DA LEZZE, Girolamo
Terzogenito di cinque fratelli, nacque a Venezia il 7 luglio 1579 dal procuratore Giovanni di Andrea e da Marietta Priuli, nipote del doge Antonio. Si dedicò all'attività politica, seguendo in questo la tradizione familiare: senatore nel 1613, due anni più tardi risulta tra i quarantuno elettori del doge Giovanni Bembo. Una presenza, questa, le cui ragioni vanno probabilmente ricercate più nel prestigio e nella ricchezza della famiglia, che nei meriti personali del D., il quale, sino allora, non aveva ricoperto alcuna magistratura di rilievo. Anche la nomina a governatore di galea, avvenuta il 10 marzo 1617., può forse stupire, ove si consideri che egli, secondo un'annotazione del Barbaro, era infermo. In effetti lamentò sempre precarie condizioni di salute, ma alla debolezza del fisico accompagnava un temperamento deciso ed energico, come ebbe modo di dimostrare nel corso dei suo primo reggimento. Dal 22 nov. 1618 al 21 nov. 1621 ricoprì infatti l'incarico di capitano a Candia, le cui incombenze erano allora ristrette "nel solo scosso del denaro pubblico ... e nell'atto di administrazione di giustizia", e proprio questo compito doveva risultare per lui il più impegnativo ed importante, al punto da costringerlo a prolungare la sua permanenza nella carica per tre anni: uno in più, cioè, dell'ordinario.
Questo perché l'invio a Venezia di un'ambasceria, da parte della Comunità dell'isola di Tine, nell'Egeo, per protestare contro i soprusi del rettore Giovanni Morosini, indusse il Senato ad affidare al D. il compito di recarsi sul posto in qualità di "sindaco e inquisitore". Giunse nell'isola il 18 marzo 1621, sulla galera del capitano in Golfo, Leonardo Foscolo, e scortato da quelle dei sopracomiti Contarini e Benzon. A Tine rimase per tre mesi, nel tentativo di risanare la situazione, compromessa da un'amministrazione scopertamente volta al sopruso ed alla rapina. Affrontò anzitutto il "disordine ... gravosissimo" in cui si trovavano quelle milizie, per dedicarsi subito dopo alla popolazione, il cui atteggiamento nei confronti della Repubblica, in un avamposto circondato dai Turchi, non era da ritenersi meno importante delle difese militari. Per settimane ascoltò accuse, registrò denunce. Poi, fece giustizia: destituì alcuni ufficiali, condannò ad una forte multa il cancelliere Antonio Saccardo, obbligò infine il Morosini - nel frattempo sostituito da Costantino Pasqualigo - a restituire "summe considerabili", frutto di malversazione. Né si fermò qui: il 14 giugno lo accusò di omicidio, riservandosi di presentare ogni prova al Senato, al suo ritorno in patria. Qualche giorno dopo lasciava l'isola, accompagnato dalle attestazioni di riconoscenza della Comunità, che si affrettava ad informare il governo veneziano della "prudenza, destrezza et benignità" dimostrate dal D., tanto che non v'era "picciolo, grande, povero, ricco, cittadino, popular, o contadino, in somma alcun habitante isolano, che non sia rimaso totalmente e pienissimamente contento".
A Venezia lo attendevano nuovi impegni politici: censore il 2 apr. 1623, fu depositario in Zecca dall'agosto al 30 sett. 1624., provveditore alla Cassa di ori e argenti dal 30 nov. alla fine dei febbraio 1625, ed infine, in quest'ultimo anno, dal maggio al settembre, venne chiamato a far parte del Consiglio dei dieci. Non rimase a lungo in città: dal 18 ott. 1626 al marzo 1628 fu ancora capitano, a Padova.
In quegli anni la città risentiva delle tensioni collegate alla riforma del Consiglio, che allora, sia pure in ritardo rispetto agli altri centri della Terraferma, giungeva a conclusione. Al D., unitamente al podestà Girolamo Lando, toccò cimentarsi con una "materia ... molto scabrosa", a causa degli "effetti molto cattivi" suscitati dalla cernita di duecentottanta membri chiamati a far parte di una rigorosa matricola della nobiltà. Se quel "negotio" poté comunque conseguire "ottimo fine", altrettanto non avvenne per quelli connessi all'ordine pubblico, alle turbolenze promosse dagli odi tra nobili, tra questi e gli artigiani, tra i cittadini e gli studenti dell'università, sempre inquieti: risse e contese di fronte alle quali - confessava il D. nella sua relazione - ogni sforzo era risultato vano, "havendo queste fatto radici molto proffonde". Altro gravoso compito, ch'egli affidava al suo successore, era costituito dalla precaria situazione in cui le piogge eccezionali, verificatesi tra l'autunno 1626 e l'agosto 1627, avevano ridotto le arginature dell'Adige, che a diverse riprese aveva inondato "le migliori, e più fertili campagne di quel paese".
Nuovamente in patria, il D. fu depositario in Zecca tra l'ottobre ed il novembre 1628; carica che ricoprì anche l'anno successivo, assieme a quella di savio alla Mercanzia. Provveditore sopra i Danari dal 26 ott. 1629 al 25 ott. 1630, il 30 novembre di quell'anno era nominato sopraprovveditore alla Sanità. Venezia, infatti, si trovava a dover fronteggiare la peste. Segnalata da alcuni mesi in casi isolati, nell'autunno l'epidemia era scoppiata con virulenza, ed il governo della Repubblica, dopo una condotta inizialmente ispirata a prudenza e cautela, si era finalmente deciso ad adottare misure efficaci ed energiche.
Ma proprio di peste il D. doveva morire, di li a qualche settimana, il giorno di Natale 1630, a Venezia.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. cod. I, St. veneta 20: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii veneti. IV, p. 237; Ibid., Avogaria di Comun. Nascite, reg. 55, c. 135v; per la carriera politica del D., si. vedano gli indici delle cariche nei seguenti registri: Ibid., Segr. alle Voci. Elez. Magg. Cons.; registri 12-14; Ibid., Segr. alle Voci. Elez. Pregadi, registri 11-12; Ibid., Consiglio dei dieci. Miscell. Codici, registro 61; lettere come capitano a Candia ed a Padova, Ibid., Collegio III (Secreta). Dispacci Candia rettori et altri, filze 8-9 (in quest'ultima è la lettera di ringraziamento della Comunità di Tine al Senato, del 20 giugno 1621); Ibid., Collegio III (Secreta). Dispacci Padova e Padovan, filze 22-24; Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di rettori e altre cariche, buste 88, nn. 312-315, 317-323, 325, 329-331, 333-339; 89, nn. 1-3, 6-7, 11-15; per l'attiv. di inquisitore a Tine, Ibid., Avogaria di Comun. Miscell. penale, busta 498: Volume delli processi criminali formati dall'Ill.mo Sig. Gerolamo da Leze fò Sindico, et Inquisitor a Tine l'anno 1621; le relaz. sui capitanati di Candia e Padova, Ibid., Collegio V (Secreta). Relazioni, buste 81, 43; una lettera di ringraziam. per l'elezione a senatore, Venezia, Bibl. d.. Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 1720: Copie di lettere state scritte a ser Vincenzio Dandolo Podestà di Brescia. 1612-1614. lettera del 22 ag. 1613; sulla morte del D., Ibid., Mss. Gradenigo-Dolfin 190/I, c. 2r; Calendar of State Papers... relating to English Affairs existing in the Archives... of Venice..., a cura di A. B. Hinds, XX, London 1914, pp. 7, 234; XXII, ibid. 1919, p. 174; Relaz. dei rettori veneti in Terraferma, a cura di A. Tagliaferri, IV, Milano 1975, pp. VIII, LIV, LVIII, 227-232; A. Gloria, I podestà e capitani di Padova..., Padova 1861, p. 27; G. Cappelletti, Storia di Padova, II, Padova 1875, p. 282; G. Soranzo, Bibliogr. veneziana..., Venezia 1885, p. 139; M. Borgherini Scarabellin, La vita privata a Padova nel sec. XVII, Venezia 1917, p. 6.