BUONAGRAZIA, Girolamo
Nato a Firenze il 2 febbr. 1470, è noto sia per la sua attività di medico sia per aver preso parte al tumulto antimediceo del 26 apr. 1527 che va sotto il nome di "tumulto di venerdì", sia, infine, per essere stato per primo sottoposto a giudizio come luterano dall'Inquisizione della sua città. Il padre, Bartolomeo di Giovanni di Baldo, membro dell'arte dei rigattieri e residente nel quartiere di S. Giovanni, fu due volte priore (gennaio-febbraio 1491 e maggio-giugno 1500). Lo stesso B. fu nel 1502 uno dei "gonfalonieri delle compagnie" (probabilmente come rappresentante dell'arte dei medici e speziali) e venne nominato priore per il bimestre gennaio-febbraio 1507; suo fratello, Buonagrazia, fu priore nel maggio-giugno 1510.
Come per altri elementi della vita del B., non abbiamo notizie circa il luogo ove studiò medicina; è probabile, comunque, che conseguisse il dottorato. Quando alla fine del 1522 Firenze venne colpita dalla peste, fu il medico ufficiale della Compagnia della Misericordia. In questa veste fu scelto per partecipare a un incontro tra i rappresentanti della Compagnia e il Collegio dei medici al fine di discutere le misure più adatte a limitare i danni dell'epidemia. Il 16 genn. 1523 i direttori della Compagnia autorizzarono uno dei membri della stessa, Filippo Gaborini "cartolaio", a stampare su pergamena settantadue copie di un Consiglio sopra lapeste, scritto dal B. perché fosse distribuito ai "fratelli" della Compagnia.
Ci sono pervenuti soltanto pochi esemplari dell'Opera nuova della provisione et cura del morbo (uno siconserva nella Biblioteca nazionale di Firenze). Diviso in due sezioni - venticinque pagine di consigli medici scritti in lingua latina per medici e uomini di cultura, dieci pagine di consigli scritti in volgare e indirizzate "a quelli che delle lettere non hanno cognitione" -, il trattato è un affascinante insieme di precauzioni igieniche d'ordine pratico, e tuttora valide per evitare il contagio epidemico, e di fantastiche prescrizioni di un'infinità di pillole, polveri e unguenti ritenuti efficaci contro la peste. Il B. non mancò di ricordare ai suoi lettori che la peste doveva considerarsi senza dubbio un castigo divino: e perciò la confessione, la preghiera, l'elemosina e altre opere buone costituivano la prima linea di difesa contro la malattia.
Il fatto che nessun Buonagrazia coprì uffici pubblici dopo la restaurazione dei Medici nel 1512 può indicare un'opposizione alla famiglia dominante in Firenze e forse simpatie piagnone. Comunque, la partecipazione del B. agli avvenimenti del 26 apr. 1527 (quando la folla si impadronì di Palazzo Vecchio approfittando della temporanea assenza dei Medici e dei loro funzionari) è attestata dagli storici contemporanei Giovanni Cambi, Iacopo Nardi e Benedetto Varchi. Il B. è tra i tre o quattro segnalati dopo il ritorno dei Medici dal cardinale Silvio Passerini per una punizione esemplare, perché era stato tra quelli che maggiormente si erano distinti nel chiedere ai Priori la proclamazione della repubblica e la cacciata definitiva dei Medici. Venne multato di 1.000 scudi, ma non si presentò in giudizio, né pagò; fuggì a Siena, ove raggiunse il figlio che aveva dovuto lasciare Firenze in tutta fretta per aver ucciso Carlo Serristori nel corso di una lite. Quando nei mesi successivi venne restaurata la Repubblica fiorentina il B. funse da suo rappresentante nelle trattative con Siena in merito alle proprietà fiorentine occupate da cittadini senesi durante la prigionia di Clemente VII.
Non si sa esattamente quando il B rientrò a Firenze. Il suo nome non compare nella lista dei cittadini multati o banditi per aver difeso la città durante l'assedio del 1530. Intorno al 1531, tuttavia, era a Firenze, ove incontrò serie difficoltà. Il 25 sett. 1531 venne multato di 40 fiorini d'oro dagli Otto di Guardia e Balia per detenzione di armi (che - suppone L. Passerini - dovevano esser state nascoste per rappresaglia nella sua casa da ser Maurizio, un agente di Alessandro de' Medici). In questo periodo il B. venne incarcerato nella prigione dell'Inquisizione in S. Croce sotto l'accusa di aver commesso un crimine diverso e più grave: gli si imputava di essere stato in corrispondenza con Martin Lutero nel 1527 e di aver espresso pubblicamente approvazione per i suoi insegnamenti.
Secondo la sua confessione (che porta la data del 7 dic. 1531 e che venne da lui sottoscritta alla presenza di Lorenzo de' Muzi, vicario dell'arcivescovo di Firenze, e dell'inquisitore Giovanni de Lanciola) egli era accusato di sei crimini di eresia; per tutti e sei egli fece piena confessione di colpevolezza, cercando soltanto di spiegarli come momentanee deviazioni dalla fede cattolica. In primo luogo ammise che durante la prigionia di Clemente VII nel 1527, "cum Romana ecclesia fluctuabat", aveva scritto a Lutero, lodando la sua dottrina; ora capiva di aver scelto il momento meno adatto per criticare Roma e per esaltare la setta luterana. In secondo luogo, aveva più volte negato in passato l'esistenza del purgatorio, nel quale, invece, ora, in virtù di un miracolo, credeva. Ancora, intorno al 1523 aveva pensato che i preti indegni erano anticristi, idea che l'arcivescovo di Assisi A. Marzio e gli inquisitori l'avevano aiutato a riconoscere come falsa.
La quarta accusa dà la misura del profondo senso di insicurezza che dovevano provare il duca Alessandro e i suoi sostenitori e può aver costituito la ragione principale dell'arresto del Buonagrazia. Il B. infatti ammetteva di aver recato grande offesa alla Sede apostolica e alla fede cristiana, essendo stato nel 1527tra i promotori della rivolta antimedicea.
Inoltre, egli ammise di aver consegnato al figlio una spada e di avergli detto che era giunto il momento di usarla. Infine confessò di aver detto a Domenico de' Bencivenni, un frate camaldolese, "se io fussi stato confinato io sarei ito a trovare Martino Luthero et lo arei solicitato, e fatto e detto, e m'intende di quello facultà, e sarei ito a trovare lo Imperadore, et li arei detto che il confessore suo è un ribaldo et che lo inganna".
La sentenza che lo colpì sembra confermare l'impressione che le autorità si interessassero più al suo atteggiamento politico che alle sue opinioni religiose. Non gli venne inflitta alcuna pena corporale: venne multato di 2.000 fiorini d'oro e inviato in esilio perpetuo a Pisa, con la minaccia di mandarlo al rogo se non avesse ottemperato al dispositivo della sentenza. Il B., tuttavia, rientrò a Firenze intorno al 1537, quando il suo nome compare in un atto di compravendita. Secondo il Passerini, il B., al pari dei banditi del 1530, dovette ricevere il pieno perdono in occasione della celebrazione del matrimonio di Alessandro de' Medici con Margherita d'Austria nel 1536.
Il B. morì a Firenze, nella fede cattolica, il 29 luglio 1541.
La natura delle accuse rivolte al B. non può far pensare che egli avesse aderito pienamente alla religione riformata al pari del suo concittadino Antonio Brucioli (con il quale non sembra che fosse stato mai in contatto). Inoltre il suo legame con i fautori del Savonarola è così labile che non si può dire con sicurezza che egli fosse stato dei piagnoni. Del B. è possibile affermare soltanto che, quale oppositore dei Medici, era pronto - in quel periodo di turbolenze - a considerare come potenziali alleati tutti i nemici della famiglia dominante e del suo capo Clemente VII; e che il governo del duca Alessandro, per formulare l'accusa di sedizione contro di lui, si valse delle sue dichiarazioni in modo da aggiungervi un'accusa di eresia. Perciò il B. deve essere compreso non nel novero ristretto dei convinti protestanti italiani di quel periodo, bensì nel più ampio numero di quelli che per ragioni politiche adottarono temporaneamente un atteggiamento filoprotestante.
Fonti e Bibl.:Per gli uffici ricoperti dai membri della famiglia Buonagrazia sivedano i numerosi Prioristi editi e inediti. L'Opera nuova della provisione etcura del morbo è esaminata epubblicata per laparte in volgare da U. Morini, Doc. ined. o poco noti per la storia della Misericordia di Firenze, Firenze 1940, pp. 124-133.La partecipazione al "tumulto di venerdì" (ma, stranamente, non il suoscontro con l'Inquisizione) è trattata da G. Cambi, Istorie, in Delizie degli eruditi toscani, XXIII, Firenze 1786, p. 310; (I. Nardi), Una lettera di I. Nardi sulla mutazionedello stato nel 1527, a cura di V. Fiorini, in Misc. fiorentina di erudiz. e storia, I, Firenze 1886, p. 139; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, I, Firenze 1843, pp. 157, 289;e G. Busini, in Lettere di F. B. Busini a B. Varchi sopral'assedio di Firenze, acura di G. Milanesi, Firenze 1860, p. 230. L. Passerini ha pubblicato e discusso la confessione del B. e la sentenza che lo colpì (Archivio di Stato di Firenze, Otto di Custodia e Balìa,Libro di partite e deliberazioni dei mesi da settembre a tutto dicembre 1535, pp. 87v-91r), in Arch. stor. ital., s. 4, III (1879), pp. 337-345: lo studio del Passerini contiene numerosi errori di datazione e la sua interpretazione del luteranesimo del B. è ingenua. G. Spini, Tra Rinascimento e Riforma: Antonio Brucioli, Firenze 1940, p. 61, ricorda la mancanza di prove per i rapporti tra il B. e il Brucioli.