BUSALE, Girolamo
Ignota è la data di nascita del B. e incerta la sua origine. Il Biandrata e il Dávid affermano che era nativo della Calabria e che suo padre era spagnolo. Un testimone un po' più vicino al B., P. Manelfi, nei suoi completi ma non del tutto attendibili costituti del 1551, lo chiama "figliuolo di Martino Bussala neapolitano". Ognuna di queste affermazioni contiene una parte di verità. Certamente il B., sua madre e i suoi fratelli consideravano Napoli la loro patria; il B. vi trascorse parecchio tempo; e quando si trovò nella Repubblica veneta, cercò di associarsi con altri Napoletani. Anche i suoi rapporti con la Calabria sono stati chiariti: in quanto abate in commendam dell'abbazia di S. Onofrio, presso Monteleone, si recò a volte nella sua abbazia, certamente per incassare la rendita calcolata a 1.000 ducati l'anno. Inoltre le direzioni - sia intellettuale, sia geografica - in cui egli si mosse fanno pensare che i suoi genitori fossero marranos, anche se mancano prove.
Tra i problemi che pone la ricostruzione della sua vita è anche quello dell'accertamento del suo esatto nome.
C. Sand, compilatore di una antica raccolta di storie di unitariani, basandosi su un breve ricordo del B. apparso nel De falsa et vera unius Dei patris,Filii et Spiritus Sancti cognitione di G. Biandrata e F. Dávid (1568), lo chiama Leonardo; e l'autorità del Sand è stata accettata sino alla fine del secolo scorso. Nel 1878 D. Berti, il cui lavoro sui seguaci di Juan de Valdés fu uno dei primi a basarsi sui documenti dell'Inquisizione veneziana che costituiscono la fonte principale per la vita del B., confuse sbadatamente "l'abate Busale" (Girolamo) con suo fratello Matteo, facendone una sola persona. Dopo il 1885, quando K. Benrath ed E. Comba pubblicarono i risultati delle loro ricerche sulla Riforma in Italia, simili ma condotte separatamente, il problema poteva considerarsi risolto: entrambi indicarono il B. con il nome di Girolamo. Tuttavia, di recente E. M. Wilbur gli ha di nuovo dato l'errato nome di Leonardo (in seguito, però, si è corretto), e G. H. Williams (The Radical Reformation, Philadelphia 1962, p. 568 n.) ha usato il nome Matteo per indicare "l'abate" (Girolamo).
Il nome del B. è ricordato per la prima volta dalle fonti nel 1538, quando egli a Padova prese in affitto un appartamento, insieme con il figlio di don López de Soria, ambasciatore spagnolo a Venezia. L'abate Busale, come lo chiamavano i suoi contemporanei (ma non ci sono prove che egli fosse un monaco professo o che avesse preso gli ordini), probabilmente era andato a Padova per studiare filosofia presso quella università. La ben nota enfasi che l'aristotelismo padovano dava a problemi come l'immortalità dell'anima deve aver contribuito a sviluppare in lui una mentalità logica e problematica. Ma è altrettanto probabile che altre cause, sia precedenti sia contemporanee, abbiano giocato un ruolo ugualmente importante nello sviluppo della sua opposizione ad alcune dottrine cattoliche. Se, infatti, egli veniva da una famiglia cripto-ebraica, doveva essere portato già da tempo a dubitare della dottrina della Trinità e a diffidare del Nuovo Testamento. E forse prima di trasferirsi a Padova era stato influenzato dai contatti avuti a Napoli con i seguaci più radicali del Valdés.
Probabilmente l'aspetto più significante del primo soggiorno padovano del B. fu la sua assidua frequenza alle conferenze sulla Scrittura tenute da don Marco da Cremona nell'abbazia di S. Giustina.
Come ha rilevato A. Stella, S. Giustina, al pari di S. Giorgio Maggiore di Venezia e di S. Benedetto Po di Mantova, andava famosa sia per il rigore della vita ascetica, sia per gli studi biblici. La spiritualità che vi dominava si differenziava sensibilmente dalle varietà di misticismo popolare come quello del Valdés; i benedettini sottolineavano un intimo rapporto tra il testo delle Scritture e la capacità della mente umana ispirata dallo Spirito Santo di cogliere il loro autentico significato. Le conferenze di don Marco (che Gasparo Contarini nel 1537 aveva dovuto difendere contro i soste-nitori di una più angusta ortodossia monastica) facevano accorrere ascoltatori da tutte le classi sociali, tra cui molti studenti.
Secondo Giulio Basalù, un cugino del B. che in quel medesimo tempo studiava diritto a Padova, don Marco spiegando le lettere di s. Paolo aveva dato il maggior rilievo alla giustificazione mediante la sola fede. Tale interpretazione fece tanto effetto sul B. che cominciò a discutere di questo e di altri problemi religiosi con i suoi amici. Il Basalù affermò che egli stesso, privo della competenza teologica, della conoscenza del greco e dell'ebraico e dei poteri di persuasione del parente, era stato alla fine convinto (in parte grazie anche ai suoi studi di filosofia) che l'anima è mortale. Così il Basalù si espresse durante il processo subito per eresia nel 1555: "Costui [il B.] è stato un gran diavolo et gran temerario perché inquietava ognuno con chi praticava et lui solo di quanti ho cognossuto disputava de le sue opinioni et si persuadeva che ognuno si aquietasse a le sue ragioni".
Le idee religiose del B. maturarono nel periodo 1542-1546, durante le sue brevi visite alla sua abbazia calabrese alternate con lunghi soggiorni a Napoli. Qui egli si legò a un gruppo di discepoli del Valdés i quali, dopo la morte del loro maestro nel 1542, erano andati molto oltre il suo equivoco misticismo.
Il nuovo capo di questo gruppo (che comprendeva un certo numero di ex studenti padovani) era Juan de Villafranca, uno spagnolo al servizio del viceré di Napoli e ospite di Isabella Bresegna. Le testimonianze del Basalù e del fratello del B., Matteo (1555), ci offrono notizie sul metodo usato dal Villafranca per condurre i suoi ascoltatori a conclusioni sempre più radicali. Partendo dalla comune dottrina della giustificazione attraverso la sola fede, lo spagnolo - utilizzando l'analisi filologica alla maniera del Valla e di Erasmo, approfonditi mediante la lettura di numerosi libri protestanti, e utilizzando altresì argomenti logici - li convinceva a considerare i sacramenti meri segni e a credere nel sonno delle anime tra la morte e il giudizio universale. Infine i membri del gruppo erano portati alla negazione della Trinità: posizione, questa, che essi riconoscevano come ariana. Nell'inverno 1544-1545 - durante il quale morì il Villafranca e il B. assunse in pratica la guida del gruppo - arrivò a Napoli Francesco Renato di Calabria. Dopo aver discusso con lui "molte chimere di interpretatione et di ponti de la lingua hebraica", il B. ed altri radicali cominciarono a discutere il problema se il vero messia fosse già apparso in terra.
Intorno al 1546 il B. lasciò Napoli per l'Italia settentrionale. Poco sappiamo della sua attività durante i successivi tre anni, anche se tanto la testimonianza del Basalù quanto la tradizione sociniana indicano che egli conobbe il giovane Lelio Sozzini e altri membri dei cosiddetti Collegia Vicentina. Per meno di un anno, nel 1549-1550, lavorò come segretario di Isabella Bresegna a Piacenza, ove incontrò e convertì dal "luteranesimo" l'ex frate olivetano Giovanni Laureto. Quando nell'estate del 1550 si trasferì a Padova con il Laureto (probabilmente per sottrarsi all'attenzione della Inquisizione milanese), il B. aveva ormai adottato definitivamente una versione giudaizzante dell'antitrinitarismo. Egli predicava ora che Gesù non era il messia e sosteneva che un esame strettamente linguistico del Nuovo Testamento avrebbe dimostrato che le Scritture erano state alterate da s. Girolamo per diffondere la falsa nozione del concepimento di Gesù da parte dello Spirito Santo e della sua nascita da una vergine. Facendo proseliti in territorio veneziano in maniera del tutto scoperta, il B. consigliava ai suoi antichi amici di abbandonare la loro cauta posizione nicodemita.
L'aspetto più importante dell'attività del B. in questo periodo fu la sua azione diretta alla fusione tra gli antitrinitari (per lo più napoletani di buona cultura come lui) e alcuni anabattisti, in maggioranza di umili origini. Dopo aver ricevuto un nuovo battesimo dalle mani di Niccolò D'Alessandria di Treviso, il B. riuscì a persuadere un certo numero di anabattisti ad accettare la propria versione dell'antitrinitarismo. Ma poiché non tutti gli anabattisti veneti erano disposti a muoversi in quella direzione che sembrava portare, in ultimo, al completo abbandono di tutte le dottrine cristiane, alla fine del 1550 venne convocato a Venezia un sinodo anabattista per discutere il problema dell'antitrinitarismo. Si dubita dell'intervento del B. al sinodo, ove fu raggiunto un compromesso sul problema principale: Cristo, sebbene generato in maniera naturale, era il messia. Nonostante che questa posizione ufficiale non rispecchiasse appieno le sue idee, il B. lavorò attivamente con il gruppo anabattista-antitrinitario di Padova, fungendo da ministro dal dicembre 1550 al febbraio 1551. In questo periodo egli aveva rinunciato al beneficio abbaziale a favore di uno dei suoi fratelli. Secondo il Manelfi, il B. aveva offerto in un primo tempo le rendite del suo beneficio agli anabattisti, i quali, però, si erano rifiutati di accettare assistenza finanziaria da parte di uno che "magnava (sic) del sangue della bestia, cioè del papa".
Nel febbraio 1551, quando il capo anabattista Benedetto Del Borgo di Asola venne arrestato a Rovigo, il B. e altri dirigenti vennero persuasi dai loro confratelli a fuggire. Il Laureto, che lo accompagnò a Napoli, testimoniò in seguito che durante il viaggio il B. cominciò a pronunciare profezie circa il destino dei radicali e la punizione divina dei loro persecutori (comportamento, questo, piuttosto strano, che il Laureto attribuì a insania). Per molti mesi il B. predicò incessantemente per le strade di Napoli, accentuando gli aspetti giudaizzanti delle sue dottrine, a tal punto che i radicali veneti ricevettero notizie dell'apparizione a Napoli di una "nova setta".
Infine, nel settembre del 1551 il B. fu persuaso dal fratello Matteo, da sua madre e dal Laureto a cercare rifugio con la famiglia ad Alessandria d'Egitto. Nel febbraio del 1552 (stando almeno a quanto il fratello Bruno ne sapeva, o era disposto a confessare all'Inquisizione) non era andato oltre Messina. Dopo questa data mancano ulteriori sue tracce certe. Il sociniano seicentesco S. Lubieniecki, in base al racconto storico del segretario di F. Lismanino, S. Budzinski, e alla vita di L. Sozzini (entrambi ora perduti), afferma che il B. cercò rifugio a Salonicco insieme con circa altri quaranta radicali. In effetti un certo numero di anabattistiantitrinitari veneti si stabilirono a Salonicco. Ma il Laureto, narrando del proprio viaggio a Salonicco - ove era stato respinto da Niccolò D'Alessandria per le sue idee troppo radicali, quindi accolto nella locale comunità ebraica come un convertito, e alla fine si era pentito e aveva deciso di rientrare a Venezia per confessare - non ricorda il B. né come un attuale né come un passato residente di Salonicco. Il Biandrata e il Dávid affermano, poi, che il B. finì i suoi giorni come rammendatore di vecchi vestiti a Damasco, affermazione che implica la fissazione della sua morte intorno al 1568. In realtà gli ultimi anni del B. restano sconosciuti.
Fonti e Bibl.:Le principali fonti sul B. si trovano nell'Archivio di Stato di Venezia, Sant'Uffizio,Processi, buste 9 (costituti di Pietro Manelfi, novembre 1551); 11 (processo e costituti di Bruno Busale, dicembre 1551; costituto di Giovanni Laureto, ottobre 1553); 13 (processo e costituti di Giulio Basalù, marzo 1555); 24 (processo di Alvise De' Colti, dicembre 1551); 158, reg. II (testimonianza di Bernardino Prandi e Giacometto "stringaro", gennaio 1552); 158, reg. III (processo e costituti di Lorenzo Tizzano, alias Benedetto Florio, ottobre-dicembre 1553; processo e costituti di Bruno Busale, febbraio 1555); 159 (processo e costituti di Giulio Basalù, marzo 1555). C. Ginzburg ha pubblicato un'edizione critica dei costituti del Manelfi (con altro materiale proveniente da altre fonti archivistiche), Icostituti di don Pietro Manelfi, Firenze-Chicago 1970. Il costituto del Tizzano fu pubblicato per intero da D. Berti, in Atti della R. Accad. dei Lincei classe scienze mor., stor. e filos., s. 3, II (1877-1878), pp. 67-72; e in parte da F. Lemmi, La riforma in Italia e i riformatori ital. all'estero nel sec. XVI, Milano 1939, pp. 65-74. E. Pommier ha pubblicato e discusso la confessione del Laureto in Mélanges d'archéol. et d'histoire, LXVI(1954), pp. 293-322. Elementi sul soggiorno padovano del B. nel 1538 sono stati rinvenuti a Padova (Archivio notarile) da D. I. Scattolin, Storia dell'univ. di Padova nel sec. XVI: professori,studenti,libri... (tesi di laurea, univ. di Padova, fac. di magistero, anno accad. 1968-1969), pp. 488-490, segn. da A. Stella, in Atti dell'Ist. veneto di scienze,lettere e arti, CXXVIII(1969-1970), p. 19 n. dell'estr. La presenza presso Isabella Bresagna a Piacenza nel 1549-1550 è testimoniata da una lista, conservata nell'Archivio di Stato di Modena, Archivio Fiaschi, intitolata Eretici che erano in Ferrara al tempo di Madama Renea (1554) e pubbl. da B. Fontana, Renata di Francia,duchessa di Fomara, III, Roma 1894, p. XXXIV. I primi a occuparsi del B. sono stati G. Biandrata e F. Dávid, De falsa et vera unius Dei patris,Filii et Spiritus Sanctis cognitione libri duo authoribus ministris Ecclesiarum consentientium in Sarmantia et Transylvania, Gyula-Fehérvár 1568, p. E 2r; il passo relativo al B. si trova anche nell'estratto di questo lavoro pubbl. da D. Cantimori ed E. Feist, in Per la storia degli eretici ital. del sec. XVI in Europa, Roma 1937, p. 109. Echi della tradizione sociniana sulla sua partecipazione ai Collegia Vicentina e sulla sua fuga a Salonicco si trovano in S. Lubieniecki, Historia reformarionis Polonicae, libro II, cap. 1, pubbl. in C. Sand, Bibliotheca antitrinitariorum, Amsterdolami 1684(facsimile ristampato a Warszawa 1967), p. 39;il Sand si occupa del B., traendo, le sue informazioni da Biandrata-Dávid e da Lubieniecki, a p. 18(il materiale d'ambiente per i lavori del Sand e del Lubieniecki è offerto da E. M. Wilbur, A history of Unitarianism, I, Socinianism and its antecedents, Cambridge, Mass. 1946, p. 81). Circa la questione dibattuta dello stanziamento di radicali a Salonicco (argomento che non è stato mai toccato né dagli studiosi dell'Impero ottomano, né dagli storici della cospicua colonia ebraica locale), si vedano R. Friedmann e H. De Wind, in Mennonite Quarterly Review, XXIX(1955), pp. 54-69 e 70-73. Accenni al B. basati su ricerche d'archivio si trovano in B. Morsolin, in Atti del R. Ist. veneto di scienze,lettere ed arti, s. 5, V (1878-1879), pp. 457-493; K. Benrath, in Theologische Studien und Kritiken, LVIII (1885), pp. 22-29, e Gesch. der Reformation in Venedig, Halle 1887, p. 79; E. Comba, in La riv. cristiana, XIII 1885), pp. 21-24, 83-87, e Inostri protestanti, II, Firenze 1897, p. 492; e L. Amabile, II Santo Officio della Inquis. in Napoli, I, Città di Castello 1892, pp. 159-163. Tutte queste trattazioni, tuttavia, sono state superate dalle discussioni sul B. contenute in due recenti volumi dello Stella: Dall'anabattismo al socinianesimo nel Cinquecento veneto. Ricerche storiche, Padova 1967, passim;e in partic. Anabattismo e antitrinitarismo in Italia nel XVI secolo…, Padova 1969, pp. 1-97.