BELLONI, Girolamo
Il B. fu personaggio eminente in una famiglia di mercanti e banchieri, che attraverso il Settecento acquistò ricchezze e prestigio in varie regioni d'Italia e in Spagna. La fortuna della famiglia aveva avuto origine a Codogno, il fertile borgo della bassa Lodigiana in cui da almeno due secoli i BelIoni detti della Gazza, (dal luogo di un loro possedimento) avevano acquistato una forte posizione nell'agricoltura irrigua, nel commercio dei latticini, nelle professioni liberali. Qui da Antonio e da Lucrezia Tonana nacque nel 1688 Girolamo, e qui era nato quello, zio Giovannangelo che per primo tentò la fortuna partendo nel 1680 per Bologna "pro maiori commodo mercaturae exercendae", come lasciò scritto in un atto notarile.
A Bologna i Belloni ebbero modo di mostrare la loro abilità sia nel privato commercio sia nell'assunzione di appalti municipali. Abbiamo notizia di operazioni di Giovannangelo sullo scorcio del sec. XVII nella lavorazione e spaccio deLtabacco, nell'affitto di terreni, nella gestione della "gabella grossa" e del "dazio del quattrino". Agli albori del nuovo secolo la sua posizione appare consolidata con l'acquisto di alcune case, con una più vivace attività nel campo bancario e con riconoscimenti pubblici, come la nomina a stendardiere di lui nel 1705 e del fratello Francesco Maria, nel 1707. Il palazzo via via ingrandito e abbellito presso via dei Gombruti bene rappresenta l'importanza che i Belloni hanno assunto nella vita della città felsinea.
Ma Bologna, dove pare che anche il B. vivesse gli anni giovanili, era a sua volta troppo poco per le ambizioni di Giovannangelo. Come subappaltatore del tabacco e dell'acquavite egli si era fatto conoscere nella capitale e nel 1710-11, in seguito alla caduta degli appaltatori i genovesi Figoli e Grasselli -, "dovendosi dalla R. Camera Apostolica procedere al nuovo appalto generale del tabacco e desiderando che questo fosse appoggiato a persona esperta e di credito - spiega una memoria del 1713 - fu scielto e chiamato da Bologna il signor Gioanni Angelo Belloni". Questo incarico dava il controllo su un commercio che interessava annualmente 400.000 libbre di tabacco e fino a 150.000 scudi, e dava luogo alla direzione di numerosi spacci, fabbriche e magazzini portuali oltre che, se son vere le notizie d'archivio, di 600 "ministri tabaccari" nella sola città di Roma e molti altri, per il tabacco e l'acquaviie., nelle diverse province. Diventava dunque necessario per Giovannangelo stabilire colà la dimora principale e la sede di banco e chiamare il nipote Girolamo ad aiutarlo, mentre a Bologna restava Francesco col figlio Antonio, più tardi aggregato alla nobiltà bolognese.
La gestione dell'appalto era un buon trampolino anche per l'espansione delle attività bancarie, se si pensa ai 50.000 scudi all'incirca di utili che fruttava ed anche alle intense relazioni con le maggiori piazze estere e case mercantili che comportava. Negli stessi a, nni si ebbe infatti un rapido crescere degli affari del banco, ai quali dal 1721 partecipava con suoi capitali in "società di negozio" anche il B., e della presenza dei Belloni (l'opera dei più anziano e del più giovane ormai si confondevano), in imprese economiche di vario genere. Tra queste spiccava la funzione di depositario, cambista e spesso prestanome per conto degli esuli di casa Stuart e l'appalto, nel periodo 1721-27, della Tesoreria della Marca (intestata al B. con fideiussione dello zio), e del macinato per i territori di Camerino e Comunanza, cui si aggiungevano l'affitto dei beni camerali di Monternarciano e quello della tenuta del Sant'Uffizio a Conca, nell'Agro romano, con annesse ferriere. L'entità patrimoniale della ditta dovette avere un incremento molto rapido se nell'inventario in morte di Giovannangelo, effettuato nel 1729-30, una volta dedotti i beni fondiari esistenti a Codogno (otto pezzi di terra "aratori et aquatori" e tre casamenti, per circa 200 pertiche) e varie minori somme destinate a parenti di sesso femminile, a istituti religiosi, a collaboratori, restava ancora un cospicuo asse ereditario da suddividere fra i due rami di Bologna e di Roma.. A quello di Bologna rappresentato ora da Antonio, nipote del defunto tanto, dal lato paterno che dal materno - andò un patrimonio, eretto in primogenitura, comprendente palazzo e casa in città, vari beni rurali (tra cui quelli già dei Malvezzi nel comune di S. Maria Maddalena) e 20.000 scudi di "luoghi di monte", per un totale valutato a 877.420 lire bolognesi, da cui si presumeva una rendita media del due e mezzo per cento. Al B. fu affidata invece la Casa bancaria di Roma, nella sua sede di piazza Fianunetta, con capitale censito di 529.000 lire oltre a 225.000 lire di crediti per luoghi di monte, censi, vacabili, ecc. Fra i crediti aperti con piazze d'Europa e fino in America e in India sappiamo che ve n'erano per quasi 12.000 scudi con un Firidolfi di Madrid, un Baccio Pitti pure di Madrid, la ditta Gabussi e Galli di Cadice, per 2.432 scudi con Giuseppe Como di Londra, ed altri con importanti casati italiani.
Il B. univa alle doti d'affari dello zio una personalità più varia e, una sommaria preparazione intellettuale che gli permisero di ottenere, nei successivi trent'anni, affermazioni rilevanti nella, vita pubblica romana.
L'avvento di Clemente XII, che segnava con la caduta del gruppo dei "Beneventani" anche la disgrazia di alcuni uomini d'affari più compromessi ed una certa normalizzazione amministrativa ed economica consentì al B. di mettersi in luce come consigliere, operatore e progettista presso la curia e la Camera apostolica, dove era molto ascoltato dagli esponenti di casa Corsini. Fin dall'estate del 1730 lo vediamo chiamato a dirigere le dogane generali dello Stato, attraverso le quali passava un fruttato annuo superiore ai 200.000 scudi, e intento a suggerire provvedimenti per rendere il sistema daziario più uniforme ed efficiente. Contemporaneamente partecipava alle speciali congregazioni in materia di monete e zecche (1733-34 e 1736-38), preparando numerose memorie tecniche che tuttora si conservano e presentava progetti di riforma dell'Annona e di istituzione di una Compagnia di commercio.
Il B. è fra gli ispiratori della politica economica pontificia e può considerarsi come "il capo" dei mercanti dello Stato, come si esprime una corrispondenza diplomatica veneta. Questa posizione preminente non fa che consolidarsi dopo il 1740, all'avvento di un pontefice cui l'avvicina l'origine bolognese e di cui sappiamo che gode stima e udienza. Consolidamento del banco e della fortuna economica e affermazione del suo prestigio procedono di pari passo. Lasciati ormai gli appalti e dedito esclusivamente ad attività di cambi e di prestito, poco dopo il 1740 egli è in grado di acquistare per sé il grande palazzo del Governo Vecchio in Roma. Del 1746-47 è l'acquisto del feudo e castello di Prassedi per la somma di 38.000 scudi dal marchese Michele De Carolis, con annesso il titolo marchionale. E quando nel 1750 egli decide di rivenderlo, è per averne in cambio da casa Altieri la bella villa Verospi nella capitale e per acquistare dal principe Publicola di Santa Croce i feudi di Oliveto e Posta in Sabina, per 23.333 scudi, eretti anch'essi in primogenitura con titolo marchionale.
Il ruolo nobiliare è dunque a questo punto pienamente affermato nel ramo romano dei Belloni, così come già in quello bolognese. A palazzo e in villa il B. e i suoi parenti, come attesta un documento riservato, "si trattano all'uso dei nobili, tenendo carrozze e cavalli e molta servitù con modesta livrea". Vivono con il B. la consorte Agnese Ulci - alla quale, nel testamento assegnerà "vita natural durante" carrozza, abitazione in villa a Monte Mario, due servitori, una donna di servizio, oltre alle spese di vitto e 50 scudi annui di spillatico -, il figlio Francesco e tre figliole, che egli potrà dotare di 12.000 scudi ciascuna. Ma in pari tempo egli non cesserà mai di gloriarsi del suo ruolo di mercante e banchiere, che in varie scritture esalta come onorevole per ogni nobile uomo.
Proprio la vasta pratica di commercio, unita alle relazioni politiche e culturali che il B. ha stabilito in Roma e fuori, fanno sì che a lui si rivolgano per consigli econornici vari paesi - conosciamo sue consulte per la Spagna, il Portogallo, l'Inghilterra, il Regno di Napoli, il ducato di Parma - e lo inducono a tentare qualche generalizzazione di teoria economica. Sollecitato dall'editore Pagliarini egli. si decide, sul finire del 1750, a dare alle stampe una breve dissertazione dal titolo Del Commercio, con versione in lingua latina e dedica a Benedetto XIV, che sarà ripubblicata nel 1757 dagli stessi fratelli Pagliarini con l'aggiunta di una dedica al re di Sardegna e di una Lettera in risposta ad un quesito sopra la "moneta immaginaria" nel solo testo italiano.
È noto il successo incontrato da questa operetta, anche in campo internazionale, in un momento in cui pubblicavano i loro libri di economia Ferdinando Galiani e Pompeo Neri, G. A. Fabbrini e G. F. Pagnini.. Ne diede conto in sintesi un articolo del Giornale dei letterati del 1753, avvertendo fra l'altro come fossero già uscite fino a quel momento edizioni, spesso accompagnate da elogiative prefazioni, a Livorno, Bologna, Avignone, Lipsia, Londra, cui fecero seguito altre all'Aia, Milano, Venezia, Parigi, Santiago: si compiaceva la stessa prefazione perché "in Roma è stato il primo parto di questo genere che sia comparso alla luce...; il signor Belloni ha dimostrato che anche nella nostra città vi sono persone che possono di sì fatte materie con fondamento e lodevolmente trattare". Recensioni e polemiche si ebbero inoltre sul Journal Oeconomique del marzo, aprile, giugno 1751, sulle Novelle della Repubblica letteraria di Venezia del gennaio e maggio 1751, sul Giornale dei letterati di Roma del 1754, sulla Storia letteraria d'Italia di Modena per il 1755.
La dissertazione, di cui cfr. ora una nuova edizione in G. B., Scritture inedite e dissertazione "Del commercio", a cura di A. Caracciolo, Roma 1965, aveva il disegno ambizioso di definire che cosa siaino moneta, rapporto fra oro e argento, cambio, bilancia commerciale, e di proporre precetti per la condotta del principe in materia economica. In realtà, come hanno ampiamente dimostrato il Marconcini e l'Einaudi, da un punto di vista di costruzione teorica l'operetta lascia molto a desiderare non solo quanto ad originalità rispetto alle correnti mercantilistiche facenti capo ai Melon e Mun e agli scrittori dello Stato romano, ma più in generale quanto a rigore logico e a capacità di penetrare le leggi fondamentali del processo economico. Maggiore interesse essa offre però a chi la legga come punto d'arrivo di una plurieruiale esperienza mercantile e politica del B. nel caratteristico ambiente pontificio. L'accento messo sull'inanità dei provvedimenti di artificiale fissazione da parte del sovrano dei cambi e dei rapporti fra metalli, sulla primaria esigenza di stabilire un equilibrio fra importazioni ed esportazioni, sull'ausilio alle manifatture e il proibizionismo ai confini come condizione per tale equilibrio, prende significato non generico alla luce della biografia del Belloni. L'immaginario regno, di cui si analizzano i problemi e si disegnano le vie per una ripresa, si identifica infatti con lo Stato ecclesiastico verso la metà di quel XVIII secolo, in cui le economie più deboli conoscono i contraccolpi dell'accelerato sviluppo ormai assunto da quelle delle grandi potenze.
A parte il valore di testimonianza che il libro e l'opera memorialistica del B. hanno ai nostri occhi, sta il fatto che essi ebbero presso i contemporanei grande successo. Le ragioni di questo, oltre 'che nel personale prestigio dell'autore come mercante internazionale, sembrano da ricercare in una certa rapidità di discorso, che tralasciando citazioni ed esempi singoli dà nell'insieme al Commercio il tono di un trattatello divulgativo sui precetti mercantilistici in economia. Non a caso prese lo spunto proprio da esso il marchese D'Argenson per scrivere sul Journal Oeconomique una lunga critica, che l'Einaudi giudica come il "primo grande manifesto del liberismo dei tempi moderni e una critica che culminava coll'esaltazione, forse per la prima volta, della contrapposta formula del "laissez faire". Tratti di originalità, ed osservazioni di buon senso non mancano del resto nei paragrafi in cui le leggi economiche sono più direttamente fondate sulla pratica del B. come banchiere e uomo di finanza. Ciò vale dove si parla di cambi di rapporto fra oro e argento, di saggio di interesse, come fenomeni regolati da proprie leggi che non sottostanno all'arbitrio dei governanti, e dove si danno giudizi a proposito di "moneta di conto" o "immaginaria".
La fama che raggiunse il B. come scrittore, verso la fine della vita, e che P. Custodi consolidò inserendo la dissertazione in un volume degli Scrittori classici italiani di economia, parte moderna, Milano 1803, era dunque in sostanza il completamento di una cospicua fama e fortuna mercantile. Morendo a Roma il 5 luglio 1760 il B. lasciava all'unico figlio maschio, che fin dal 1755 ne condivideva la "firma", una Casa bancaria molto potente. Ce lo attestano le fonti memorialistiche, alle quali soprattutto si deve ricorrere in seguito alla perdita quasi completa dei libri mastri e dei registri della ditta. Dalle cronache sappiamo per esempio che al banco BelIoni si rivolgevano per i loro prestiti tanto il prefetto dell'Annona, quanto il Montesquieu o il Casanova, tanto l'ospedale di S. Spirito, quanto nobili famiglie come gli Spinola, i Fantuzzi, i Bandini, i Castelblanco, i Potenziani. Gli archivi romani e londinesi testimoniano ampiamente della funzione di cassiere, depositario e talora finanziatore di casa Stuart assolta già da Giovannafigelo e poi da Girolamo e Francesco Belloni di pari passo con l'ospitalità loro offerta più volte nel palazzo di Bologna, da cui derivarono varie onoreficenze e l'assunzione di un cugino, Pier Francesco, al servizio del pretendente. Nei suoi ultimi anni il B. fu anche cassiere e procuratore di alcuni Ordini religiosi e sindaco dei francescani delle Sacre Stimmate.
Elementi interessanti si ricavano poi dal movimento di cambiali protestate - le operazioni di. cambio erano al centro dell'attività della Casa - quale risulta dagli atti notarili. Non solo si apprendono da esso le relazioni stabilite in numerosi paesi, con una prevalenza di banchi di Milano, Venezia e Genova, ma si ha un'indiretta testimonianza del crescente volume di operazioni- Se, per esempio, intorno al 1730 risultano presentati dal B. presso il notaio Corvini in media un centinaio di protesti l'anno e intorno al 1740 circa 130, negli anni vicini al 1760 ed oltre, fino alla cessazione del banco, la media supera le 200 unità. Si tratta di importi molto vari, che però ßi aggirano mediamente, con tendenza ad aumentare, sui 200-300 scudi. Gli stessi notai recano inoltre alcuni contratti di prestito. talvolta per alcune migliaia di scudi, sui quali veniva dichiarato un interesse del 3 0 4 %, salvo nel caso di due banchieri di primo piano, Morganti e Ramolfi, che, trovandosi nel 173536 in male acque, dovettero promettere, per un prestito di 5.000 scudi, un tasso del 5%, e qualche altro raro caso di tassi del 5 o 6%.
Accanto all'attività bancaria furono intraprese dal B. alcune iniziative manifatturiere e principalmente l'avvio di un lanificio a Ronci-. glione. Ma il tratto più caratteristico stava nella partecipazione crescente ad iniziative di interesse pubblico e. talora di sostegno alla finanza dello Stato, non solo in seguito a sollecitazioni degli uffici camerafi, ma anche di propria volontà, per i vantaggi di prestigio e di espansione degli affari che il B. e il- suo successore vi vedevano. Per questo, ad esempio, quando nel 1735-36 e, di nuovo nel 176465 le carestie gravarono sul paese, furono, i Belloni a procurare la commissione d'urgenza di carichi di grano da lontane piazze, e in due occasioni vennero incaricati di provvedere all'estero argento per la zecca romana. Nel 1747-48, trattandosi di costruire a Berlino una chiesa cattolica, fu al B. che Benedetto XIV diede l'incarico della colletta fra i fedeli della cristianità. Anche alla pubblicazione della famosa pianta di Roma di G. B. Nolli, a scavi archeologici, a collezioni di. dipinti, sono legati i pomi dei Belloni, la cui presenza nella società colta - specialmente con Francesco, che visse un'età piena di fermenti, di visite di viaggiatori illustri, di aspettative novatrici - era spesso apprezzata dai cronisti.
Il ruolo nobiliare della famiglia fu periezionato dal B. nel suo testamento, che, oltre, a conferire all'unico figlio maschio l'eredità universale, vincolava con p 1 rimogenitura i feudi di Oliveto e Posta insieme con 15.000 scudi in luoghi di Monte. E Francesco, mentre lasciava vieppiù a collaboratori gli uffici inerenti al banco, accentuò nettamente tale ruolo, distinguendosi nei salotti colti, dove fra l'altro era, noto come uno degli amanti di Margherita Boccapaduli, e dividendo il suo tempo tra il palazzo di fanfiglia, la villa fuori porta Salaria il palazzetto di Rieti. Gli inventari effettuati post mortem mostrano sobriamente attrezzata la villa e il palazzetto, ma ricco e arredato con cura d'amatore d'arte il palazzo, dove si contavano, insieme con statue, mobili pregiati, ori e gioie, qualche cosa come duecento quadri fra sacri e profani.
Francesco Belloni visse fino al maggio del 1806, attraversando fra l'altro non poche difficoltà in seguito agli avvenimenti rivoluzionari, che portarono anche all'occupazione del palazzo da parte delle truppe francesi. L'autentica svolta della sua vita si ebbe però nel 1793, poiché è del gennaio di quell'anno la sua decisione di chiudere il banco, avendo "egli stimato mezzo il più efficace quello d'interessarsi a titolo d'accomandita nel banco del signor Ferdinando Acquaroni" per scudi 20.000, come si legge nell'apoca firmata dai due soci. L'entità relativamente esigua dei capitali portati dal marchese Belloni (l'Acquaroni, di suo, ne portava il doppio) danno idea del declino al quale ormai la Casa era avviata. Alcune sfortunate controversie con i suoi depositari, i contraccolpi delle agitazioni politiche europee degli ultimi anni, il prevalere di impieghi immobiliari e di spese di puro prestigio avevano tolto molta vitalità all'antica azienda. Né si può escludere che la morte ienza prole maschile, poco tempo innanzi, della moglie Francesca Bussi, finisse per togliere all'anziano, marchese la capacità e la volontà di impegnarsi con tenacia eguale a quella del padre. In tal modo si compiva, dopo oltre un sessantennio, la storia di questo banco, il cui posto di primo piano in Roma passava ad altri, come i Torlonia, che stavano presentandosi sulla scena con più fresco vigore.
Alla morte di Francesco, con cui si estingueva il ramo romano dei Belloni, seguì pochi anni dopo - nel 1810 - la morte, pure senza figli, di un Giovannangelo, pronipote del primo Giovannangelo e ultimo rappresentante del ramo di Bologna. Non era mancata anche a quel ceppo della famiglia una certa fortuna, con un Antonio e un Francesco in posizione eminente nella società e vita pubblica felsinea della metà del Settecento. L'ultima generazione diede due religiosi eminenti, il gesuita Carlo Francesco e il filippino Alessandro, ma toccava all'ultimogenita Maria Clementina di rappresentare, con i figli avuti dal matrimonio col conte Tommasoli Laziosi di Forlì, l'unico ramo fecondo della casata, allorché in pieno periodo italico la morte di Giovannangelo fece dissolvere l'unità del cospicuo patrimonio accumulato durante alcuni decenni.
Non sopravvivevano, dopo il 1810, altro che i rami secondari della numerosa e industriosa famiglia venuta da Codogno. Continuò fino ai nostri giorni, sino cioè al matrimonio dell'ultima Belloni con un Novello, il ramo originario di Codogno, illustrato da notai, medici e magistrati, mentre a Genova operò per vario tempo una ditta "Belloni & Fossati". In Spagna aveva frattanto messo radici la casa mercantile di un altro Giovannangelo fratello del bolognese Antonio, portata a una certa rinomanza dai figli Gio Batta e Pietro d'Alcantara.
Fonti e Bibl.: Per una nuova ediz. della dìssertaz. con aggiunte numerose memorie inedite cfr., ora, G. B., Scritture inedite e dissertazione "Del commercio", a cura di A. Caracciolo, Roma 1965, p. 270. Sul B. esiste più di un profilo biogr. con riferimenti ai familiari, come quello di c. Belloni, sia sub voce nel suo Diz. storico dei banchieri italiani, Firenze 1951, sia ora nell'art. Un banchiere romano del Settecento: G.B. (L'Urbe, 1963). Tolto l'ultimo, questi autori si fondano troppo su notizie di seconda mano, talora leggendarie come quella del titolo marchionale concesso in premio per la dissertazione, perché si possano accogliere i loro dati anche puramente cronologici: lo stesso vale per i riferimenti che si trovano in opere di studiosi locali della natia Codogno (specialmente G. Cairo-F. Giarelli, Codogno e il suo territ. nella cronaca e nella storia, Codogno 1898, II, p. 424, e D. Palazzina, Cenni stor. del R. Borgo di Codogno, Codogno 1861, p. 217), di Bologna (come G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna, Bologna 1868, 1, p. 104; II, pp.; 269 s.), di Rieti (A. Colarieti, Degli uomini più distinti di Rieti per scienze. lettere ed arti, Rieti 1860, pp. 64-66).
L'unico aspetto, di cui si sia approfondito lo studio è quello del B. come scrittore economico. Per esso si può rìmandare oltre che al Custodi e a G. Pecchio, Storia della econ. pubblica in Italia, Lugano 1849, pp. 30 s., a F. Marconcini, Momento mercantilista settecentesco: la "dissertazione sopra il commercio" di G. B., banchiere romano, in Riv. internaz. di scienze sociali, s. 3, II (1931), pp. 104-180. 393-416, agli articoli di L. Einaudi ora riuniti in Saggi bibliogr. e stor. intorno alle dottrine econ., Roma 1953 (spec. nella Prefaz.e nei capp. IV e X), al libro di L. Dal Pane, Lo Stato Pontif. e il movimento riform. del Settecento, Milano 1959, specialmente a pp. 159-62, 258-61, 657-60; F. Venturi, Elementi e tentativi di riforme nello Stato Pontif. del Settecento, in Riv. stor. ital., LXXV (1963), pp. 778-817.
La biografia del B. e la storia della sua casa bancaria vanno pertanto ricostruite attraverso riferimenti della letteratura relativa ad avvenimenti e cose del suo tempo o della memorialistica e pubblicistica coeva. Citeremo solo, per gli aspetti econonuci, L. Nina, Le finanze pontificie sotto Clemente XI. La tassa del milione, Roma 1927, p. 100, ed E. Ponti, Il banco di Santo Spirito e la sua funzione economica nella Roma papale (1605-1870), Roma 1951, pp. 138, 172, mentre si può ricordare che il nome del B. ricorre in J. Casanova De Seingalt, Histoire de ma vie, Wiesbaden 1960, I-II passim, nei carteggi di Benedetto XIV curati da E. De Heeckeren (II, Paris 1912, passim)e da E. Morelli I-II, Roma 1955-1965, ad Indices), nei Carteggi di P. e A. Verri, I-VIII, Milano 1923-34, ad Indicem, nella Correspondance de Montesquieu, a cura di F. Gebelin e A. Morize, Paris 1911, I, p. 278.
Essenziale resta poi il ricorso alle fonti inedite. Del grande archivio Cavalletti-De Rossi-Belloni, che era conservato ancora pochi decenni fa, non resta oggi altro che qualche spezzone, raccolto in tre buste presso l'Archivio di Stato di Roma sotto il titolo fondo Cavalletti: contiene un gruppo di memorie di argomento economico, per lo più anonime, e, carte dì amministrazione di Giovannangelo, di Girolamo, e degli eredi. In tali condizioni è necessario riferirsi ad altri archivi. Intorno ai primi passi della famiglia, per esempìo, molto si trova nelle biblioteche comunali di Codogno e di Lodi: presso gli attuali eredi Novello-Belloni, a Codogno, esiste un ampio albero genealo gico, che peraltro discorda con molte notizie di altra fonte e con un albero genealogico del Guidicini conservato nell'Archivio di Stato di Bologna. Si trovano poi lettere del B. e di altri della famiglia in più luoghi dell'Archivio Segreto, Vaticano e della Biblioteca Vaticana; in vari fondi economici e camerali degli Archivi di Stato di Roma, Genova e Bologna; della Biblioteca universitaria di Bologna; ecc. Per l'attività di lui come consigliere economico si trovano materiali importanti nella Biblioteca Corsiniana di Roma e nei fondi camerali dell'Archivio di Stato di Roma. Quest'ultimo archivio è essenziale anche per seguire il funzionamento degli appalti gestiti da Giovannangelo e da Girolamo, come i tabacchi, la tesoreria delle Marche, la dogana generale, e le controversie intorno ad essi. Le fortune della Casa bancaria si possono poi valutare soprattutto attraverso gli atti notarili, conservati per i vari periodi e ranii della famiglia rispettivamente a Lodi, Bologna, Roma, Genova, dove figurano specialmente cambi protestati, procure, doti, testamenti, inventari ereditari.