CARUSO, Girolamo
Nato ad Alcamo (prov. di Trapani), il 18 sett. 1842, compì gli studi secondari a Palermo e si laureò in agraria a Napoli nel 1861. Dopo aver trascorso alcuni anni nell'esercito, nel 1864 fu nominato professore di agraria presso la scuola provinciale agraria di Corleone (Palermo), di cui ebbe anche la direzione fino al 1867, quando passò a insegnare economia rurale ed estimo presso l'istituto tecnico di Messina. In questi anni attese a ricerche sulla agricoltura siciliana, sia di carattere strettamente economico (sul maldigomma degli agrumi, sulla viticoltura e la vinificazione, sulla olivocoltura), sia di carattere più ampio, ove il suo interesse si spostava dai fatti meramente tecnici e produttivi al rapporto fra essi e tutta la problematica sociale relativa (né mancano in questo ambito gli studi di carattere storico). Particolare successo ebbe il suo lavoro su L'industria dei cereali in Sicilia e le popolazioni che la esercitano (Palermo 1870), che bene si collocava all'interno del processo conoscitivo riguardante il nuovo Stato unitario e la sua realtà economico-sociale, che propno in quegli anni veniva prendendo l'avvio sulla base, da un lato, delle grandi inchieste pubbliche, dall'altro della sempre più ricca serie di indagini condotte dagli studiosi spinti dall'interesse scientifico.
Nel volume del C. alla descrizione di tecniche agrarie e di macchine agricole venivano uniti concreti suggerimenti: si consigliava il sistema "a quinqueria" per la rotazione agraria in uso nelle maggiori masserie dell'isola, e si indicavano gli strumenti agricoli più adatti tra quanti l'industria meccanica applicata alla cerealicoltura aveva fino ad allora realizzato.
L'opera valse al C. la cattedra di agronomia, agricoltura ed economia rurale nell'università di Pisa, assegnata in seguito a concorso (1871). Gli anni fra il 1872 e il 1876 furono molto attivi e fruttuosi per il C., che riuscì ad affermarsi come figura di primo piano fra gli agronomi italiani, ricollegandosi, con una serie di importanti iniziative, alla scuola più celebre, quella toscana del Ridolfi e del Cuppari, dei quali da allora in poi egli si presentò esplicitamente come l'erede (cfr. il suo articolo L'opera agraria di C. Ridolfi, in L'agric. ital., X [1904]). Nel 1872, dopo aver assunto insieme con la cattedra di agronomia anche la direzione della scuola agraria e del glorioso Istituto agrario pisano, creato trent'anni prima dallo stesso Ridolfi, il C. fondò il Comizio agrario di Pisa. L'anno successivo pronunciò la importante prolusione su I sistemi di amministrazione rurale e la questione sociale (Pisa 1874); nel 1874 fondò la rivista L'agricoltura italiana;nel 1875 partecipò al quarto congresso generale degli agricoltori italiani, tenuto a Ferrara, presentando la relazione Sull'ordinamento dell'istruzione agraria.
Nella prolusione del 1873 il C., ponendo l'accento ancora una volta sui riflessi sociali dei fatti economici e produttivi, affrontò il classico problema della mezzadria, avanzando al proposito una serie di considerazioni che si inserivano nella più perfetta ortodossia del pensiero moderato ottocentesco e in particolare si collegavano strettamente alla "difesa" dell'istituto mezzadrile svolta dai "gentiluomini di campagna" toscani. In primo luogo la mezzadria aveva la sua ragion d'essere sul piano economico nel rigido legame che essa instaurava tra la famiglia coltivatrice e la terra. Legame dal quale dipendeva, da un lato, la caratteristica possibilità di incrementare e di distribuire la popolazione rurale anche nelle zone e sui terreni più lontani e difficili; dall'altro la necessità da parte del contadino, in ragione della sua autonomia come produttore e come consumatore, di "moltiplicare" il proprio lavoro. È appunto in questo caratteristico incremento della quota del capitale circolante spettante al socio contadino, e alla conseguente possibilità da parte del proprietario di ridurre la propria, che il C. individuava la "convenienza economica" della mezzadria. Una analisi, questa del C., del tutto simile a quella svolta trent'anni prima da Cosimo Ridolfi, anche se di quest'ultimo, nelle considerazioni dell'agronomo di Alcamo, non si riflettevano i dubbi e l'amarezza, legati alla denuncia dell'isolamento e del sopralavoro contadino. Tuttavia la ragione di fondo per la quale appariva necessario conservare il sistema mezzadrile, non era tanto da ricercare, per il C., sul piano economico, quanto su quello sociale. Sotto questo aspetto il C. si richiamava (liberandola soltanto in parte dal tono moralistico e paternalistico) alla teoria cara a Lambruschini, a Capponi, a Ricasoli, e riproponeva nei termini più chiari la classica contrapposizione fra la "quiete" dei mezzadri "amanti dell'ordine, della proprietà, della famiglia, delle leggi", e la turbolenza, la pericolosità sociale dei braccianti, dei proletari agricoli, definiti "quei masnadieri che formano il braccio forte di tutti i rivolgimenti politici".Ma se con questa che è stata chiamata la più "gagliarda e sapiente" difesa della mezzadria, il C. si ricollegava al filone maestro della tradizione del moderatismo toscano, non meno chiaramente egli vi si ricollegava mediante il richiamo all'altro concetto principale di tale tradizione: il concetto della "nuova scienza agraria", intesa come sintesi di scienza e arte, di teoria e pratica. È tenendo presente questo aspetto e il significato che conseguentemente assumeva nel C. la nozione di "istruzione agraria", che si comprende il significato del suo interesse per la fondazione del Comizio agrario pisano, di una istituzione, cioè, che da tempo si era dimostrata come l'unica idonea a sollecitare una maggiore collaborazione fra coloro che operavano concretamente al livello della produzione (proprietari, agenti, coltivatori), da un lato, e i teorici e i ricercatori dall'altro. La stessa profonda esigenza di "portar la scuola nei. campi" fu alla base della decisione del C. di dar vita nel 1874 a una rivista di agraria, il cui scopo, come si avverte nell'editoriale del primo numero, era appunto quello di superare la frattura fra teoria e pratica, allora inevitabile data la natura dell'insegnamento agrario impartito nelle scuole italiane, che era tale (come il C. ribadiva esplicitamente l'anno successivo al congresso di Ferrara), da non consentire la formazione di agronomi moderni, che rappresentassero ci e una sintesi tra i vecchi "fattori" empirici e gli scienziati della "nuova" agronomia.
Per tutto il resto della sua lunga vita, trascorsa senza avvenimenti di particolare rilievo a Pisa, il C. attese ad applicare e a rendere concreto questo suo polivalente concetto di istruzione agraria, svolgendo a questo scopo, su piani differenti, una attività notevole. In primo luogo egli svolse per oltre quarant'anni col massimo impegno il suo compito di insegnante universitario, prestando sempre la massima attenzione al duplice ambito nel quale, secondo la sua concezione, esso doveva trovare svolgimento: quello della ricerca scientifica al quale egli dedicò, peraltro, la maggior parte delle sue forze, e quello della conoscenza pratica (sotto questo aspetto sono rimaste celebri all'università di Pisa le "gite agrarie" effettuate dal C. con gli studenti, e con le quali egli si ricollegava direttamente, ancora una volta, alla tradizione di Ridoffi e del Giornale agrario toscano).
Proprio in relazione al problema del rapporto fra scienza e agricoltura pratica, egli integrò la sua azione di insegnante con quella, anch'essa più che quarantennale, di direttore della Agricoltura italiana e del Comizio agrario di Pisa, nel cui ambito egli fu instancabile promotore di convegni, di mostre, di concorsi.
Il C. non sottovalutò i problemi generali attinenti all'organizzazione aziendale, al tipo di amministrazione e di conduzione (sono del 1894 le sue Ricerche sull'ordinamento dell'azienda rurale edite a Firenze; è del 1900 la memoria Sulla convenienza e sull'attuabilità del disegno di riforma agraria (in Atti della Accademia dei Georgofili, s. 4, Disp. 1, XXIII [1900], pp. 69-95). Né tanto meno egli trascurò i risvolti sociali e politici di tali problemi: si deve in gran parte a lui, come direttore del Comizio agrario di Pisa, l'approvazione delle norme per la scritta colonica e l'istituzione nel 1890 di un sindacato cooperativo a Pisa; fu inoltre a lungo membro dei Consigli superiori dell'istruzione, del lavoro e dell'agricoltura. Nel complesso tuttavia l'attenzione del C. si concentrò su argomenti di carattere più strettamente agronomico, come attesta ad esempio il grande impegno da lui profuso (specialmente durante gli anni '80 e '90) nell'opera di riorganizzazione della Scuola superiore e dell'Istituto agrario: dal potenziamento del gabinetto e del museo agrari, alla istituzione di una stalla sperimentale per i bovini e di una cantina modello, alla fondazione dell'osservatorio meteorologico centrale per la provincia di Pisa.
Della sua ininterrotta attività di ricerca sono una prova le numerosissime memorie lette all'Accademia dei Georgofili e i saggi pubblicati sull'Agricoltura italiana relativi alla viticultura e alla vinificazione (1878, '92, '98); ai foraggi (1891); ai concimi (1889, '90, 1906, '09); ai parassiti delle piante (1888-90, 1894-'97, 1902, 1915); all'olivicultura (è del 1883 la sua celebre Dell'olivo. Monografia edita a Torino); alla meccanica agraria (1876, '83, '97).
Nel 1898 pubblicò a Torino la sua Agronomia, manuale di grande successo che continuò a lungo ad essere utilizzato nelle università italiane.
In questa opera, che rappresentava la sintesi di tutta l'attività di studioso del C., appariva fra l'altro una notevole padronanza della scienza agraria internazionale in tutti i suoi aspetti: dalla meteorologia alla pedologia, alla chimica agraria, alla meccanica agraria. Anche da questo punto di vista, dunque, il collegamento con la tradizione ridolfiana era esplicito. Non vi sono dubbi, tuttavia, che le parti più rilevanti della sua trattazione fossero quelle afferenti ai temi classici dell'agronomia italiana e toscana in particolare: l'irrigazione, le bonifiche, le sistemazioni del terreno, lo studio degli strumenti aratori.
Socio emerito dal 1894 dell'Accademia dei Georgofili di Firenze, il C. fu aggregato a numerose altre accademie. Nel 1917 fu collocato a riposo dall'insegnamento universitario.
Morì a Pisa il 2 genn. 1923.
Bibl.: Scarsa è la bibliografia sul C. Anzitutto è da consultare il volume delle Onoranze al Professore G. C. nel XXXV anno d'insegnamento universitario, Pisa 1907, che contiene anche l'elenco completo delle opere del C. fino a quell'anno. Ricche di notizie sono le commemorazioni di G. Bolla in Atti dell'Accademia dei Georgofili, s. 5, XX (1923), pp. XLVII-L e di N. Passerini, in Annuario della R. Univer. di Pisa, della R. Scuola di ingegn. e dei RR. Istituti superiori di agraria e di medicina veterin. di Pisa per l'anno accademico 1923-14, pp. 339-42. La migliore fonte di informazioni sulla vita e le opere del C. è rappres. dal volume delle Onoranze alla memoria del Prof. G.C., Pisa 1926.