BOVIO (Bovi, de Bove, de' Buoi), Girolamo
Nacque a Bologna nel 1542. Figlio di Vitale, di nobile famiglia bolognese che nel sec. XVI diede numerosi giuristi e prelati, compì gli studi di diritto e venne nominato, nel 1576, avvocato del Sacro Concistoro, poi avvocato dei poveri dell'urbe e canonico di S. Pietro. Il 4 maggio 1580 fu eletto vescovo di Camerino e il 31 luglio consacrato a Roma. Il 3 ott. 1583 assunse l'ufficio di governatore della Marca, e in seguito di Ascoli, segnalandosi per una energica azione di governo.
Quando fu stabilito di richiamare in Italia il cardinale Alberto Bolognetti, il B. fu destinato a succedergli come nunzio presso Stefano Báthory: nel gennaio 1585 egli attraversava l'Austria; ai primi di febbraio si trovava a Vienna, e il 21 dello stesso mese inviava al cardinale di Como i suoi primi dispacci da Cracovia. Doveva però attendere ancora prima di incontrarsi col Bolognetti, allora a Varsavia, che solo verso la fine del marzo rimetteva nelle sue mani tutti gli affari della nunziatura; a partire dal 31 di aprile la Camera apostolica iniziava i pagamenti per la missione del B., dopo che il Bolognetti era partito per l'Italia.
L'attenzione del B. doveva concentrarsi sui seguenti problemi: i progressi della Controriforma, realizzati sostanzialmente dall'energica azione dei gesuiti, guidati dall'instancabile Antonio Possevino; i rapporti tra il re Stefano Báthory e l'imperatore, che sembravano ormai avviati a una normalizzazione definitiva, a tutto vantaggio dell'unità del mondo cristiano; i rapporti della Polonia con i Turchi, connessi con l'influenza polacca nella regione danubiana e ucraina.
Al contrario del suo predecessore, il B. svolse un'azione concorde con quella del Possevino: fin dai suoi primi dispacci, infatti, il B. esaltava senza riserve i meriti dei gesuiti, facendo menzione dell'attività di Piotr Skarga presso la corte; informava poi che i senatori di nuova nomina, come il pontefice desiderava, erano tutti cattolici e che gradualmente gli eretici venivano espulsi dal Senato.
Sebbene lentamente, la pacificazione tra il Báthory e Rodolfo, II compiva indubbi progressi: secondo l'accordo avviato dal Bolognetti e dal Possevino, l'imperatore s'era impegnato a soddisfare le pretese di Stefano in Ungheria attribuendogli vasti territori, che questi sosteneva essere beni patrimoniali della casa Báthory; ma i commissari imperiali, adesso, rifiutavano di cedere alcune terre intorno a Nagybánya, provocando il risentimento e la protesta di Stefano. Lo stesso Gregorio XIII s'era impegnato perché la controversia fosse composta amichevolmente, e ora il nuovo nunzio collaborava in questo senso col suo collega presso Rodolfo II, monsignore di S. Severo.
Il 2 luglio 1585 Antonio Possivino, scrivendo al B., esponeva le linee della sua concezione politica; ormai l'accordo tra Praga e Cracovia sembrava stabilito, ed era necessario che il pontefice fosse bene informato della sua importanza: si trattava, ora, di "promuover più interni attacchi" fra i due sovrani, per creare un fronte cattolico unito e portare il cattolicesimo alla riscossa, tramite il Báthory, in Moldavia, Valacchia e Moscovia: "la fede in alcun modo s'è ripiantata in Transilvania et in Livonia, e non è poca speranza che proceda più oltre in Moscovia e nell'oriente" (Arch. Segr. Vat., Nunz. di Polonia, 22, ff. 27r-30v). Il B. si affrettava a trasmettere la lettera del Possevino a Roma, appoggiando le richieste del gesuita, che insisteva da tempo per ottenere maggiori finanziamenti per le case dell'Ordine.
Nel quadro di queste direttive, il nunzio seguiva con comprensibile preoccupazione la pace conclusa tra Turchi e Persiani, che esponeva al pericolo i possedimenti di Venezia: gli Ottomani, infatti, secondo la valutazione del re di Polonia, sarebbero stati in grado di mantenere in Europa un'armata doppia rispetto agli anni passati. Contemporaneamente egli segnalava la sicura fede cattolica del giovane principe di Svezia, e pertanto cercava di appianare le differenze sorte col Báthory circa i confini della Livonia; si occupava anche della rivalità che divideva il clero latino, di nazionalità polacca, e quello ruteno, di nazionalità ucraina, con grave danno per la causa del cattolicesimo in quelle regioni.
Nell'estate del 1585 ebbe inizio il conflitto tra il nunzio e Stanislaw Karnkowski, arcivescovo di Gniezno e primate di Polonia. Al B. era giunta voce che alcuni vescovi polacchi auspicavano il ritiro del nunzio permanente e il passaggio delle sue attribuzioni al primate. Secondo il B., il clero polacco riluttava ad accogliere i canoni del concilio di Trento: i vescovi non osservavano l'obbligo di residenza, conferivano benefizi a giovanissimi e indegni, alienavano beni di chiese e monasteri senza discernimento, cedendoli a volte a eretici; infine, usurpavano le prerogative della S. Sede. La stretta collaborazione che sembrava ormai stabilita, con la casa Báthory portava a valorizzare la persona del cardinale Andrea Báthory, cui il B. riteneva si potesse affidare una diocesi; ne parlò al re, ma questi si mostrò assai prudente, rilevando che la consuetudine riservava i vescovati ai nobili polacchi, e che pertanto l'elezione di suo nipote non avrebbe mancato di urtare molte suscettibilità. A parere del nunzio queste norme relative alla nomina dei vescovi limitavano le prerogative della S. Sede ed erano incompatibili con i canoni di Trento: "Sua Maestà... mostrò d'andare riservata per rispetto alle costituzioni del regno, le quali non so... quanto canonicamente siano state fatte..., tanto più che si legge pure che questa [Cracovia] e altre città del Regno hanno avuto vescovi italiani, franzesi e forse d'altre nationi ancora, e non sono stati sempre nobili polacchi, come ricercano adesso..." (30 ag. 1585: ibid., f. 59r).
Per il momento il problema di Andrea Báthory venne differito, perché il re inviò quel suo nipote a Roma, con altro incarico; ma il mese successivo sorgeva una nuova controversia, assai più grave. Morto Piotr Myszkowski, decano della collegiata di Pultusk e canonico di Płock, si ritenne da parte polacca che la nomina del successore competesse allo starosta di Pultusk e al vescovo di Płock, mentre il nunzio intendeva avocarla a sé.
Il B. cominciò a stigmatizzare l'avidità del clero polacco: "molti di questi chierici sono tanto avidi de' benefizi che a ogn'uno di loro non bastavano quante dignità, canonicati, personati, plebanati, parrocchiali e quant'altri benefizi sono in tutto il regno... Il che a causa di molti, che sariano buoni per la Chiesa di Dio e attenderiano a servire S.D.M.tà con frutto nelli popoli catolici, restando senza benefizi pigliano altro indirizzo, et i benefizi, sebbene sono incompatibilissimi, si riducono tutti in pochi" (25 sett. 1585: ibid., f. 75r). La mancata osservanza dell'obbligo di residenza torna a tutto vantaggio degli eretici, i quali, "vedendo... i greggi così derelitti da' pastori e che alcuni non attendono ad altro che a pigliarsi l'entrate, s'ingeriscono talmente ne' popoli catolici, che in poco tempo e facilmente (non essendo chi gli custodisca) con le loro false persuasioni e male arti e specialmente con mostrarli il poco conto che i parrochi tengono del culto divino e d'essi parrochiani e la vita libera e licenziosa delli parrochi istessi, li tirano al proprio volere, massimamente essendo persone roze e facili percìò a sedurre; e di più si fanno padroni delle chiese così abandonate e vi predicano l'erisie" (ibid., ff. 75rv).
Dopo accuse così forti, si offrì al nunzio l'opportunità di passare all'azione: entrò così in un conflitto sempre più acuto col clero polacco. Nel giugno 1586 Albrecht Baranowski, presbitero del monastero cluniacense di Tyniec, era stato destinato dall'abate e dal convento alla prepositura di Kościelna Wieś, nella diocesi di Gniezno, vacante per la morte di Kaspar Sierakowski. Ma l'arcivescovo di Gniezno occupò il monastero di Kościelna Wieś allo scopo di insediarvi un proprio candidato, "cum magno numero militum armata manu", devastando i campi coltivati, predando pascoli e case (30 luglio 1586: Nunz. di Pol., 27 A, ff. 44r-45v).
Il B. non indugiò a citare di fronte al proprio tribunale in Varsavia i principali collaboratori dell'arcivescovo: il notaio pubblico nella diocesi di Gniezno e il cancelliere dell'arcivescovo; quest'ultimo, Jakub Łempicki, era canonico di Gniezno e detentore di svariati benefici, nobile "ex utroque parente" e segretario reale. Poiché il Karnkowski non rinunciò a sostenere i suoi protetti, il processo assunse dimensioni considerevoli, portando alle estreme conseguenze il conflitto tra il clero polacco e il rappresentante della S. Sede.
Frattanto giungevano a Roma le notizie sul precario stato di salute del re Stefano. Il problema della successione si presentava difficile, giacché il Báthory era privo di eredi; in queste condizioni l'azione del rappresentante della S. Sede andava impostata diversamente: occorreva anzitutto realizzare l'unità del partito cattolico, eliminando ogni dissidio interno, e poi procedere alla scelta di un candidato, senza compromettere i rapporti tra Polonia e Impero, rimasti sempre precari. Non è affatto improbabile che queste considerazioni abbiano suggerito il tempestivo richiamo del B. e la sua sostituzione con l'arcivescovo di Napoli Annibale da Capua. Nell'ottobre 1586 questi veniva destinato alla successione del B.; si era già messo in viaggio per Cracovia, quando, il 10 genn. 1587, giungeva a Roma la notizia della morte di Stefano. Il 21 febbraio Annibale da Capua era ormai giunto in Polonia.
Dopo aver indugiato a Cracovia fino al marzo, il B. tornò in patria a riprendere possesso della sua diocesi. Celebrò a Camerino tre sinodi, iniziando una serie di controversie con i canonici che lo resero inviso a gran parte della cittadinanza; abbellito il palazzo episcopale e consacrata la cattedrale, abbandonò la sua sede per trasferirsi a Roma. Qui morì il 26 genn. 1596. Fu sepolto nella chiesa dei Bolognesi, ma l'anno seguente il suo corpo fu trasferito a Bologna insieme con quello del cardinal Paleotto; trovò definitiva sepoltura nella chiesa dei frati di S. Martino, dove lo ricorda un'iscrizione posta dai familiari.
Fonti eBibl.: Arch. Segr. Vat., Nunziat. di Polonia, 21, ff. 475r-477r; 22, ff. 4r-94r; 23, ff. 47r, 66r; 27, ff. 5r, 75r (lettere e dispacci del B.); 27 A, ff. 44r-130r (costituti del Łempicki); Alberti Bolognetti nuntii apostolici in Polonia epistolae et acta, III, 2, a cura di E. Kuntze, in Mon. Pol. Vat., VII, Kraków 1950, pp. 637, 666, 676, 679; T. Amayden, La storia delle famiglie romane, a cura di C. A. Bertini, Roma s.d., I, p. 220; G. N. Pasquali Alidosi, I sommi pontefici,cardinali,patriarchi e vescovi bolognesi..., Bologna 1621, p. 127; C. Cartari, Advocatorum Sacri Consistorii Syllabum, Roma 1656, pp. CLXXXII-CLXXXIII; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, col. 567; S. Ciampi, Bibl. critica delle antiche reciproche corrispondenze... dell'Italia colla Russia,colla Polonia ed altre parti settentrionali..., Firenze 1834, II, p. 45; A. Przezdziecki, Listy Annibala z Kapui... o bezkróIewiu po Stefanie Batorym i pierwszych latach panowania Zygmunta III.go..., Warszawa 1852, pp. 6, 22, 34, 35, 36; S. Ehses, Das polnische Interregnum 1587, in Römische Quartalschrift, IX (1895), p. 382; H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanentes jusqu'en 1648, Helsinki 1910, p. 142; G. v. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, p. 149.