua lirica secondo una cifra che non rende possibile l'identificazione; non è tuttavia da escludere che sia stata amata dallo stesso Sanuto, come pare anche indicare il citato sonetto del Sommariva.
Una sezione cospicua del canzoniere della C. è occupata da liriche amorose, svolte secondo i moduli petrarcheschi diffusi nel Veneto ancor prima delle teorizzazioni del Bembo. Oscillante tra il proposito di restar ferma nella propria onestà e virtù e l'abbandono alla passione travolgente (sonetto "Ad amicum venetum Paduae exsistentem"), la poetessa rivela una discreta conoscenza del lessico e dei topoi della lirica cortese secondo il repertorio di Giusto dei Conti. Ma la tematica della C. si allarga anche fuori dell'ambito amoroso, ora trovando occasioni commemorative (nel sonetto "Per la morte della Regina di Spagna"), ora rivelando una sensibilità per la lirica civile inconsueta alle rimatrici d'amore. La lontananza dalla patria le suggerisce accenti di calda indignazione alla notizia della discesa di Carlo VIII e dell'occupazione di Firenze. In questa circostanza la C. scrisse un sonetto caudato "Pro rege Franciae in Tuscia" risalente al 1494, in cui rivela una forte carica passionale e una padronanza notevole del linguaggio aggressivo e metaforico dell'invettiva politica.
Cinque sonetti e un capitolo sono infine dedicati al fratello Iacopo, il cui assassinio a Roma nel febbraio 1493 fu per la C. motivo di grave cordoglio. Indicato come poeta improvvisatore, di Iacopo ci rimane un breve canzoniere di intonazione petrarchesca che ci fornisce anche ragguagli sul suo soggiorno nell'ambiente della signoria milanese. Ma egli appare di nuovo legato ai Sanseverino nell'epicedio della sorella, la quale esaltò un esponente di questa famiglia (Gianfrancesco o, più probabilmente Galeazzo), incaricatosi di onorare l'estinto (sonetto "Ad tumulum fratris defuncti").
Non possediamo testimonianze che possano permetterci di datare la morte della C., avvenuta sicuramente dopo il 1509, anno della raccolta sanutiana, in cui essa appare ancora in vita.
L'opera della C. è contenuta nel cod. It., cl. IX, 270 (= 6367) della Bibl. naz. Marciana di Venezia, che reca il titolo datogli da A. Zeno, precedente possessore, di Rime di D. Girolama Corsi toscana raccolte da Marino di Lionardo Sanudo nob. ven.;manca tuttavia un'edizione a stampa di quest'opera, che è fatta conoscere da V. Rossi.
Fonti e Bibl.: Di una rimatrice e di un rimatore del sec. XV. G. C. Ramos e Iacopo Corsi, in Giornale storico della letteratura italiana, XV (1890), pp. 183-200. Brevi cenni sull'attività della scrittrice in: G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita, e le opere degli scrittori viniziani, II, Venezia 1764, p. 606; G. Casati, Dizionario degli scritt. d'Italia, II, Milano s. d., p. 201; F. Fiamini, Il Cinquecento, Milano 1902, p. 339.