DI GIOVANNI, Girolamo
Nacque intorno alla metà del sec. XVI a Palermo da Francesco, barone del Parco, e da Delizia Del Carretto, entrambi esponenti di casati altolocati di estrazione forestiera. In particolare la famiglia Di Giovanni, originaria di Valenza, si era stabilita in Sicilia nei primi decenni del sec. XV ed era tra le più in vista di Palermo, tanto che Francesco fu senatore e deputato della peste e godette dell'amicizia del viceré Marcantonio Colonna. Il D. partecipò assieme con i fratelli Mariano e Vincenzo alle imprese di don Giovanni d'Austria contro i Turchi e a Lepanto (1571) fu ferito lievemente. Abile e prestante cavaliere, primeggiò nelle giostre che si tenevano ogni anno a Palermo e in tutte le occasioni in cui poteva mostrare la sua destrezza di spadaccino. Tipico esponente di un'aristocrazia altezzosa e pronta alle dimostrazioni di puntiglio, il D., come riferisce il fratello Vincenzo nel suo Palermo restaurato, "ebbe contese con molti, così plebei come cavalieri"; per questo incappò (dopo il 1577) nei rigori della giustizia e fu imprigionato a Castellammare, da dove riuscì tuttavia a fuggire. Si recò a Lisbona e a Salarnanca; conobbe Ascanio Colonna, che gli riacquistò i favori del padre e gli propiziò il ritorno a Palermo.
Pur essendo vissuto tra avventure e dispute d'onore, il D. condusse regolari studi giuridici e godette di un certo prestigio nell'ambiente culturale cittadino, tanto che su sua proposta venne incoronato il poeta e pittore F. Potenzano (V. Di Giovanni , II, pp. 271-276). Fondò inoltre in casa sua l'Accademia degli Opportuni, dove si discuteva di filosofia, si recitavano e si componevano commedie; ma l'Accademia, dove pure erano confluiti gli Accesi, cessò di esistere dopo la sua partenza per la Spagna.
Un vasto catalogo di opere edite e inedite completa il breve profilo di A. Mongitore (Bibliotheca Sicula, pp. 278-9), che attribuisce al D. alcune opere pubblicate sotto il nome di Vincenzo; e in effetti quest'ultimo dichiara nel Palermo restaurato che il D. "compose quei libri che sotto suo nome sono stati mandati alle stampe". Ma, pur confortata da questa asserzione, la notizia non ha trovato unanime consenso. V. Auria (Teatro..., f. 1021) sostiene che Vincenzo, "per sua modestia, apporti le sue lodi sotto nome di Girolamo Di Giovanni"; e S. Salomone Marino (De' famosi..., p. 307) ripete alla lettera questa affermazione, senza il suffragio di alcun fondamento critico; altri studiosi dell'Ottocento, come V. Di Giovanni (Della poesia epica..., pp. 273-80), assegnano, senza motivarlo, a Vincenzo il poema Palermo trionfante. Ma la tendenza si rovescia negli interventi più recenti (P. Mazzarnuto, Lirica ed epica..., pp. 342 s.; M. Sacco Messineo, Poesia e cultura..., p. 458), che tuttavia non precisano le ragioni di questa attribuzione. Fra le opere assegnate al D., dopo il poemetto d'occasione Il memorabilesuccesso della rovina del ponte (Palermo 1591), spicca il poema Palermo trionfante (Palermo 1600), composto come un tpresente" al viceré Marcantonio Colonna e, dopo la sua morte, dedicato al viceré allora in carica, Bernardino de Cardenas, duca di Maqueda. Un'atmosfera di calda attesa e di ufficiale solennità dovette accompagnare la pubblicazione del poema, che fu presentato al Senato della città in considerazione della nobile e patriottica materia.
Nel Palermo trionfante, virgilianamente diviso in dodici libri, il D. tenta l'epos municipale, ripercorrendo con orgoglio, sull'onda del "sublime storico" del Tasso, le vicende gloriose della storia cittadina dai più remoti fatti d'arme ai fasti contemporanei. Leggendario ma verosimile è lo sfondo del poema, che si incentra su un conflitto tra Palermitani e Cartaginesi, dietro cui sta un'eco di atmosfere liviane, ma soprattutto un'invenzione epica gratuitamente celebrativa. Il D., infatti, canta il valore della sua città, che riesce a respingere gli assalti dell'esercito di Asdrubale, grazie anche all'apporto delle armi romane comandate da Metello. Questa esile materia viene arricchita da tutta una serie di episodi ricalcati dal repertorio classico e romanzo-rinascimentale, ripercorso senza originalità e fantasia. Non mancano i giardini incantati e la corte di Venere, stanziata nella casalinga Isola delle Femmine; e c'è pure un viaggio all'Averno dell'eroe siciliano, Musulmino attraverso l'isola di Vulcano. I calchi dei più celebri luoghi epici sono vistosi e, per la loro stessa trasparenza, rozzi ed estrinseci. Su tutti spicca l'esempio di Tasso, imitato fin dalla prima ottava ("L'arme, il senno, il valor, l'invitto corelcanto io d'un sommo e memorabil Duce") e poi, dopo tutta una serie di fitti prestiti, ripreso anche nella "scenografica descrizione finale dei guerrieri cristiani, che, come aveva fatto il Goffredo della Gerusalemme, appendono le armi nel sacro tempio" (Sacco Messineo). Fortemente influenzato da analoghi passi cavallereschi è l'episodio che scioglie la contesa, e, cioè, la singolar tenzone tra Giordano e un cartaginese, un episodio che tra l'altro consente al D. di assolvere pubblicamente ai suoi doveri di cortigiano, poiché da Giordano fa discendere la dinastia dei Colonna suoi protettori.
Questa implicazione nella cronaca contemporanea e queste finalità encomiastiche si esplicitano negli ultimi due libri, dove sul frontone del tempio innalzato per celebrare la vittoria siculo-romana sono istoriate le future vicende gloriose di Palermo e dell'isola. In questo tentativo di infondere dignità epica alla più andante realtà storica sta il senso della magniloquente operazione realizzata dal D., che indugia su tutti quegli eventi che possono illustrare Palermo, "città reggia", "capo del Regno". I libri XI e XII coincidono per linee di tendenza e spirito con molti passi del Palermo restaurato di Vincenzo e offrono una mappa di luoghi e personaggi celebri della città, rievocando eventi notevoli della recente attualità, con un particolare riguardo per i propri congiunti, come il padre Francesco, che, nella rivolta di notar Cataldo, "prender fa più d'un empio sodduttore" o con la menzione della Accademia degli Opportuni da lui fondata ("Vedete gli opportuni che non muti/furo"). Il Palermo trionfante si muove infatti tra epica e storiografia, animato da un impulso patriottico; esso obbedisce alle attese della classe nobiliare, che si sentiva "continuatrice di età eroiche" (Mazzamuto) e cercava ascendenze illustri e sovrumane.
Al D. è pure attribuito il poema sacro L'Eufemia (Palermo 1610), dove viene rievo cato il martirio della santa ad opera del tiranno Prisco, tra truci tormenti e sadici allestimenti scenici.
Il D. morì a Palermo nel 1612.
V. Di Giovanni (Palermo restaurato ..., p. 423) e A. Mongitore (Bibliothera Sicula…, pp. 278-9) gli attribuiscono anche le seguenti opere manoscritte: L'incendio di Castellammare, La guerra dell'avarizia, Le metamorfosi sopra i luoghi notabili della Piana di Palermo, Leggenda della Madonna d'Istria, nonché Egloghe, Rime, La Siracusa distrutta da M. Marcello, Il censore (in prosa).
Fonti e Bibl.: Palermo, Bibl. comunale, Qq, D, 19: V. Auria, Teatro degli uomini letterati palermitani, f. 1021; V. Di Giovanni, Palermo restaurato... (1615), in Opere storiche inedite sulla città di Palermo, a cura di G. Di Marzo, Palermo 1872, I, pp. 314 s., 421-426 e passim; V. Di Giovanni, La poesia italiana in Sicilia nei secoli XVI e XVII, in Filologia e letteratura siciliana, Palermo 1871-79, II, pp. 103 s.; Id., La incoronazione di F. Potenzano, ibid., pp. 271-276; Id., Della poesia epica in Sicilia nei secoli XVI e XVII, ibid., III, pp. 273-280; G. M. Mira, Bibliografia siciliana, Palermo 1875, I, p. 433; S. Salomone Marino, De' famosi uomini d'armi siciliani fioriti nel sec. XVI, in Arch. stor. siciliano, n. s., IV (1979), p. 307; P. Mazzamuto, Lirica ed epica nel sec. XVI, in Storia della Sicilia, Palermo 1980, IV, pp. 342 s.; M. Sacco Messineo, Poesia e cultura nell'età barocca, ibid., p. 458; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, Panormi 1708, I, pp. 278 s.