BENVOGLIENTI, Girolamo
Figlio di Giovan Battista, nacque a Siena il 18 dic. 1520. Fin da giovane ebbe una particolare attitudine agli studi di giurisprudenza, che poté esercitare nello Studio senese ove insegnavano Antonio da Venafro e Mariano Sozzini iunior. Ben presto consegui notorietà di valente giurista che gli procurò la chiamata presso lo Studio senese, a soli ventiquattro anni, come docente ordinario in diritto civile. Contemporaneamente fece parte del governo della Repubblica, quale rappresentante dei terzo di S. Martino ove egli abitava, durante il bimestre marzo-aprile degli anni 1543 e 1549, e nel trimestre gennaio-marzo dell'anno 1553, nel corso del quale esercitò anche l'avvocatura erariale, assumendo la rappresentanza e la difesa dello Stato in alcune questioni vertenti con i soldati francesi che avevano preso dimora nella città. Frattanto le vicende politico-militari, della guerra di Siena lo coinvolsero e lo impegnarono attivamente al servizio della Repubblica. Il 21 luglio 1554, in seguito alle sollecitazioni della comunità di Montalcino che chiedeva un nuovo commissario, in sostituzione di Marcello Tuti, il governo inviò "per la custodia, provisione, fortificationi opportune e vectovagliare decta città... l'ecc.mo dottore messer Girolamo Benvoglienti".
Quando fu inviato a Montalcino, gli eserciti franco-senesi, comandati da Pietro Strozzi, si trovavano impegnati nella Val di Chiana contro le forze imperiali e medicee che, nel frattempo, avevano anche iniziato l'assedio di Siena. L'attività del B. in questo periodo era volta non solo a rifornire di viveri ed armi la terra di Montalcino, in previsione di un eventuale assedio, ma soprattutto a tenere le fila della resistenza senese facendo da tramite fra il proprio governo e la corte di Francia. Le molte lettere scritte dal B. sono vere relazioni informative e costituiscono una fonte preziosa per la storia degli ultimi mesi della vita repubblicana senese: rassegne di soldati, visite a luoghi fortificati, disposizioni per l'approvvigionamento dei viveri e delle munizioni, si alternavano giornalmente. Da quelle relazioni si apprendono notizie sulle operazioni militari e sui piani del nemico, consistenti nell'occupare piccole terre fortificate del contado, dalle quali era poi facile inviar cavalieri e fanti a guastare i prodotti della campagna e a prendere il bestiame.
Nel periodo in cui si rende più minaccioso l'assedio di Siena il B. viene anche adoperato dal governo per una azione diplomatica diretta alla cessazione delle ostilità nella Val di Chiana fra i Comuni di Chianciano e Montepulciano. La sua attività di commissario continua fino al febbraio del 1555; poi se ne perdono le tracce proprio durante le ultime settimane dell'assedio. Caduta Siena nell'aprile del 1555 e rifugiatisi in Montalcino gli ultimi sostenitori della libertà senese, il B., che faceva parte del governo della Repubblica, fu inviato a Ferrara., Venezia e a Roma a caldeggiare la causa senese. Stipulata la pace di Cateau Cambrésis, il governo repubblicano - incredulo di fronte all'abbandono francese - il 10 maggio 1559 spedì il B. e Camillo Spannocchi alla corte di Francia. Le istruzioni date ai due ambasciatori consistevano nel richiamare l'impegno assunto da Enrico II di restituire lo Stato senese libero ed indipendente, ricordando a quel sovrano gli immensi sacrifici sofferti dai Senesinel peggiore dei casi gli oratori dovevano impetrare che almeno fosse riconosciuta la autonomia del governo repubblicano di Montalcino, oppure la sottomissione di quello stato alla Corona di Francia. Ma l'esito dell'ambasceria, ed un pacato esame dei capitoli della pace di Cateau Cambrésis, fecero comprendere agli irriducibili avversari di Cosimo de' Medici che era venuta a cessare ogni prospettiva di successo; cosicché anche Montalcino, pochi mesi dopo, si arrese alle forze del duca di Firenze.
Il B. che, unico fra tutti, aveva rifiutato una pensione vitalizia offerta da Cosimo agli esuli, nel 1561 fu chiamato a Roma come lettore di diritto civile con lo stipendio di 150 scudi (seguendo probabilmente il Carafa, che trascrisse erroneamente dai rotuli il nome del B. come Benugliensis, il Renazzi e lo Spano alla data del 1561 parlano d'un Benugliesi senese, lettore di diritto civile). Tornò l'anno seguente ad insegnare nello Studio senese diritto civile, con uno stipendio di 200 fiorini annui, che passarono a 200 scudi d'oro, quando nel 1564, invitato a Salerno con l'offerta di 150 scudi annui, il governatore mediceo volle così trattenerlo, temendo che la sua partenza allontanasse "tutti gli scolari forestieri e bon numero di thodeschi" (legata a questa vicenda è probabilmente la notizia d'una intimidazione rivolta dal governatore al B. nel maggio 1564 perché rimanesse in città sotto la minaccia di essere dichiarato ribelle). Intanto nel 1567 era passato dalla cattedra di diritto civile de sera a, quella de mane e nel 1576 entrava a far parte del Collegio dei dottori; ancora nel 1588 veniva eletto deputato dello Studio assieme a Nicolò Finetti per richiedere al granduca Francesco I l'aumento dei salari. Il B., che nel 1569 era stato richiesto anche dall'università di Macerata, abbandonò probabilmente l'insegnamento nello Studio senese soltanto per un breve soggiorno a Pisa intorno al 1590 (il Fabroni sulla scorta del Mazzuchelli porta la data, evidentemente erronea, del 1628). Nel 1594 era certamente di nuovo a Siena e nel 1604 veniva nominato ordinarlo eminente di quell'Ateneo.
Durante questi anni di attività scientifica il B. non trascurò gli impegni pubblici; infatti fece parte del governo senese durante gli anni 1568 e 1579; mentre nel 1588 fu incaricato di effettuare una visita ispettiva ai Regolatori, cioè alla magistratura cui spettava il sindacato di tutti gli uffici ed ufficiali che amministravano il pubblico denaro. Ebbe a cuore anche gli studi letterari che cercò di incoraggiare con la fondazione della Accademia dei Filoniati.
Il 23 dic. 1563 il B. aveva sposato Vetruria Cerini. Non conosciamo la sua data di. morte: si crede che questa sia avvenutá a Siena nell'anno 1606.
Dell'opera giuridica del B., rimasta tutta manoscritta ed oggi perduta, conosciamo soltanto il commento ad un passo di Salvo Giuliano del Digesto (D. 34, 5, 13, 3), già segnalato dal Montfaucon nel cod. Vat. Lat. 5669. L'operetta, dedicata al card. Carlo Borromeo, risale certamente agli anni dell'insegnamento del B. a Roma (1561) e lo colloca nella scia della tradizione dogmatica italiana particolarmente viva nello Studio senese fin nei primi decenni del sec. XVI; priva di spunti culti essa testimonia una grande maestria tecnica, dato anche il peculiare carattere del passo commentato, espositivo di regole interpretative in tema di successioni.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Siena, lettere del B. alla Balìa, 771, nn. 61, 66, 68, 70, 74, 81, 87, 88, 92, 94-97; 773, nn. 2, 6, 8, 15, 18, 19 27, 28, 30, 31, 36, 37, 40, 46, 48, 50-54, 58, 60, 62, 66, 68, 70, 72, 76, 78; 774, nn. 28, 41; 776, nn. 1, 30, 34, 44, 47; 778. Nn. 10, 11, 17; 789, nn. 52, 55-58; Ibid., Deliber. di Balìa, 140, c. 249r; 142, cc. 47 e 48; 154, c. 76; 159, c. 7; Ibid., Reg. battezzati della Pieve di S. Giovanni, 28, c. 19r; Ibid., Gabella dei contratti, 387, cc. 54 e 73; Ibid., Mss., 140, cc. 5, 8 r; I. Ugurgieri Azzolini, Le Pompe sanesi, II,Pistoia 1649, pp. 326, 460 s.; B. Montfaucon, Bibl. bibliothecarum manuscriptorum…, I, Parisiis 1739, p. 121; P. Carafa, De professoribus Gymnasii romani, II, Romae 1751, p. 412; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 895; A. Fabrioni, Historiae Academiae Pisanae, III, Pisis 1795, pp. 274 s.; F. M. Renazzi, Storia dell'università di Roma, I, Roma 1803, p. 180; L. De Angelis, Biografie di scrittori senesi, Siena 1824, p. 176; M. Battistini, Una rissa tra frati e studenti dello Studio senese, in Bull. sen. di storia patria, XXV (1918), p. 171; N. Spano, L'univ. di Roma, Roma 1935, p. 336; V. Baccinetti, La Rep. senese ritirata in Montalcino, in Bullett. sen. di storia patria, n. s., II (1940), pp. 1-39 e 97-116; G. Prunai, Lo Studio senese nel primo quarantennio del princip. mediceo, ibid.,LXVI (1959), pp. 84, 85, 86, 90, 92, 97, 139 s.; R. Cantagalli, La guerra di Siena (1555-59), Siena 1962, pp. 317, 335, 360, 364, 520, 527, 549, 550, 557.