BERNIERI, Girolamo
Nacque a Correggio nel 1540, da Pietro, di famiglia nobile originaria di Parma, e da Antonia Doria. Vestì l'abito domenicano nel convento di Correggio e, compiuti gli studi a Bologna, fu addetto per molti anni all'insegnamento della teologia nei conventi della provincia lombarda. Intorno al 1570 insegnava in quello di Cremona ed era tra i familiari del vescovo Niccolò Sfondrati, il futuro papa Gregorio XIV. A quanto pare, l'influente prelato ebbe un peso rilevante nella carriera del B., che nominò suo teologo e del quale caldeggiò l'elezione al priorato del convento milanese di S. Maria delle Grazie. Nel 1583 il B. fu eletto definitore provinciale dal capitolo di Brescia; di lì a poco fu accolto tra gli inquisitori e gli fu assegnata la sede di Genova. Nel 1585 fu eletto priore del convento romano di S. Sabina e subito ascritto da Gregorio XIII alla congregazione del S. Uffizio.
A Roma il B. giungeva, infatti, preceduto da una vasta fama di teologo, sebbene non risulti pubblicato nessuno dei numerosi scritti che gli attribuisce il Berthier: "Theologus et vitae integritate et doctrinae commendatione insignis" lo definiva anche un breve di Sisto V al doge di Venezia (Pastor, X, p. 173). A questa fama egli dovette la sua rapida ascesa ai gradi maggiori della gerarchia ecclesiastica. Particolarmente viva era divenuta - agli inizi del pontificato del Peretti - l'esigenza della Curia di completare con la presenza di eminenti teologi i propri ranghi direttivi nei quali troppo unilateralmente dominavano gli statisti ed i giuristi: e tale esigenza, in particolare, esprimeva al papa la cominissione cardinalizia per la riforma nel 1586, quando Sisto V si accingeva alla sua terza promozione di cardinali. Sembra che il nome del B. fosse proposto dall'autorevole cardinale domenicano Michele Bonelli, ed accolto tanto più volentieri da Sisto V, in quanto un congiunto del B., il conventuale Giovanni Bernieri, era stato tra i suoi maestri.
Il B. pertanto, eletto dapprima al vescovato di Ascoli il 22 ag. 1586, il 16 novembre dello stesso anno fu elevato alla porpora col titolo di S. Tommaso in Parione. (cambiato poi, l'8 nov. 1589, in quello di S. Maria sopra Minerva e il 17 giugno 1602 in quello di S. Lorenzo in Lucina). Da allora ebbe un ruolo di primo piano nella vita curiale, e specialmente nel S. Uffizio, al quale prestò la sua prevalente attività per un quarto di secolo. L'importanza del contributo da lui offerto per un così lungo periodo all'Inquisizione romana è data, oltre che da una indubbia competenza personale, dal fatto che egli vi rappresentò con una particolare intransigenza la tradizione dottrinale del suo Ordine, tuttora ritenuto - nella coscienza della gerarchia ecclesiastica - il massimo depositario dell'ortodossia cattolica. Seppure attenuata rispetto ai rigori dei pontificati di Paolo IV e Pio V, e soprattutto delimitata nella sua sfera di intervento dalle riforme di Pio IV e di Sisto V, la persecuzione dell'eresia toccò durante il periodo del B - punte di grande drammaticità: basterà ricordare, tra i molti processi conclusi da esecuzioni capitali ai quali egli intervenne, quello contro Giordano Bruno. Anche su alcune rilevanti questioni politiche il B. portò il contributo della sua dottrina tomista e del suo rigido tradizionalismo: tra le altre, quella del riconoscimento del re di Francia Enrico IV, quella dell'appoggio della Chiesa al falso Demetrio e quella, più generale della legittimità di accordi politici tra cattolici ed eretici e tra cattolici ed eterodossi. Secondo il Pastor, nel 1593 gli fu affidato l'ordinamento dell'archivio dell'Inquisizione.
Complementare a questa attività fu quella svolta dal B. nella Congregazione dell'Indice, alla quale fu ascritto presumibilmente durante il pontificato di Clemente VIII. Anche in questo caso un solo esempio varrà a sottolineare il suo rilevante impegno, la condanna delle opere del Sarpi nel. 1606: anche se non è possibile stabilire l'effettivo ruolo svolto dal B. in questa circostanza, certo esso dovette essere notevole, poiché alle posizioni dei teologo veneziano egli era interessato anche come protettore dell'Ordine dei serviti, carica attribuitagli da Sisto V.
Più documentata è la partecipazione del B. alla clamorosa polemica teologica insorta tra domenicani e gesuiti a proposito dell'opera del Molina sulla grazia. Sin dal principio egli fu con il Bonelli (morto peraltro nel 1598, quando le discussioni romane sulla questione erano ancora alla loro fase iniziale), il più autorevole e rigido esponente delle posizioni domenicane, e la sua influenza su Clemente VIII - più che inclinato verso il tradizionalismo teologico dei predicatori - fu decisiva nell'avviare in senso nettamente sfavorevole alla Compagnia di Gesù le discussioni nell'apposita commissione de auxiliis. I gesuiti non mancavano tuttavia di potenti protezioni - specialmente politiche - con le quali riuscirono a bilanciare il preponderante prestigio dottrinale degli avversari, e fu certamente una sconfitta per il B. e per il suo Ordine la nomina dello stesso B. e del gesuita Bellarmino alla direzione delle discussioni, insieme col cardinal Madruzzo, poiché in tal modo i gesuiti ottenevano di contrapporsi ufficialmente agli avversari su un piano di parità, cosa che il B. aveva cercato in ogni modo di evitare. Interrotte le discussioni nel 1600 con una condanna del Molina che tuttavia non scoraggiava i gesuiti, esse furono riprese soltanto durante il pontificato di Paolo V ed ebbero ancora il B. tra i protagonisti. Di particolare importanza fu il suo intervento nella commissione cardinalizia convocata dal papa il 28 ag. 1607 per concludere finalmente la controversia. Contro il parere di quanti proponevano un nuovo rinvio delle discussioni o una prudente astensione del papa da un giudizio definitivo, egli ribadì quella che era stata la costante posizione del suo Ordine, chiedendo una esplicita condanna del Molina che tuttavia risparmiasse la compagnia di Gesù, della quale riconosceva ì rilevanti meriti nella difesa della fede. Paolo V non accolse il suggerimento solo apparentemente moderato e preferì porre termine alla disputa, lasciando al tempo di trovare un punto di incontro.
Rispetto a questa prevalente attività di teologo, la presenza politica del B. in Curia fu certamente meno importante, ma non irrilevante. Inizialmente le sue posizioni - quali risultano dai suoi orientamenti nei conclavi del 1591 e del 1592, nei quali si allineò disciplinatamente alle direttive del cardinale Alessandro Peretti - sfumano in quelle del partito "sistino". Ma quando il Peretti, nel conclave del 1592, sostenne il cardinale Santori, candidato di Filippo II, se ne differenziò nettamente, aderendo alla minoranza che si oppose con successo a quella elezione per avversione alla preponderante interferenza della Spagna. Esponente del più tenace conservatorismo della Curia, il B. fu indotto tuttavia a riaccostarsi al partito spagnolo dalla politica francese di Clemente VIII, conclusa dal riconoscimento di Enrico IV, nonostante i suoi trascorsi eretici: una relazione estense del 1600 lo cita infatti tra i partigiani "sicuri" della Spagna (Pastor, XI, p. 766) e le istruzioni di Enrico IV per il primo conclave del 1605 lo comprendono tra i cardinali sottoposti al veto francese. Il veto peraltro fu ritirato nel corso delle trattative tra il cardinale Pietro Aldobrandini ed il capo della fazione francese Joyeuse: il B. poté quindi apparire per breve tempo nel numero dei papabili, per affiancarsi poi significativamente, allora e nel secondo conclave di quell'anno, alla fazione guidata dallo stesso Aldobrandini.
Nonostante i suoi impegni curiali, il B. osservò con meticolosa puntualità i suoi doveri di vescovo: tenne ripetutamente la visita pastorale della sua diocesi di Ascoli, la provvide di un seminario e vi tenne due sinodi, nel 1591 e nel 1595. Clemente VIII lo trasferì il 16 giugno 1603 alla diocesi di Albano e Paolo V a quella di Porto, il 7 febbr. 1607. Attento osservatore delle vicende interne del suo Ordine, il B. va ricordato anche per il suo determinante intervento (1600) contro le iniziative innovatrici del maestro generale dei domenicani I. M. Beccaria.
Nel capitolo generale tenutosi a Napoli in quell'anno il Beccaria propose infatti una radicale riforma dei tradizionali moduli di governo dell'Ordine, che avrebbe dovuto garantire l'assoluta autorità dei generale, secondo l'efficiente modello proposto dai gesuiti. Sostanzialmente si prevedeva l'abolizione della elezione dei maestri provinciali e dei priori, la cui designazione veniva rispettivamente riservata al generale ed ai provinciali. Era evidente l'intenzione del Beccaria di rimuovere, con il vecchio sistema elettorale, una puntuale occasione di contrasti, che contribuivano non poco a scalzare l'antico prestigio dei predicatori a vantaggio dei nuovi Ordini creati dalla Controriforma, e in particolare della Compagnia di Gesù. Il Beccaria aveva accuratamente preparato la sua iniziativa, mettendo a tacere l'inevitabile malcontento dei confratelli, sicché l'approvazione del capitolo napoletano sembrava ridursi ad una mera formalità: in effetti durante i primi tre giorni del convegno la proposta del generale fu considerata come tacitamente approvata. A questo punto il B., che dopo la morte del Bonelli, cardinale protettore dell'Ordine, era la più autorevole personalità domenicana, gettò tutto il peso del proprio prestigio e delle proprie relazioni in una estrema difesa delle tradizioni minacciate. Argomentando che la riforma avrebbe esposto l'Ordine alla tirannide dei generali, che essa tradiva i caratteri essenziali dell'Ordine stesso e che era troppo radicale per essere decisa da un semplice capitolo, mentre semmai si sarebbe dovuta sottoporre al papa, e non trascurando neppure qualche insinuazione sulle ambizioni personali del Beccaria, il B. scrisse da Roma lettere pressanti ai padri del capitolo napoletano e incoraggiò uno di loro, il definitore d'Aragona Andrea Balaguer, a riaprire la questione che sembrava ormai definita. Le discussioni che ne seguirono, influenzate come furono dalla sua costante vigilanza, segnarono la sconfitta dei progetto riformatore.
Il B. morì a Roma il 5 ag. 1611.
Fonti e Bibl.:Constitutiones synodales Asculanae promulgatae anno Domini 1596, Asculi 1596; Bullarium Ordinis ff. praedicatorum, V, Romae 1733, p. 475; Acta capitolorum generalium, a cura di B. M. Reichert, V, in Mon. Ordinis fratrum Praedicatorum historica, X, Romae 1901, p. 307; VI, ibid., XI,ibid. 1902, pp. 129 s.; P. Sarpi, Istoria dell'Interdetto…, a cura di G. Gambarin, III, Bari 1940, pp. 190 ss.; V. M. Fontana, Sacrum theatrum dominicanum, Romae 1666, pp. 39. 132; F. Arisi, Cremona literata, II, Parmae 1706, pp. 398 s.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 998 s.;J. J. Berthier, Le couvent de Sainte-Sabine à Rome, Roma 1912, pp. 6, 44, 447, 451 s., 454, 722; D. A. Mortier, Histoire de maîtres généraux de l'Ordre des frères prêcheurs, VI, Paris 1913, pp. 47-49, 86; L. von Pastor, Storia dei papi,IX,Roma 1929, pp. 213, 919; X, ibid. 1928, pp. 172 s., 184, 507; XI, ibid. 1929, ad Indicem, XII, ibid. 1930, ad Indicem; G. van Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica…, III, Monasterii 1923, pp. 51, 66; IV, ibid. 1935, pp. 36, 37, 43, 45.