ALEANDRO, Girolamo
Nacque a Motta di Livenza in Friuli il 13 febbr. 1480; il padre, Francesco, era medico; la famiglia aveva origini nobili, che l'A. difese e rivendicò energicamente durante tutta la vita, soprattutto contro le accuse dei protestanti. Secondo costoro l'A. non solo non era nobile, ma neppure battezzato, essendo di discendenza ebrea. La critica è ormai sostanzialmente concorde nel riconoscere negli Aleandro i discendenti dei conti di Antro (Friuli) e dei marchesi di Pietrapiosa (Istria); la madre dell'A., Bartolomea Antonelli, proveniva dalla famiglia dei Bonfigli di nobiltà veneziana. L'A. iniziò i suoi studi nel 1493 prima nel paese natale e successivamente a Pordenone, Padova e Venezia. Manifestò presto una straordinaria facilità e versatilità nell'apprendere le lingue classiche e orientali, impadronendosi, oltre che del latino, anche del greco, dell'ebraico e poi del siriaco e del caldeo. A Pordenone, nel 1495-96, studiò sotto Paolo Amalteo; trascorse poi un biennio a Venezia e infine nel 1501 fu a Padova. L'intelligenza brillante, l'impostazione umanistica dei suoi interessi (studiò anche medicina), le spiccate capacità filologico-linguistiche lo avvicinarono molto presto ad uno degli ambienti più in vista dell'umanesimo italiano dell'inizio del secolo. Così dal 1503 fu in contatto col Manuzio, entrando a far parte dell'Accademia, che prendeva nome da lui e dal gruppo di studiosi che lavoravano intorno al celebre editore veneziano. Qui rimase, sia pure alternando soggiorni a Padova, sino al 1508, conoscendovi Erasmo da Rotterdam e allacci ando con lui uno dei rapporti più singolari e complessi della storia religiosa e culturale del Cinquecento europeo. il soggiorno dell'A. a Venezia e la sua collaborazione con il Manuzio offrirono infatti l'occasione di una convivenza con l'umanista olandese, pure a Venezia, durante il suo soggiorno italiano.
Nel 1501 era parso che l'A. si avviasse, come tanti, alla carriera ecclesiastica, secondo un costume assai diffuso nel mondo umanistico del Rinascimento italiano. A Venezia infatti era entrato m rapporto con il nunzio apostolico, il vescovo Angelo Leonini. Questi fu il tramite per stabilire un primo rapporto di dipendenza con la corte di Alessandro VI. Non si sa se l'iniziativa fosse partita dal nunzio o dall'A.; certo è che il fatto di essere entrato al servizio del papato proprio sotto il pontificato del Borgia fu ripetutamente rinfacciato all'A. negli anni successivi, durante la polemica senza esclusione di colpi con i protestanti. Anzi costoro non ebbero scrupolo di sostenere che l'A. era stato assegnato da Alessandro VI al servizio del duca Valentino, come segretario. Effettivamente vi fu un proposito in tal senso, ma il progetto non fu mandato ad effetto causa un'improvvisa missione, di carattere finanziario, che fu necessario sfidare all'Aleandro. Questi fu cioè inviato in Ungheria per consegnarvi per conto del papa un'ingente somma di denaro, destinata a finanziare la lotta antiturca. Tale missione fu travagliata dal sopravvenire di una malattia (morbo gallico? cfr. Omont, Journal autobiographique...,pp. 9, 38), una delle molte che afflissero durante tutta la vita il fisico debole e gracile dell'A., al termine della quale egli preferi ritornare ai propri studi piuttosto che riprendere la carriera ecclesiastica, che forse, nelle prime battute, non gli aveva dato le soddisfazioni morali e materiali che si era proposto di conseguire.
Certo valse a trattenerlo a Venezia negli anni successivi il crescente successo negli studi, il rapporto stabilitosi con il Manuzio ed il suo ambiente, uno dei più brillanti e autorevoli della "repubblica delle lettere"in questo periodo, e forse anche la scomparsa di Alessandro VI. Non si può negare attendibilità alle fonti, soprattutto a quelle di parte erasmiana, che testimoniano lo spiccato desiderio di carriera, di successo e di guadagno che l'A. ebbe ripetutamente a manifestare, indubbiamente stimolato dall'apprezzamento e dall'eco incondizionatamente favorevole della sua preparazione filologico-umanistica. Questa fu certamente una delle componenti determinanti della decisione che l'A. prese, all'inizio del 1508, di lasciare Venezia e l'Italia per passare in Francia, a Parigi. Dal punto di vista dello sviluppo degli studi la decisione era in aperto contrasto con l'indiscussa superiorità che ancora all'inizio del Cinquecento avevano gli studi classici in Italia in confronto a qualsiasi altra nazione europea. Tanto èvero che, una volta a Parigi, l'A. dovette servirsi sistematicamente dei testi pubblicati a Venezia e poté cogliere uno straordinario successo, anche in virtù dello stato ancora molto arretrato degli studi classici m quel paese.
Per Parigi ottenne da Erasmo una serie dl lettere di presentazione, non sappiamo se dietro sua richiesta o per iniziativa di Erasmo stesso, che potrebbe avergli suggerito il viaggio. Si apri così il periodo francese della sua vita di studio e di insegnamento, che durò complessivamente dal 4 giugno 1508 sino al 4 dic. 1513. Durante tali anni rimase sempre a Parigi, salvo un intervallo di sei mesi trascorsi ad Orléans (10 dic. 1510-14 giugno 1511), a causa della peste che infieriva nella capitale. Iniziò il suo insegnamento parigino privatamente, per poi passare a tenere corsi pubblici presso la celebre università con una partecipazione larghissima di pubblico eletto ed un successo incondizionato che fece di lui il pioniere degli studi umanistici in Francia, il rappresentante riconosciuto del mondo umanistico italiano, cui si guardava con venerazione, e il fondatore di un insegnamento rigoroso della lingua greca. Tale posizione lo mise in contatto con il meglio degli ambienti francesi, con i quali però l'A. sembra aver avuto rapporti di prestigio più che di simpatia e collaborazione. Egli accentuava l'aspetto filologico degli studi umanistici, mentre da parte francese (si pensi per tutti a Lefèvre d'Étaples) si sottolineava soprattutto l'aspetto spirituale dell'inquietudine culturale.
Pochi mesi dopo l'arrivo a Parigi l'A. figurava in possesso del baccellierato e della licenza in arti; nel 1511 ottenne il dottorato.
Infine, secondo il suo maggior biografo, nel maggio del 1509 ricevette la tonsura e forse anche gli ordini minori, per essere in grado di poter ottenere benefici ecclesiastici.
La popolarità e l'autorevolezza acquisita durante gli anni di insegnamento misero l'A. in una posizione di grande rilievo, tanto che il 4 febbr. 1512 fu eletto come rappresentante della facoltà di arti al concilio scismatico di Pisa, fatto che lo mise in evidente imbarazzo, dato il desiderio di non avere parte attiva in un'iniziativa che divideva la cristianità e, a suo parere, era già destinata al fallimento; ebbe peso anche la preoccupazione di non porsi in cattiva luce presso la Curia romana, che osteggiava il conciliabolo. Dopo tre giorni di incertezza rifiutò l'elezione, ma non poté sottrarsi alla fine di febbraio alla nomina in una commissione dell'università incaricata di esaminare l'ortodossia dell'Auctoritas papae et concilii sive Ecclesiae comparata, scritto dal teologo domenicano Tommaso de Vio (Caietano) in polemica con il concilio di Pisa. Anche in questa occasione poté sottrarsi ad una presa di posizione precisa perché la commissione non riuscì a concludere i suoi lavori prima che il conciliabolo si sciogliesse. Questi atteggiamenti evasivi dell'A. non nocquero alla sua autorità, tanto che meno di un anno dopo (13 marzo 1513) fu eletto rettore dell'università per il trimestre 23 marzo-16 giugno 1513; fu l'unico italiano che ebbe tale carica dopo Marsilio da Padova (1312). Nei mesi del suo rettorato si adoperò per disimpegnare l'università nei confronti del conciliabolo, ormai definitivamente fallito. Oltre che all'insegnamento e alla vita accademica, l'A. durante il soggiorno parigino si dedicò largamente a promuovere la stampa di testi classici, soprattutto in lingua greca, per la quale pubblicò anche una grammatica da lui stesso composta, che indica bene la natura essenzialmente divulgativa e didattica dell'opera che egli svolse in Francia.
Insoddisfatto per gli scarsi proventi economici derivanti dall'insegnamento, alla fine del 1513 l'A. decise di passare ad una attività più redditizia e non gli fu difficile, utilizzando le conoscenze e la fama che si era fatta, assumere il ruolo di segretario del procancelliere di Francia, il vescovo di Parigi, Etienne Poncher, a partire dal 4 dic. 1513. Svolse tali mansioni giusto per un anno, sino al 9 dic. 1514, quando decise di passare ai servizi del principe-vescovo di Liegi, lamentando che il Poncher non aveva mantenuto le promesse fattegli di conferirgli alcuni pingui benefici. L'intraprendente ed autorevole vescovo di Liegi, Erard de la Marck, era impegnato in un'ampia lotta per la ricostituzione dei suoi domini e pensò di valersi del versatile umanista italiano come cancelliere e segretario. Assicurò all'A. non solo un buono stipendio, ma tutta una serie di benefici (dignità capitolare a Liegi, prevostura di S. Pietro e S. Giovanni pure a Liegi, cancellierato del capitolo cattedrale di Chartres e altri minori), che già alla fine del 1515 assicuravano un'entrata annua di 1000 franchi. Nella vita dell'A. fu decisiva la preoccupazione del suo signore di ottenere il cappello cardinalizio; questi lo inviò alla metà del 1516 (17 giugno) a Roma come proprio agente.
Dopo otto anni di assenza l'A. rientrava in Italia non solo con il patrimonio di una esperienza vasta e multiforme, ma anche con la fama dei suoi successi parigini e una buona posizione ai servizi di un signore potente. Nella Roma di Leone X non era difficile per un uomo come l'A. farsi strada, sia in virtù della personalità d'umanista, sia per l'esperienza di cose dell'Europa del nord, tanto rara nei curialisti italiani, e che diventerà sempre più uno dei fattori determinanti degli incarichi affidatigli. Anzi, egli stesso ebbe a ricordare anni dopo di aver fatto presente a Leone X, già nel 1516,al suo arrivo, il minaccioso stato di fermento e di astio antiromano che serpeggiava nei paesi al di là delle Alpi. Diciotto mesi dopo il suo rientro in Italia l'A. poté avviare una nuova sistemazione, che gli avrebbe permesso di rendersi autonomo dal la Marck e di entrare definitivamente negli uffici curiali. Infatti con l'aiuto di Alberto Pio da Carpi entrò al servizio del cardinale Giulio de' Medici, congiunto del papa, come uno dei segretari (2 dic. 1517). Questo passo suscitò le rimostranze del vescovo di Liegi, il quale cercò anche di mettere in difficoltà l'A. chiedendogli di rendere conto delle ingenti spese di rappresentanza rimborsategli (Cauchie-Van Hove): tutto comunque si appianò per l'intervento sia del cardinale sia di Alberto Pio e l'A. mantenne anche la rappresentanza del la Marck sino all'elevazione di quest'ultimo al cardinalato (5 ag. 1520). Negli anni che seguirono l'A. ebbe modo di consolidare da tutti i punti di vista la propria posizione ottenendo nel 1519 (27 luglio) di succedere a Zanobi Acciaiuoli come bibliotecario della Palatina, l'antica biblioteca vaticana. Passione umanistica e uffici curiali si fondevano così in un modo molto conveniente. Durante questo primo periodo di soggiorno romano l'A. allacciò anche relazioni moralmente sconvenienti per un ecclesiastico, dalle quali ebbe vari figli; di essi gli sopravvisse uno solo, Claudio, nato nel 1521, durante una delle sue assenze da Roma (Omont, p. 42).
Tale situazione continuò sino al 1520, quando fu deciso di incaricare l'A. della pubblicazione e dell'esecuzione in Germania della bolla Exurge Domine,che conteneva la condanna di Lutero. Da questo momento la vita dell'A. s'intreccia inestricabilmente con la lotta della Chiesa cattolica contro il luteranesimo: egli si trova inserito con ruolo di protagonista in un evento storico di enormi dimensioni. Fu la grande occasione e la grande battaglia della sua vita, in cui ebbero modo di manifestarsi le sue doti, indubbiamente non comuni, ma insieme anche i limiti gravissimi della sua personalità. Questa prima grande missione dell'A. in Germania, dopo l'attività svolta nei Paesi Bassi per l'applicazione della condanna e il lavorio diplomatico per predisporre favorevolmente i principi tedeschi, culminò nella dieta di Worms, alla quale egli si presentò col rango di nunzio straordinario. L'A. vi persegui con tenacia e abilità, malgrado l'ambiente in parte ostile, lo scopo di ottenere l'accettazione della condanna pontificia delle dottrine di Lutero e l'approvazione del bando imperiale contro l'eretico. A tal fine tenne l'abile discorso del 13 febbr. 1521 e formulò il testo di quello che divenne solennemente, il 26 maggio dello stesso anno, l'editto di Worms. Terminata la dieta egli rrmase presso l'imperatore seguendolo nei Paesi Bassi, dove riprese l'opera di repressione dell'eresia. Vi rimase sino alla morte di Leone X, che portò con sé automaticamente la sua decadenza dalla nunziatura e dall'ufficio di bibliotecario della Palatina. Durante questa prima missione antiluterana (dispacci in Balan, Brieger, Kalkoff, cfr. Schottenloher, Bibliographie...) l'A. formulò il proprio giudizio sulla Riforma che poi mantenne e che ispirò tutta la sua azione successiva. Sostanzialmente egli colse solo l'aspetto istituzionale, sociale ed eversivo del luteranesimo e dei consensi che esso suscitava, mentre non ebbe mai chiara la dimensione religiosa del fenomeno, nè tanto meno seppe coglierne i fermenti positivi. Secondo tale modo di vedere condusse sempre ogni azione sul piano politico, convinto che una certa politica ecclesiastica (fermezza di Carlo V, appoggio incondizionato del papa a questo, eliminazione degli abusi curiali più scandalosi) potesse bastare a risolvere la grave crisi religiosa in corso. Non si convinse perciò che molto tardi della necessità del concilio e contribui invece a fare di tale questione un puro elemento di pressione politica (Jedin).
Eletto papa Adriano VI, allacciò subito contatti con l'Enckevoirt, poi cardinale, e alla fine del febbraio 1522 s'imbarcò a Calais per la Spagna, dove si trovava ancora il nuovo papa. Giunto a Saragozza il 24 apr. 1522 ebbe modo di incontrare poco dopo Adriano VI, del quale lo colpirono e preoccuparono l'austerità e la resistenza a concedere favori. Ciononostante poche settimane dopo ne ebbe un canonicato e una prevostura a Valenza (22 giugno 1522); alla fine d'agosto rientrò a Roma al seguito del papa. Ebbe la conferma a bibliotecario, ma poi una malattia lo tenne lontano dalla cosa pubblica nello scorcio del pontificato di Adriano. Con l'elezione di Clemente VII la fortuna dell'A. sembrò toccare l'apice. Era il suo antico signore, il cardinale Giulio, che saliva alla Cattedra di Pietro. Fu in questo periodo che egli conobbe alcuni degli ecclesiastici più seri e impegnati nel tentativo di promuovere una riforma della Chiesa dall'interno. Segnatamente si legò con rapporti di notevole intensità con il Giberti, prima datano di Clemente e poi vescovo riformatore a Verona, e con Giampietro Carafa, arcivescovo di Brindisi e poi cardinale e papa, nonché fondatore dei teatini con S. Gaetano da Thiene. Subì indubbiamente il fascino e l'influsso dell'ardente entusiasmo religioso del Carafa, come testimoniano con sicurezza la resignazione che il Carafa fece a favore dell'A. della diocesi di Brindisi (8 ag. 1524) e il fatto che questi fu ordinato sacerdote (9 ott. 1524) dallo stesso Carafa. La notizia, secondo la quale in tale occasione l'A. avrebbe anche ricevuto la consacrazione episcopale (Omont, p. 5), è contraddetta da un documento da cui risulterebbe, in data 28 ag. 1528, la concessione di una proroga proprio del termine entro il quale ricevere la consacrazione (Eubel, p. 142). Non è facile essere del tutto sicuri nell'affermare col Paquier che si trattasse di una "conversio morum". Tanto più che l'A. dovette subito lasciare Roma, non per recarsi in diocesi, ma per incontrare Francesco I di Francia presso il quale era stato nominato nunzio per la pace (8 ag. 1524). Raggiunse il sovrano in Piemonte all'inizio dell'anno successivo, e durante la battaglia di Pavia fu fatto prigioniero dai lanzichenecchi, ottenendo la libertà solo dietro il pagamento di un riscatto. Rientrato a Roma nell'agosto del 1525, dopo brevi soggiorni alla Motta e a Venezia, vi riprese i contatti con il Carafa e il Giberti, ad opera del quale sollecitò il permesso del papa per andare in diocesi; sembra che in questo periodo imparasse a celebrare la messa (Omont, p. 47). Le sue condizioni economiche poco fonde peggiorarono col saccheggio da parte dei Colonna della sua residenza romana, nel settembre del 1526 (dopo che si era parlato, invano, all'inizio del 1526 di dargli la diocesi di Torcello).
Poco prima del Sacco di Roma, l'8 marzo 1527 (Omont, p. 52) lasciò la città per il suo arcivescovado di Brindisi. Purtroppo lo stato particolarmente arretrato degli studi su questo periodo della sua vita, per altro breve, non consente di conoscere i particolari dei due anni che l'A. trascorse nell'Italia meridionale. Sulla base del suo diario si dovrebbe concludere che col pretesto della peste non sia mai entrato a Brindisi, lin'ìitandosi a sostare nei dintorni esplicando una tiepida attività di governo, in attesa di un richiamo da Roma (Omont, p. 60 ss.). Per l'amministrazione spirituale e temporale della diocesi si valse di un vicario che teneva particolarmente caro (Nunziature di Venezia,pp. 133 e 153), il domenicano Antonio Beccari, vescovo di Scutari.
Alla metà del 1529 (8 ag.) Clemente VII, in vista degli incontri con Carlo V, con cui avrebbe discusso della questione tedesca e del concilio, decise di utilizzare il consiglio del suo antico segretario e lo richiamò a Roma. Già all'inizio del pontificato l'A. aveva presentato al papa due memorie sulla questione tedesca. in cui illustrava la necessità di provvedimenti di natura amministrativa per la riforma di alcuni aspetti dell'organizzazione curiale. Questo orientamento era profondamente omogeneo con quello degli ambienti di Curia e, in fondo, con le convinzioni del papa tanto da indurre costui ad inviare nuovamente nel 1531 l'A. come nunzio presso l'imperatore con l'incarico di fiancheggiare la missione del cardinale L. Campeggi, mandato alla dieta di Ratisbona come legato a latere. In questa occasione egli si dimostrò meno resistente all'idea di convocare un concilio ecumenico, ma fu molto cauto nel manifestare tale orientamento nel timore dell'ostilità della Curia, ove prevaleva sempre la massima diffidenza contro il concilio. Purtroppo i dispacci di questa missione sono gli unici non ancora editi. Questo incarico gli fu revocato alla fine del 1532 invista del nuovo incontro del papa con Carlo V. Al suo rientro fu nominato, con i cardinali Farnese, Campeggi e Cesi, in una commissione creata da Clemente VII per lo studio dei problemi relativi al concilio; in questa occasione redasse un promemoria dal titolo An expediat hoc tempore celebrare concilium an non (Concilium Tridentinum, XII, pp. 77-82).
Terminato l'incontro diplomatico di Bologna, l'A. si recò direttamente a Venezia per prendere possesso di quella nunziatura, alla quale era stato nominato l'8 marzo 1533, mentre si era già parlato di destinarlo a tale incarico sin dall'inizio dell'anno precedente.
Rimase in tale ufficio sino al 14 ag. 1535, conducendo gli affari politici ed ecclesiastici con molta abilità e stimolando la Serenissima ad un atteggiamento intransigente verso le infiltrazioni eretiche. Alla metà del 1533 aspirò ad ottenere, in cambio del lontano arcivescovado di Brindisi, la vicina diocesi di Ceneda, esprimendo il desiderio di poter cosi continuare l'attività pastorale, altrimenti impedita dalla lontananza; il papa non esaudì questo desiderio, con notevole disappunto del Meandro. Si deve tenere presente che in questo periodo era a Venezia anche il Carafa e può darsi che fosse lui a riaccendere nell'A. il desiderio di adempiere ai propri doveri episcopali.
Più volte la cattiva salute indusse l'A. a prospettare l'ipotesi di un proprio richiamo, che di fatto si verificò solo nell'autunno del 1535, parecchi mesi dopo che il nuovo papa, Paolo III, l'aveva invitato a Roma (23 nov. 1534) perché si occupasse degli affari del concilio.
L'A. era ormai tra i curiali di più larga esperienza sia per gli incarichi ricoperti, sia per i rapporti allacciati e per autorevolezza nel mondo degli studi. Il primo a sapere tutto ciò era proprio l'interessato, il quale non ebbe difficoltà ad esprimere la propria delusione all'indomani della creazione cardinalizia del 1535 per esserne stato escluso. L'ambizione che lo aveva spinto lontano dalla Motta era ancora ben viva e lungi dallo spegnersi. Rientrato comunque a Roma, fu incaricato nell'aprile del 1536 di preparare, insieme con altri esperti di cose tedesche, come il Rangone e il Vergerio, il testo della bolla di convocazione del concilio a Mantova. Effettivamente la bolla Ad Dominici gregis curam del 2 giugno 1536 fu compilata sulla base della bozza dell'Aleandro. Pochi mesi più tardi, nel luglio, il cardinale Contarini chiese ed ottenne da Paolo III che l'A. facesse parte della commissione generale di riforma convocata a Roma. Non è facile determinare con esattezza il motivo di questo interessamento del Contarini verso l'A., che certo non può essere considerato un membro della corrente di riforma che faceva capo al cardinale veneziano. È più probabile che in questo modo il Contarii sperasse di utilizzare la conoscenza diretta del mondo tedesco dell'A. e di averne un aiuto per superare l'intransigenza antiriformatrice degli ambienti curiali. Opportunamente l'A. è stato ritenuto (Kalkoff e Jedin) un riformatore puramente intellettuale, desideroso solo, cioè, di vedere realizzate alcune modifiche delle frange più scandalose dell'ordinamento curiale, per togliere un argomento polemico di grande forza dalle mani dei protestanti, ma senza un'autentica ispirazione religiosa. Contro l'aspettativa generale, Paolo III non comprese l'A. neppure nella creazione cardinalizia del 22 dic. 1536: effettivamente in tale data egli fu riservato in pectore, ma la riserva fu sciolta solo un anno e mezzo dopo, il 18 marzo 1538, quando fu pubblicato col titolo di S. Ciriaco. Da questo momento l'A. fu presente in tutte le iniziative relative al concilio e alla riforma della Chiesa con un ruolo di primo piano.
I lavori della commissione di riforma, cui Paolo III aveva attribuito tanta importanza e che raccoglieva i più qualificati esponenti della riforma cattolica (Carafa, Pole, Sadoleto, Fregoso, Giberti, Cortese e Badia) si conclusero alla fine del febbraio 1537 con la redazione del famoso Consilium de emendanda Ecclesia (Concilium Tridentinum, XII, pp. 131-145), che fu presentato solennemente al papa alla presenza di tutti gli estensori, come testimoniano alcuni appunti dello stesso A. (Friedensburg, Zwei Aktenstücke...). Non si sa invece nulla sulla parte avuta dall'A. nella compilazione del documento. Nello stesso 1537 ebbe ad occuparsi in particolare della riforma della Dataria, sottoscrivendo a riguardo una proposta nota come Consilium Quatuor delectorum a Paulo III super reformatione S. R. Ecclesiae (Condlium Tridentinum, XII, pp. 208-215), insieme al cardinale Contarini, al Carafa e al Badia. Sul problema del concilio redasse, sempre nel 1537, due pareri per Paolo III in cui illustrava le due alternative dell'apertura immediata del concilio a Bologna o di una proroga (Concilium Tridentinum, XII, pp. 119-131). In entrambe comunque era dominante la convinzione che ormai il concilio fosse esclusivamente una questione interna cattolica e non lo strumento supremo per la salvaguardia dell'unità della Chiesa. Posizione che forse anticipava lo sviluppo degli eventi successivi, ma che, accanto alla lucidità politica, non testimoniava altrettanta sensibilità per i problemi religiosi che dividevano la cristianità.
La pubblicazione della sua elevazione al cardinalato fu determinata dalla decisione di Paolo III di comprenderlo tra i legati cui sarebbe stata affidata la presidenza del concilio, che sembrava ormai imminente. Infatti, quindici giorni più tardi, il 28 marzo 1538, fu nominato terzo legato al concilio convocato a Vicenza. Fallita la convocazione del 1538, Paolo III lo inviò direttamente a Vienna con il compito di sorvegliare i tentativi di unione con i protestanti promossi dall'imperatore e da suo fratello; nessuno meglio dell'A. poteva dare garanzie assolute di intransigenza. Questa terza missione tedesca si concluse senza risultati (Nuntiaturberichte,1-3 e 4), sebbene fosse scaturita da un'intesa tra Paolo III e l'imperatore di esperire un nuovo tentativo di risoluzione pacifica della controversia religiosa. Confermata la convocazione del concilio, il papa rinnovò la nomina dei legati tra i quali era compreso nuovamente l'A. (21 apr. 1539). Ciò pose fine alla missione in Germania e riportò in ottobre l'A. a Roma. L'anno successivo fu dedicato in gran parte agli studi per la riforma interna dei vari Settori della Curia romana e l'A. fu invitato dal papa a seguire il lavoro di tutte le commissioni a ciò deputate, oltre a far parte di quella relativa alla Cancelleria. Quando si proffiò la convocazione della dieta di Ratisbona si fu incerti se inviarvi il Contarini o l'A., poi si decise per il primo, anche a causa delle cattive condizioni di salute dell'altro. Poco dopo l'A. fu preposto, col Carafa, all' Inquisizione romana che si voleva rendere più efficiente e severa. Il 30 genn. dello stesso 1541 egli aveva resignato a Brindisi a favore del nipote Francesco; un anno dopo sopravvenne la morte, l'1 febbr. 1542 a Roma.
Non tutti gli aspetti della personalità e dell'opera dell'A, sono stati ancora esaurientemente chiariti. A ciò potranno provvedere in parte nuove ricerche, mentre in parte si tratta di ombre e di contraddizioni insite nella natura e nel carattere stesso dell'uomo. Una delle componenti ricorrenti dell'azione dell'A. fu quella relativa all'essersi formato nell'alveo della tradizione dell'umanesimo classico letterario italiano. La sua instancabile polemica contro Erasmo, che peraltro lo corrispondeva con eguali sentimenti, fu uno degli aspetti più singolari e significativi del modo in cui l'A. visse la sua vocazione e le sue convinzioni umanistiche. Il suo antierasmismo si appoggiò ad un tempo alla generica diffidenza e incomprensione degli umanisti italiani per lo spiritualismo, l'evangelismo, se si vuole, del monaco olandese e alla disapprovazione per l'atteggiamento esitante ed ambiguo tenuto a lungo da Erasmo prima di prendere la via dell'opposizione a Lutero. Da queste posizioni fu fin troppo facile per l'A. accusare Erasmo di essere il precursore e l'ispiratore di Lutero, e addirittura l'estensore di opere apparse col nome di quest'ultimo. Era inevitabile che, partendo da posizioni essenzialmente culturali e da una incomprensione delle tensioni religiose sottese alla rivolta protestante, l'A. non cogliesse che le connessioni parziali tra l'erasmismo e il luteranesimo, spingendoli l'uno verso l'altro invece di cercare di dividerli. L'incapacità di vedere tutte le dimensioni e tutti gli aspetti della crisi, che era essenzialmente crisi religiosa, è la spiegazione più esauriente dell'insuccesso della linea seguita pur con tanta tenacia ed abilità dall'A. nei confronti del protestantesimo. Egli si mosse nella convinzione che tutto potesse essere risolto sul piano della politica ecclesiastica e condusse perciò un'azione che rimase completamente estranea al nucleo più vero del problema. L'uso che egli fece nei confronti di Lutero di espressioni come "ladro, assassino, mostro, drago, pazzo, cane" non fu solo una concessione ai modi polemici del suo tempo, nia èanche una testimonianza del punto di vista dal quale l'A. giudicava l'uomo e il movimento che faceva capo a lui. In sostanza l'A. "vide solo la sommossa contro l'ordine vigente e la cieca avidità dei beni ecclesiastici, non avverti il filone argenteo della pietà genuina anche se deviata, che correva parallelamente al movimento luterano" (Jedin, I, p. 174).
Della posizione dell'A. di fronte al problema del concilio si è già detto e così pure per quanto riguarda la riforma della Chiesa, che egli concepi soprattutto limitata alla correzione degli abusi più vistosi ed intollerabili. Resta però il fatto del suo crescente rapporto di simpatia col gruppo dei riformatori cattolici che faceva capo al Contarini e al Carafa, rapporto che non è stato ancora definitivamente chiarito. Altrettanto si dica del suo impegno nella cura pastorale, anche se il soggiorno in diocesi fu troppo breve, nè risulta che l'A. se ne rammaricasse particolarmente. È difficile dire sino a che punto queste diverse manifestazioni dell'opera dell'A. fossero l'espressione immediata del suo carattere. Soprattutto dal suo diario si ha notizia di mancanze morali gravi e delicate, che, pur essendo frequenti in quel tempo, anche in uomini, ed ecclesiastici della sua levatura, sono non di meno una componente non trascurabile della personalità, che suggeriscono di usare cautela nel parlare di "conversio morum", anche se la constatazione delle conseguenze della corruzione ecclesiastica in Germania dovette indurlo a serie riflessioni sullo stesso piano personale. Comunque, nel testamento, ad esempio, nominò il figlio Claudio, debitamente legittimato, erede di metà delle sue sostanze (Omont, pp. 101 ss.). Si è sostenuto pure, da una parte della critica più recente, ricalcando antiche accuse, che l'A. non ebbe una autentica sensibilità religiosa (Renaudet): in tale senso stanno gran parte dei suoi atteggiamenti e della sua attività, ma non si può escludere che nell'ultima parte della sua vita, la quale è quella meno conosciuta, abbia risentito del contatto con la religiosità autentica di uomini come il Contarini e il Carafa ed anche dell'evoluzione che in questo senso cominciò a manifestarsi nella parte più avvertita dell'ambiente curiale, come sta a testimoniare pure il fatto che l'A. annotasse nel proprio diario, alla vigilia della partenza da Roma per Brindisi, la partenza avvenuta qualche mese prima del curialista Tommaso Campeggi per la rispettiva diocesi di Feltre, spintovi anch'egli dal Carafa.
Iconografia: Un buon ritratto dell'A. è in una stampa di Agostino di Musi, conservata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. Vat. Lat.5234.
Scritti: Si veda l'elenco dettagliato sia di quelli editi sia di quelli inediti, che ha dato il Paquier nell'introduzione alla biografia dell'Aleandro. I suoi pareri sul problema del concilio sono stati editi o riediti tutti nel vol. XII del Concilium Tridentinum, ed. Società Goerresiana, Freiburg, I, B. 1930; oltre a quelli già citati, si veda anche quello presentato nel 1541 a Paolo III, pp. 342-362. La raccolta principale dei manoscritti personali, familiari, diplomatici ed ecclesiastici, nonché filologici ed umanistici, è conservata in numerosi codd. della Biblioteca Apostolica Vaticana. Dopo la pubblicazione del Paquier (1900), che con l'Omont (soprattutto Journal autobiographique du card.[Jérôme Aleander 1480-1530, in Notices et extraits des manuscrits de la Bibliothèque Nationale de Paris,XXXV (1896, pp. 1-116) fu anche il principale editore di fonti sull'A., L. Delaruelle pubblicò Un recueil d'Adversaria autographes de G. A., in Mélanges d'archéologie et d'histoire, XX (1900), pp. 2-21, tratti dal ms. Ottob. Lat.2100 della Biblioteca Apostolica Vaticana; W. Friedensburg, Zwei Aktenstücke zur Geschichte der kirchlichen Reformbestrebungen an der römischen Kurie (1536-1538), in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken,VII (1904), pp. 251-267; tra il 1905 e il 1909 lo stesso J. Paquier completò la pubblicazione delle Lettres familiares de Jérome Aléandre (1510-1540), prima sulla Rev. des études historiques e poi in un volume (Paris 1505); infine A. Cauchie - A. Van Hove, Documents concernants la principauté de Liège (1230-1532) spécialement au début du XVI siècle, Extraits des papiers du card. Jérôme Aléandre, Il, Bruxelles 1920, completarono l'analoga raccolta del Paquier del 1896 e G. Mercati, Per la storia dei manoscritti greci di Genova e di varie Badie Basiliane d'Italia e di Patmo, Città del Vaticano 1935, pubblicò un elenco di venti manoscritti appartenuti alla biblioteca dell'A., che il Dorez non aveva conosciuto; mentre St. Ehses in Concilium Tndentinum, IV, Freiburg, I; B. 1904, aveva dato l'edizione completa e definitiva del carteggio dell'A. come legato al concilio, per la convocazione a Vicenza (pp. 157ss.); infine a cura di F. Gaeta, Nunziature di Venezia, I (12.3. 1533 - 14.8.1535), Roma 1958, sono stati editi i dispacci del 1533-1535. Per l'azione pastorale da lui patrocinata a Brindisi si veda l'Institutio et praecepta quaedam chnistiana suis gregibus del vicario A. Beccari, ms. presso la Biblioteca naz. di Firenze (Capponi, XXXIII, ff. 187-202).
Bibl.: Anche per la bibliografia il numero molto elevato di studi, saggi, note relative all'A. suggerisce di rinviare alla letteratura citata da J. Paquier, L'humanisme et la réforme. Jérôme Aléandre de sa naissance à la fin de son séjour à Brindes (1480-1529), Paris 1900; successivamente si è avuto un altro buon elenco in K. Schottenloher, Bibliographie zur deutschen Geschichte im Zeitalter der Glaubensspaltung 1517-1585, Stuttgart 1956, I, pp. 11-13 e V, p. 7, mentre lo stesso Paquier ha dato due tracce biografiche sostanzialmente analoghe rispettivamente in Dict. de Théol. Cath., I (1903), coll. 693-695, e in Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés, II (1914), coll. 74-76. Si veda ancora R. Cessi, in Encicl. Ital., II, col. 286; E. Santovito, in Encicl. Cattolica, I (1948), coll. 741-742; H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanente:s iusqu'en 1648, Helsinki 1910, pp. 96 e 100; G. van Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica..., III, Monasterii 1923, pp. 25 e 142; L. V. Pastor, Storia dei Papi, IV, 1, 2; V, Roma 1926-1931, passim.Per i suoi rapporti con Manuzio ed Erasmo e per il periodo francese: A. Renaudet, Préréforme et humanisme à Paris pendant les premières guerres d'Italie (1494-1517), Paris 1953, passim; Id., Erasme et l'Italie, Genève 1954, passim; J. H. Maronier, Aleander en Erasmus, in Teyler's theologisch tijdschrift, IV (1906), pp. 535-576; Opus Epistolarum Des. Erasmi Roterodami, voll. 12, Oxonii 1910-1958, passim; E. Pastorello, L'epistolario manuziano. Inventario cronologico-analitico 1483-1597, Firenze 1957, sub nomine. Per la Questone luterana: W. Friedensburg, Aleander, Miltitz und Emser (1521), in Neues Archiv fur sächsische Geschichte und Altertumskunde, XXIII (1902), pp. 320-330; Th. Schoell, Aléandre et Luther d'après Paquier, in Bulletin de la Soc. de l'hist. du protestantisme français, LIII (1904), pp. 70-76; P. Kalkoff, Zu Luthers römischen Prozess,in Zeitschrift für Kirchengeschichte, XXV (1904), pp. 90-147; Id., Forschungen zu Luthers römischen Prozess, Roma 1905, passim; Id., Aleander gegen Luther. Studien zu ungedruckten Aktenstücken aus Aleanders Nachlass,Leipzig-New York 1908, pp. 144-145; Id., Nachträge zur Korrespondenz Aleanders, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, XXVIII (1907), pp. 201-234; Id., Zur Charakteristik Aleanders, ibid., XLIII (1924), pp. 209-219, e più in generale: P. Kalkoff, Die Anfänge der Reformation in den Niederlanden, Halle 1903, passim; Id., Der grosse Wormser Reichstag,Darmstadt 1921, passm; K. Hofmann, Die Konzilsfrage auf den deutschen Reichstagen von 1521-1524, Mannheim 1932, pp. 9-30; J. Lortz, Die Reformation in Deutschland, I, Freiburg 1948, pp. 255 ss. e 274 ss.; H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, I, Brescia 1949, passim. Per la nunziatura veneziana: F. Gaeta, Un nunzio pontificio a Venezia nel Cinquecento (G.A.),Venezia-Roma 1960. Per i rapporti con gli ambienti della riforma cattolica: P. Paschini, S. Gaetano Thiene, Gian Pietro Carafa e le origini dei chierici regolari teatini, Roma 1926, passim; F. Saponaro, Il card. Gerolamo Aleandro, Padova-Napoli 1954.