GIROLAMO da Brescia
Non è nota la data di nascita di questo pittore dell'Ordine carmelitano, originario presumibilmente di Brescia, come suggeriscono le fonti (Averoldo; Lanzi; Fenaroli), e figlio di Antonio di Andrea e Alessandra Casabassa.
Già erroneamente confuso con Gian Girolamo Savoldo da W. ed E. Paatz e ritenuto, senza sostegni documentari, compagno o discepolo di Giovanni Maria da Brescia da Lanzi (seguito da Spotorno), G. è ricordato dalle fonti per la prima volta nel 1490 a Firenze dove, trasferitosi con la famiglia, pronunciò i voti e venne affiliato al convento di S. Maria del Carmine (Mattei).
Non è certa una sua attività autonoma in patria antecedente lo spostamento di G. nella città toscana. Tuttavia, Frangi (1988; 1994, pp. 407 s.) attribuiva a G. gli affreschi bresciani con S. Francesco riceve le stigmate (S. Francesco, sagrestia: proveniente da locali attigui), dopo che Panazza (1963) gli aveva già assegnato quelli della Natività e della Deposizione sulle spalle dell'arco trionfale della chiesa del Corpus Domini: opere, queste ultime, segnate da un linguaggio di matrice foppesca, riconoscibile nella resa del paesaggio con le montagne appuntite sullo sfondo, negli effetti luministici e nel gusto decorativo esperito nei dettagli architettonici, che avvicinano questa ipotetica fase iniziale di G. alla produzione degli ultimi decenni del Quattrocento del Maestro di Nave.
Nel 1491 G. fu ordinato accolito e nel 1494 sacerdote, ma, per attendere alla pittura, il 26 marzo 1498 venne dispensato dai cori e dalle processioni dal padre provinciale dei carmelitani della Toscana, Bernardino da Siena, e dal priore di Firenze, padre Andrea, con l'eccezione delle festività e l'obbligo di versare parte dei proventi al convento.
Si può forse ritenere precedente a questa data il ritratto su tavola, perduto, di Giovanni Nicola da Venezia, detto il Bianco, teologo carmelitano lettore delle università di Siena e Pisa, morto nel 1499 (Meloni Trkulja, p. 174).
Nel 1503 G. dipinse lo stemma del cardinale Francesco Soderini sopra il portale di facciata di S. Frediano, andato poi perduto in seguito ai rimaneggiamenti subiti dalla chiesa; mentre l'anno successivo firmava e datava "Fr. Hieronymus de Brixia pinxit 1504" (l'iscrizione non è più interamente leggibile, ma è riferita da Mattei, p. 111) l'affresco di Cristo con i simboli della Passione sopra la porta di accesso alla foresteria del convento del Carmine, nell'angolo sudovest del secondo chiostro (ambienti occupati attualmente dall'albergo Popolare).
L'opera denuncia una cultura prospettica di tipo bramantesco, sottolineata già da Lanzi, evidente nell'ambientazione sotto una monumentale volta a botte e nella resa fortemente scorciata della croce, insieme con una più generale adesione al linguaggio lombardo nella trattazione naturalistica del modellato del Cristo definito da un segno tagliente, che Crowe e Cavalcaselle (p. 496) ricondussero invece a suggestioni derivate dall'ambiente fiorentino e, in particolare, da Andrea del Castagno (Andrea di Bartolo).
Sulla base della stesso sapiente uso della prospettiva, denunciato in questa prima opera sicura, è stato assegnato a G. l'affresco della Pietà, ambientato sullo sfondo delle colline fiorentine, posto sulla parete di una scala che conduce al piano superiore del noviziato del Carmine. L'attribuzione a G., già proposta dagli autori ottocenteschi (Mattei, p. 113; Fenaroli, p. 70), è confermata negli studi più recenti che suggeriscono di datare l'affresco a una fase precedente l'esecuzione del Cristo con i simboli della Passione, forse intorno al 1490, e comunque non oltre lo scadere del secolo, per la dichiarazione di un "clima devozionale tipico di quegli anni" (Meloni Trkulja, p. 174) che avvicinerebbe l'affresco alla produzione del nono decennio di Francesco Botticini.
Non è certo che sia lui, e non piuttosto Savoldo, il "maestro Jeronimo dipintore da Bressa" raccomandato, senza successo, quale aiuto frescante a Michelangelo per i lavori nella cappella Sistina nella lettera che Piero d'Argenta inviò da Firenze nell'ottobre del 1508 a Giansimone Buonarroti (G. Poggi, 1942, p. 124).
Nel 1509 fu invece sicuramente G. a ricevere un pagamento di 8 scudi dal prelato fiorentino Marco de' Gaetanis, per l'esecuzione di una pala d'altare, non identificata. Il 25 ag. 1511 fu incaricato di realizzare per la casa di Giovanni degli Alessandri a Firenze una serie di tavole di tema sacro e profano: "una Nostra Donna in quadro, uno s. Michelangelo, uno Laocoonte, uno Apollo, una Charitas, uno Martio che si cava lo stecco dal piede" (Barocchi, p. 125). È forse possibile identificare il "s. Michelangelo" nella tavola realizzata da G. con S. Michele Arcangelo, dal volto di memoria foppesca, oggi al Museo civico di Vicenza.
Il 6 apr. 1516 G. rinunciò alla somma di 100 fiorini dell'eredità dei genitori per costituire la dote della nipote Ginevra, figlia del fratello Niccolò.
Una serie di documenti d'archivio, segnalati da Meloni Trkulja (p. 174), attesta, frattanto, un suo impegno continuato nella parrocchia di S. Frediano in Cestello dal 1510 al 1524.
I pagamenti versati a G. in questo arco di tempo indicano un'attività sia nel campo di una produzione minore, quale la decorazione e la doratura di "otto corone d'ottone" (Firenze, Arch. arcivescovile, S. Frediano in Cestello.Debiti e crediti, filza 62, c. 68), sia in un ambito più specificatamente pittorico, legato a opere non sopravvissute: in un documento del settembre 1524 (ibid., filza 63, c. 126), si fa riferimento al dipinto eseguito da "Girolamo pintore", destinato a una sede non meglio individuata, per il procuratore, sacerdote e notaio M. Favilla.
Nel 1519 G. eseguiva il trittico raffigurante la Natività e i ss. Francesco e Bartolomeo con due donatori (Savona, Pinacoteca civica, dal 1896), firmato e datato nello scomparto centrale, entro un cartellino affisso alla capanna del presepio "Opus fr(atr)is Hiero(n)imy de Brixia. carmelitae. 1519.28.aprilis".
La più antica ubicazione del dipinto (ricordata per primo da Ratti), in funzione di ancona d'altare nella prima cappella a destra della parrocchiale savonese di S. Giovanni Battista, non garantisce che quella fosse la sede originaria del dipinto: i donatori in preghiera, inginocchiati ai piedi dei ss. Francesco e Bartolomeo, vestirebbero l'abito dei terziari francescani (Boggero); e l'opera non venne segnalata nella visita pastorale di monsignor Cesare Ferrero del 2 maggio 1568 (Barbero, 1975, p. 76). Il dipinto fu giudicato emblematico della migliore scuola lombarda da Alizeri (p. 319) e V. Poggi (1897), mentre Crowe e Cavalcaselle (p. 496), con riferimento alla lunga permanenza fiorentina di G., lo considerarono espressione della cultura umbro-toscana: aspetto, quest'ultimo, messo in discussione nelle più recenti letture critiche (De Marchi, 1993, pp. 10 s.). Infatti, G. tradisce qui un più esplicito riferimento a modelli lombardi, evidente nell'interesse per la rappresentazione prospettica e nelle scelte luministiche, specie quelle della tavola centrale, memori di Vincenzo Foppa o già vicine al Savoldo nel gioco di riflessi del soffitto a travi della capanna, o nella visione del ridente paesaggio con la scena dell'annuncio ai pastori, che si scorge dall'apertura nel muro franto a sinistra. Barbero ha inoltre messo in risalto la partecipazione, qui denunciata da G., a quel "clima di protoclassicismo presente in larghe parti dell'Italia padana" (1987, p. 46), in cui il sottofondo culturale lombardo si coniuga al limpido ordine razionale, tipico della scuola fiorentina di inizio secolo.
La collocazione dell'opera entro il clima culturale manifestatosi a Savona nel secondo decennio del Cinquecento ha indotto a ritenere plausibile un più deciso inserimento di G. all'interno di quell'ambiente, ipotizzando una sua permanenza nella città e un suo contributo ai lavori per il coro dell'antica cattedrale di S. Maria di Castello sul Priamàr (adattato all'abside del nuovo duomo agli inizi del Seicento), commissionato nel 1500 ed eseguito da Anselmo De Fornari, Elia de Rocchi e Giovan Michele Pantaleoni; le forti assonanze tra la tarsia con l'Epifania, opera di Pantaleoni, nel pancone di base che sostiene il leggio, e la Natività del trittico di Savona, ravvisabili nella resa della capanna e nella posizione di s. Giuseppe, hanno suggerito l'ipotesi di una fornitura di disegni da parte di G. (ibid., p. 46), il quale, sulla scorta delle indicazioni che Alizeri (p. 320) trasse dai libri dell'Opera del duomo in data 1° febbr. 1515 (relative a "Magister Hieronymus de Brissia" per i lavori di una grata in metallo per l'antica cattedrale), potrebbe essere stato coinvolto anche nell'esecuzione della balaustra che doveva chiudere il coro verso il presbiterio nella sua originaria collocazione.
Non è certa un'ulteriore attività dell'artista nel contesto ligure. Suida gli assegnò il trittico della Madonna con Bambino e i ss. Lazzaro vescovo e Lazzaro lebbroso proveniente dalla chiesa dell'ospedale di S. Lazzaro (Genova, albergo dei poveri), ascritto in realtà a Pier Francesco Sacchi; più di recente, sono state ricondotte a G. opere partecipi del medesimo clima culturale esperito nel trittico savonese: la Madonna con Bambino già a Milano (De Marchi, 1993, fig. 12a), l'Adorazione del Bambino con i ss. Francesco e Giovannino in collezione privata milanese (fig. 10), e la Madonna con Bambino, s. Nicola da Tolentino e un santo vescovo del Museo civico di Torino.
Il generale silenzio dei documenti e delle fonti circa gli ultimi anni di G. lasciano ipotizzare un suo allontanamento dalla produzione pittorica; dal 1516 al 1529 sono infatti registrati pagamenti per la decorazione di candele.
Nel 1522 la madre gli cedette una casa nel quartiere fiorentino di S. Frediano.
G. morì a Firenze, nel convento del Carmine, il 6 ag. 1529, dopo due anni di quasi continua infermità.
La peculiarità del percorso artistico di G., apparentemente estraneo a una più decisa adesione al linguaggio fiorentino, e incline a sviluppare in direzione ligure le native componenti lombarde, ha sollecitato tentativi di ampliamento dell'esiguo catalogo: a partire dagli affreschi della Madonna con Bambino in trono su uno dei pilastri della chiesa bresciana di S. Maria delle Consolazioni, della Natività in S. Stefano di Rovato e della Pietà e dell'EcceHomo nella casa del curato a Orzivecchi (Panazza, 1963, p. 978), fino alle proposte di De Marchi (1993, pp. 6 s.), che collocava cronologicamente ai due estremi della vicenda di G. l'affresco con la Crocifissione e due donatori su uno dei pilastri della chiesa del Carmine a Pavia, a suggerimento di un soggiorno in quella città all'inizio del Cinquecento, e la Madonna con Bambino (già Londra, Sotheby's), da considerare la sua impresa più tarda; estendeva inoltre il campo di sperimentazione dell'artista con l'attribuzione del Compianto a rilievo in terracotta policroma del convento fiorentino del Carmine, in cui "certe goffezze esecutive" sarebbero da addebitare a una minore predisposizione alla plastica e a una datazione anteriore agli affreschi per la stessa sede.
Fonti e Bibl.: G.A. Averoldo, Le scelte pitture di Brescia additate al forestiere (1700), Bologna 1977, p. 144; C.G. Ratti, Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura ed architettura, II, Genova 1780, p. 37; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1789), a cura di M. Capucci, III, Milano 1974, p. 188; G.B. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, III, Genova 1826, pp. 199, 205 s.; S. Mattei, Ragionamento intorno all'antica chiesa del Carmine di Firenze con una succinta notizia dello stato suo presente, Firenze 1869, pp. 111-114; F. Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria dalle origini al secolo XVI, III, Genova 1874, pp. 319 s.; J.A. Crowe - G.B. Cavalcaselle, Geschichte der italienischen Malerei, VI, Leipzig 1876, pp. 495 s.; S. Fenaroli, Diz. degli artisti bresciani, Brescia 1877, pp. 70 s.; V. Poggi, La pala di fra G. da B. in Savona, in Arte e storia, XVI (1897), pp. 17 s.; Id., Catalogo descrittivo della Pinacoteca civica di Savona, Savona 1901, pp. 74-76; W. Suida, Genua, Leipzig 1906, pp. 84 s.; C.J. Foukles Majocchi, Vincenzo Foppa of Brescia, London 1909, p. 260; G. Poggi, Note michelangiolesche, in Michelangiolo Buonarroti nel IV centenario del "Giudizio universale" (1541-1941), Firenze 1942, p. 124; A. Morassi, Capolavori della pittura a Genova, Milano-Genova 1951, pp. 17, 51; W. Paatz - E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, III, Frankfurt a.M. 1952, pp. 219, 284; G. Panazza, La pittura nella seconda metà del Quattrocento, in Storia di Brescia, II, Brescia 1963, pp. 976-978; G.V. Castelnovi, Il Quattro e il primo Cinquecento, in La pittura a Genova e in Liguria, I, Genova 1970, pp. 152, 175 s.; B. Barbero, in La Pinacoteca civica di Savona, Savona 1975, pp. 76 s., 276; Id., Albertino Piazza e alcuni aspetti del protoclassicismo a Savona, in Arte lombarda, 1977, nn. 47-48, pp. 81-88; Id., Il ciclo di affreschi del Monte di pietà di Savona, in Savona nel Quattrocento e l'istituzione del Monte di pietà, Savona 1980, p. 387; P. Giovannini - S. Vitolo, Il convento del Carmine di Firenze: caratteri e documenti (catal.), Firenze 1981, p. 103; V. Guazzoni, Temi religiosi e contenuti devozionali, in Pittura del Cinquecento a Brescia, Cinisello Balsamo 1986, p. 175; B. Barbero, in La Pinacoteca civica di Savona, Savona 1987, pp. 46 s.; F. Boggero, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1988, p. 733; F. Frangi, I pittori pavesi in Liguria dalla fine del Quattrocento al 1528, in Pittura a Pavia dal Romanico al Settecento, a cura di M. Gregori, Milano 1988, p. 100; M. Natale, Alberto e Martino Piazza: problemi aperti, in I Piazza da Lodi. Una tradizione di pittori nel Cinquecento (catal., Lodi), a cura di G.C. Sciolla, Milano 1989, pp. 103, 110 n. 31; P.V. Begni Redona, in Gian Gerolamo Savoldo tra Foppa Giorgione e Caravaggio (catal., Brescia), Milano 1990, pp. 280-282; S. Ebert-Schiffer, ibid., p. 282; G. Panazza, Gian Gerolamo Savoldo: quesiti risolti e problemi insoluti, ibid., p. 26; R. Prestini, Regesto, ibid., p. 316; G. Romano, in Da Biduino ad Algardi. Pittura e scultura a confronto (catal.), a cura di G. Romano, Torino 1990, pp. 95 fig., 99; W. Angelelli - A.G. De Marchi, Pittura dal Duecento al primo Cinquecento nelle fotografie di Girolamo Bombelli, a cura di S. Romano, Milano 1991, pp. 166 s. n. 311; P. Barocchi, in Il giardino di S. Marco. Maestri e compagni del giovane Michelangelo (catal., Firenze), a cura di P. Barocchi, Milano 1992, pp. 125, 129 n. 194; S. Meloni Trkulja, in La chiesa di S. Maria del Carmine a Firenze, a cura di L. Berti, Firenze 1992, pp. 173 s.; A.G. De Marchi, G. d'Antonio da B., pittore eccentrico nella Firenze rinascimentale, in Paragone, XLIV (1993), 515-517, pp. 3-20; F. Frangi, Gerolamo da B., pittore carmelitano, in Arte cristiana, LXXXII (1994), pp. 399-410; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 181.