COMI, Girolamo
Nacque probabilmente nel 1507: nel Libro dei morti dell'Archivio storico comunale di Modena (c. 92rv) il C., di anni settantaquattro, risulta infatti sepolto il 14 ott. 1581 nella chiesa di S. Francesco; abitava nella "cinquantina" di S. Vincenzo.
Dell'artista sono conservati e noti, a tutt'oggi, soltanto tre dipinti datati e firmati, in ognuno dei quali egli si definisce modenese, il che, obiettivamente, consente di ritenerlo nato a Modena, anche in mancanza del reperimento dell'atto di nascita. Il più antico dipinto, del 1530, oggi conservato presso la City Art Gallery di York, è una copia dalla Madonna di s. Giorgio del Correggio (A. E. Popham, Correggio's Drawings, London 1957, p. 33, n. 4; A. C. Quintavalle, Correggio, Milano 1970, p. 110, scheda 82). Intorno alla metà del sec. XVI il tema correggesco è quasi una tappa d'obbligo per i pittori emiliani di tutti i livelli qualitativi, ma nelle opere conservate del C., del grande emiliano non resta minima traccia di sedirnentazione, nemmeno a livello lessicale.
Il C. risulta in quei primi tempi (1538) impegnato in opere di carattere decorativo, quali la doratura in oro fino dell'arma della Magnifica Comunità di Modena nell'angolo delle "caselle", e nei dipinti, probabilmente ad affresco, ora scomparsi, che ornavano le "cinquantine" (Venturi, 1885, p. 271, n. 1; Soli, 1974, III, p. 68, n. 36).
È significativo che in un dipinto che si trovava a Bologna, ora disperso, firmato e datato 545 (Vedriani, 1662, p. 841, il tema trattato, in una tavola "a fresco", fosse un tema di storia romana, Raffigurava infatti Cornelia con molte damigelle e recava scritte in latino, quali "In illo tempore Cornelia ostendit prudentiam suam". Il 1545 precede di un anno il famoso ciclo di Nicolò dell'Abate (Abbati) dipinto per la residenza dei Conservatori modenesi nel palazzo: comunale di Modena, avente per tema l'assedio di Modena ai tempi di Decio Bruto e il secondo triumvirato. Il tema romano già collega il C. alla cultura umanistica locale che si raccoglie nell'accademia dei Grillenzoni e di Ludovico Castelvetro (Biondi, 1978, pp. 49 ss.) il quale è risultato essere l'ispiratore del menzionato argomento per il palazzo comunale di Modena dipinto da Nicolò dell'Abate (O. Baracchi, Le vicende della "Residenza dei Conservatori Modenesi" tratte da documenti d'archivio, Modena 1981, pp. 19 ss.; C. Volpe, Nicolò dell'Abate. Fregio con storie del Triumvirato, in Mostra di opere restaurate. Secc. XIV-XIX, Modena, 1980, p. 16).
Intorno alla cultura umanistica che si esprimeva letterariamente in lingua latina e che si formava anche sulla lettura del greco (Biondi, 1978, pp. 49 s.), in Modena si raccolgono personalità della classe aristocratica locale insieme con artisti e letterati. Era questo un centro di cultura che si potrebbe definire laica, in cui si agitava un vento di fronda ereticale, definita come "luterana" da parte del cronista contemporaneo Tomasino Bianchi detto de' Lancillotti, il quale era invece devoto difensore di una tradizionale concezione della Chiesa. Non sorprende quindi che già nel 1548 la moglie del pittore, Lucia, fosse accusata di eresia (Venturi, 1885, p. 231, n. 3).
Nel 1550 il C. continuava ad operare su temi di argomento profano; risulta che dipinse infatti il seguito del fregio (ora scomparso) di Nicolò dell'Abate nelle Beccherie quando furono ampliate: "Vi dipinse un gruppo di fanciulle e di più una figura allegorica rappresentante la Giustizia con la bilancia in mano. Indi due donne, una delle quali in atto di porgere le mani a una vecchia che stava seduta in terra, per rialzarla" (T. Bianchi de' Lancillotti, in Venturi, 1885, p. 270, n. 2; S. Béguin, Mostra di Nicolò dell'Abate, catal., Bologna (1969, p. 48).
Nel 1552 il C. eseguì anche un ritratto, disperso, "per compiacere alla moglie di Carlo Codibue già morto..." (Tiraboschi, 1786, p. 392, che cita T. Bianchi de' Lancillotti).
Per definire l'ambito culturale in cui il C. lavorava risulta di particolare importanza il matrimonio di sua figlia Ginevra con Lodovico Begarelli (M. Valdrighi, Della vita e delle opere di Antonio Begarelli plastico modenese, Modena 1824, p. 23, n. 1). Non potevano quindi mancare rapporti con lo stesso Antonio Begarelli, zio del menzionato Lodovico, e con il Parmigianino.
Ad opere di argomento sacro, come per esempio un dipinto del 1558 concernente reliquie nell'oratorio dell'ospedale della Morte (Venturi, 1885, p. 271, n. 1), o come un paliotto d'altare e una croce, del 1563, ancora nell'oratorio dell'ospedale della Morte, note solo per documenti, il C. alternò opere per apparati di festa in occasione dell'ingresso di Alfonso II in Modena nel 1561 (T. Sandonnini, Entrata solenne di Alfonso II Duca di Ferrara in Modena. Relazione inedita di Gio. Maria Barbieri 1561, Modena 1880, pp. 27-29). La città per i festeggiamenti si trasformava a guisa di grandioso scenario; ben sei archi furono costruiti e dipinti con argomenti classico-mitologici. È da ritenersi questo un tema di particolare gradimento per l'artista, che dipinse il sesto arco, perché se ne riconosce riflessa l'esperienza scenografica nelle altre due opere conservate, da lui firmate e datate: una Predica di s. Paolo, del 1562, appartenente alla Galleria Campori di Modena, e L'arresto di s. Paolo, del 1563, appartenente al Museo civico di Modena. Le due opere facevano parte, probabilmente, di un unico ciclo.
In queste opere di argomento sacro si nota una popolana disposizione dell'artista a una vivacità che, in quanto priva di profonda consapevolezza di crisi religiosa, può adattarsi a qualsiasi tema, sacro o profano; lo schema prospettico classico è da lui evidentemente considerato esemplare, ma per creare luogo scenografico alla vivace mimica dei personaggi. I dipinti qui segnalati sono due tavole, caratterizzate da una tecnica singolare in rapporto alla data a cui appartengono: essi sono stati infatti eseguiti dall'artista a tempera grassa su una preparazione d'argento che traluce chiaramente nei punti che sono più sciupati. Inoltre la data, la, firma, i decori, i limiti delle architetture e la scansione dei pavimenti, prevalentemente costituiti da rombi inseriti in quadrati o rettangoli, risultano incisi da un punteruolo, con un procedimento analogo a quello della ceramica a "sgraffio" o dell'incisione a bulino su rame per stampe. Il fatto che sul retro della tavola appartenente al Museo civico si trovi la scritta o S. A. da Maestro Zan Nicolò Corto da Modena dipitore" induce all'ipotesi che a questo Zan Nicolò Corto si debbano le parti incise. "Dialetto", e complessa "dottrina" si mescolano in queste tavole. Si notano in esse citazioni da Nicoletto da Modena, dal Parmigianino e, soprattutto, da Nicolò dell'Abate, derivazioni da Vitruvio e dal Cesariano e dall'articolazione spaziale serliana, diffusa appunto intorno alla metà del secolo; ma sono citazioni meramente lessicali per un discorso vivace e popolaresco.
Nel dipinto della Galleria Campori si riconosce, sopra l'"arco di trionfo", un puntuale riferimento alla città reale nella riproduzione dell'orologio del palazzo comunale di Modena (Guandalini, 1979, pp. 123 nn. 18 s.). Le citazioni della più varia cultura rinascimentale emiliana, e quindi anche indirettamente romana, potrebbero continuare, ma ciò che qui interessa è la valutazione della rarità di un risultato in cui ogni stimolo culturale, anche il più eletto, è assimilato e superato per un discorso tutto locale, e personale.
Caratteri analoghi doveva avere un dipinto, oggi perduto, che si trovava sul mercato bolognese nel 1898, di cui si hanno precise notizie scritte, anche illustrative (Modena, Archivio del Museo civico, 1898, Prot. n. A. 43). Firmata "Hieronimus Co ius mutinensis pingebat 1568", dipinta su fondo oro, l'opera veniva giudicata "un bel lavoro di prospettiva". La lettera "m" di "Comius", già scomparsa nel 1898, risultava impressa sul fondo d'oro: questo fatto può far supporre che anche in questo dipinto l'artista abbia usato, oltre al pennello, una punta per la tecnica dell'incisione di alcuni particolari.Nel 1568 il C. risultava ancora implicato nella vicenda ereticale modenese, poiché dovette abiurare alla presenza del cardinal Morone (Venturi, 1885, p. 271, n. 3). Era noto, d'altra parte, che la bottega del C. era frequentata da Giovanni Rangoni che gli commissionò un dipinto con lupi-vescovi che sbranavano il gregge di Cristo (A. Biondi, Streghe ed eretici nei dominii estensi nell'epoca dell'Ariosto, in Il Rinascimento nelle corti padane..., Bari 1977, p. 196).
Si ha notizia di altre opere, ora scomparse, e senza indicazione di data: in Bologna una "S. Maria Maddalena grande al naturale" (Vedriani, 1662, p. 84), una "Beata Vergine con Gesù Bambino in atto di benedire S. Antonio" (Soli, 1974, p. 83), già nella chiesa di S. Antonio abate, esistente però ancora nel 1770 (Guandalini, 1979, p. 137); nella chiesa dei cappuccini un affresco raffigurante s. Francesco "ben conservato e misura circa due metri di spazio" esistente ancora nel 1910 (ibid.); una "Natività del Signore" probabilmente nel collegio di S. Carlo (Tiraboschi, 1786, p. 392).
Nel Mulino della Cerca in Modena, non lontano dalla chiesa di S. Domenico, esistevano pitture del C. e più precisamente un'arma (forse della Comunità) sulle ruote e ornamenti, e dalla parte dell'entrata, fra due finestre, una Madonna, un S. Geminiano e un S. Rocco, e ancora un'arma in mezzo alla facciata: il tutto era datato 1575 (Soli, 1974, p. 372).
Fonti e Bibl.: T. Bianchi de' Lancillotti, Cronaca modenese, VI, Parma 1871, p. 69; L. Vedriani, Raccolta de' pittori, scultori et architetti..., Modena 1662, pp. 83 s.; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, Modena 1786, VI, pp. 391 s.; A. Venturi, L'oratorio dell'Ospedale della Morte, in Atti e memorie della R. Depútaz. di storia patria per le prov. modenesi e parmensi, s. 3, III (1885), pp. 231, 270-272; F. Malaguzzi Valeri, La Galleria Campori, in Cronache d'arte, I (1924), p. 247; G.Marangoni, La ricca galleria d'arte donata alla città di Modena da Matteo Campori, in La Grande Illustr. d'Italia, gennaio 1926, pp. 20 s., fig. p. 24; G.Soli, Chiese di Modena, Modena 1974, I, pp. 83, 372; III, p. 68; A. Biondi, Tommasino Lancellotti. La città e la chiesa a Modena, in Contributi, II (1978), 3, pp. 47, 49 ss., 54; G. Guandalini, G. C. nel manierismo modenese. Cenni sull'evolversi del manierismo modenese, in Atti e mem. della Deputaz. di storia patria per le antiche provincie modenesi, s.11, I (1979), pp. 119-126, 135-137, figg. 1a, 1b, 2a; Id., in Mostra di opere restaurate, secc. XIV-XIX (catal.), Modena 1980, pp. 26 s., figg. 1 e 2; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, pp. 274 s.